Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 dicembre 2016, n. 26464

Dirigente - Licenziamento disciplinare - Ferie non concordate con il datore di lavoro - CCNL

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 23.2.10 il Tribunale di Roma, ritenuto ingiustificato il licenziamento disciplinare intimato il 4.4.06 al dirigente A. O. da H. C. S.r.l. in liquidazione, condannava quest'ultima a pagargli l'indennità supplementare e quella sostitutiva del preavviso, nonché differenze retributive varie.

Tale pronuncia era riformata dalla Corte d'appello capitolina, con sentenza depositata il 27.5.13, limitatamente all'indennità supplementare, che veniva negata ritenendosi giustificato il licenziamento (sebbene non assistito anche da giusta causa) perché il dirigente si era autonomamente collocato in ferie senza concordarlo con la società e pur essendo consapevole di dover provvedere, di lì a pochi giorni, ad importanti pagamenti per conto della società medesima.

Per la cassazione della sentenza ricorre A. O. affidandosi a nove motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

Resistono con separati controricorsi T. S.r.l. in liquidazione (società incorporante H. C. S.r.l.) e A. W. H. & R. S.p.A. (anche nei confronti della quale si erano celebrati i gradi di merito in quanto cessionaria, da parte della prima, del ramo d'azienda cui era addetto il ricorrente principale). Ognuna delle società propone ricorso incidentale basato su un solo motivo, cui a sua volta A. O. resiste con separati controricorsi.

Nelle more il ricorrente principale ha conferito procura speciale anche all'avv. L. P.

È stata poi depositata copia della sentenza dichiarativa del fallimento di T. S.r.l. in liquidazione, sopravvenuto nelle more.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Preliminarmente è appena il caso di ricordare che anche dopo la modifica dell'art. 43 l.f. ad opera dell'art. 41 d.lgs. n. 5/06 perdura il principio secondo cui il sopravvenuto fallimento del ricorrente (nel caso di specie la T. S.r.l. in liquidazione, ricorrente incidentale) non determina interruzione alcuna del giudizio di cassazione (cfr., ex aliis, Cass. n. 21153/10), per sua natura retto dall'impulso d'ufficio (per la conforme giurisprudenza anteriore alla summenzionata novella v., per tutte, Cass. S.U. n. 17295/03).

Il ricorso principale

2.1. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324, 436 e 437 c.p.c. e 2909 c.c., per essersi la Corte territoriale pronunciata in modo difforme da quanto già accertato con precedente giudicato fra le medesime parti, atteso che con sentenza n. 9020/09 il Tribunale di Roma aveva accertato il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie del ricorrente.

2.2. Il secondo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 co. 3° Cost., 10 co. 1° d.lgs. n. 66/03, 12 CCNL dirigenti aziende alberghiere, 4 co. 2° d.lgs. n. 53/2000 e 2 co. 1° lett. a) punto 1) d.m. 21.7.2000 n. 278, per non avere la sentenza impugnata riconosciuto il diritto del ricorrente di godere delle ferie arretrate e, in ogni caso, di assentarsi dal servizio per la grave malattia d'un congiunto.

2.3. Il terzo mezzo denuncia vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia ha ritenuto fondati gli addebiti posti a base del licenziamento nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115, 116, 436 e 437 c.p.c., affermazione basatasi sull'erroneo presupposto che il ricorrente avesse fruito delle ferie, mentre la tempistica della contestazione disciplinare (elevata il 6.3.06 a fronte d'un periodo di ferie che avrebbe dovuto decorrere in pari data) dimostrava il contrario, di guisa che la ricostruzione operata dai giudici d'appello - lamenta il ricorrente - non risponde alla realtà dei fatti. Inoltre - prosegue il motivo - la Corte territoriale ha violato il diritto alla prova del ricorrente, non consentendogli neppure di dimostrare che, in realtà, l'accordo sulle ferie c'era stato.

2.4. Con il quarto mezzo ci si duole di vizio di motivazione e di violazione e falsa applicazione dell'art. 31 CCNL dirigenti alberghieri e dell'art. 2106 c.c. e 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto giustificato il licenziamento nonostante la sproporzione della sanzione espulsiva.

2.5. Il quinto motivo denuncia vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 3 legge n. 108/90, 1345 c.c. e 115, 116, 324, 436 e 437 c.p.c. per avere la gravata pronuncia negato il carattere discriminatorio del licenziamento, in realtà intimato per le precarie condizioni di salute del ricorrente.

2.6. Il sesto motivo deduce vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 4 d.lgs. n. 66/03, 2087 e 2697 c.c., 115, 116, 324, 436 e 437 c.p.c., per avere la Corte territoriale escluso che le prestazioni di lavoro straordinario da parte del ricorrente abbiano ecceduto i limiti della ragionevolezza e, quindi, respinto la pretesa risarcitoria a riguardo avanzata.

2.7. Con il settimo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2043 e 2697 c.c. e degli artt. 115, 116, 324, 436 e 437 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha respinto la domanda di risarcimento del danno biologico, all'onore, alla reputazione, all’immagine professionale e alla vita di relazione conseguente al licenziamento.

2.8. L'ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 c.c. e dell'art. 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata escluso ogni responsabilità solidale di A. W. H. & R. S.p.A.

2.9. Con il nono motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. nella parte in cui ha confermato la compensazione delle spese del giudizio di primo grado fra A. O. ed H. C. S.r.l. supponendo una reciproca soccombenza in realtà inesistente. Il ricorrente si duole altresì della statuizione con cui gli è stato accollato il 50% delle spese di CTU e dell'importo eccessivo delle spese liquidate in favore di A. W. H. & R. S.p.A., che semmai si sarebbero dovute porre a carico di H. C. S.r.l.

3.1. Il primo motivo è infondato.

Invero, una cosa è l'irrinunciabilità delle ferie e il diritto all'indennità sostitutiva di quelle non godute (oggetto del precedente giudizio), altro sono i tempi e le modalità di loro fruizione, la cui scelta isolata da parte dell'odierno ricorrente la sentenza impugnata non ha condiviso.

Non ricorre, pertanto, alcuna identità - neppure parziale - dell'oggetto dei due giudizi, il che esclude la vincolatività del giudicato invocata dal ricorrente.

3.2. Il secondo motivo è infondato.

Il potere del dirigente di scegliere da sé il periodo di godimento delle ferie incontra pur sempre il limite d'una contraria previsione del contratto collettivo (o, se del caso, di quello individuale), che ben può subordinarlo all'accordo con il datore di lavoro.

Ciò non incide sul diritto irrinunciabile alle ferie, poiché concerne soltanto la scelta dei relativi tempi di fruizione, il che esclude la denunciata violazione di norme costituzionali o legislative.

Nel caso di specie la sentenza impugnata afferma che il CCNL applicabile inter partes prevede che i tempi di fruizione delle ferie vadano concordati con parte datoriale.

Tale interpretazione (dell'art. 12 CCNL dirigenti aziende alberghiere) è contestata dal ricorrente principale, che sostiene che la clausola contrattuale deve intendersi come riferita alle sole ferie maturate nel corso dell'anno, di guisa che per quelle arretrate non vi sarebbe onere alcuno di previo accordo.

Osserva invece questa Corte che la pretesa distinzione fra le due ipotesi, oltre a non emergere dal testo contrattuale, smentirebbe la ratio della clausola inserendovi un elemento di contraddittorietà: infatti, se le parti collettive hanno ritenuto necessario che il godimento delle ferie "in una o più soluzioni" debba essere concordato tra le parti compatibilmente con le necessità aziendali, a fortiori ciò deve valere per le ferie arretrate. Proprio perché non godute nell'anno solare di riferimento, la loro successiva fruizione non è destinata ai consueti periodi dell'anno e, quindi, ha addirittura maggior bisogno di essere pianificata tra le parti.

Da ultimo va evidenziato che - contrariamente a quanto si suppone in ricorso

- non risulta violato neppure l'art. 1418 co. 1° c.c. nella parte in cui dispone la nullità del contratto ove contrasti con norme imperative: la Corte territoriale non ha affatto interpretato la clausola del CCNL come idonea a negare il diritto irrinunciabile alle ferie, ma ha semplicemente rilevato che in virtù di essa la scelta del periodo di godimento deve essere concordata fra le parti.

3.3. Il terzo, il quinto e il sesto motivo del ricorso principale vanno disattesi perché, ad onta dei richiami normativi in essi contenuti, sostanzialmente sollecitano una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze istruttorie affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento, operazione non consentita in sede di legittimità.

Quanto alla denunciata violazione - che si legge nel terzo mezzo - del diritto alla prova in relazione all'esistenza d'un accordo per il godimento delle ferie che sono all'origine della presente controversia, si noti che già la sentenza di primo grado aveva accertato la mancanza d'una istanza di fruizione delle ferie da parte dell'odierno ricorrente. Questi, a sua volta, nel proprio appello incidentale non ha coltivato con apposito motivo di impugnazione (come, invece, avrebbe dovuto) la mancata ammissione delle prove chieste in primo grado per dimostrare l'esistenza dell'accordo negato dal Tribunale, di guisa che la doglianza in oggetto si rivela essere un motivo nuovo, in quanto tale inammissibile.

3.4. Il quarto motivo è infondato, perché il giudizio di proporzionalità tra l'infrazione disciplinare e il licenziamento per cui è causa (che trova la propria origine nell'art. 2106 c.c.) è dovuto solo ai fini della verifica d'una giusta causa o d'un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il che è stato già escluso dai giudici di merito, che proprio per tale ragione hanno confermato il diritto del ricorrente principale all'indennità sostitutiva del preavviso.

Il giudizio di proporzionalità non rileva, invece, ai fini del diritto all'indennità supplementare, atteso che giusta causa (il cui difetto attribuisce l'indennità sostitutiva del preavviso) e giustificatezza del licenziamento del dirigente (il cui difetto costituisce titolo dell'indennità supplementare) sono concetti non coincidenti (cfr., ex aliis, Cass. n. 5671/12).

Invero, il particolare modo di configurarsi del rapporto di lavoro dirigenziale fa sì che la nozione contrattuale di giustificatezza del licenziamento del dirigente sia integrata da qualunque motivo, purché giustificato, ossia costituente base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, i quali non richiedono l'analitica verifica di specifiche condizioni, ma una globale valutazione che escluda l'arbitrarietà del licenziamento del dirigente.

Ciò impone di escludere l'applicabilità della regola di proporzionalità dettata dall'art. 2106 c.c. in relazione alla verifica non d'una giusta causa o d'un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, ma della mera sua giustificatezza ai fini del riconoscimento o meno dell'indennità supplementare (cfr. Cass. n. 11138/98; Cass. n. 8934/96).

3.5. Il settimo motivo è infondato.

In proposito è dirimente osservare che il rapporto dirigenziale non è assistito da alcun regime legale di stabilità del posto di lavoro (applicandosi ad esso quello di c.d. recedibilità ad nutum).

L'esistenza o meno d'una giusta causa di recesso rileva soltanto ai fini del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso ai sensi dell'art. 2119 c.c.

Il licenziamento che (come nel caso di specie) presenti una qualche giustificazione, ancorché non integrante giusta causa, come non dà diritto  all'indennità supplementare cosi non dà luogo ad inadempimento del datore di lavoro e a sua responsabilità risarcitoria.

3.6. L'ottavo motivo è infondato.

Una volta correttamente esclusa la reintegra nel posto di lavoro e, con essa, la ricostituzione del rapporto, la sua cessazione resta fissata alla data del licenziamento (4.4.06), anteriore alla cessione del ramo d'azienda ad A. W. H. & R. S.p.A.

Pertanto, i debiti di H. C. S.r.l. (ora T. S.r.l. in liquidazione) nei confronti di A. O. esistenti alla data del 4.4.06 non si trasferiscono ex art. 2112 c.c. alla società cessionaria, cioè ad A. W. H. & R. S.p.A.

Né sussiste il denunciato vizio di extrapetizione, atteso che l'inapplicabilità - nella specie - dell'art. 2112 c.c. costituisce oggetto non di eccezione, ma di mera difesa in punto di diritto, in quanto tale deducibile in ogni stato e grado del processo.

3.7. Il nono mezzo è infondato, poiché il mantenimento della compensazione delle spese disposta in primo grado è stato correttamente motivato proprio dalla reciproca soccombenza fra A. O. ed H. C. S.r.l. (ora T. S.r.l.) verificatasi all’esito del giudizio d'appello, avendo la Corte territoriale rigettato la domanda concernente l'indennità supplementare (e altre pretese attoree).

Analoga considerazione valga riguardo alle spese di CTU.

In ordine, poi, a quelle liquidate in favore di A. W. H. & R. S.p.A., è appena il caso di notare che ad esse non poteva che restare estranea H. C. S.r.l., che non aveva proposto domanda alcuna (neppure a titolo di manleva) nei suoi confronti. Pertanto, poiché l'unica domanda contro A. W. H. & R. S.p.A. era stata avanzata da A. O., è coerente con l'art. 91 c.p.c. che il regime delle spese fra tali parti sia stato regolato secondo il criterio di soccombenza.

Quanto alla lamentata eccessività dell'importo delle spese, si tratta di doglianza del tutto generica.

Il ricorso incidentale di T. S.r.l. in liquidazione

4.1. Con unico motivo di ricorso incidentale T. S.r.l. in liquidazione denuncia la mancata declaratoria di inammissibilità od improcedibilità dell'azione esperita da A. O. per illegittimo frazionamento del credito, avendo egli dapprima agito con due separati ricorsi in via monitoria per ottenere il pagamento di crediti retributivi vari e, poi, con separato ricorso ex art. 414 c.p.c. per impugnare il licenziamento intimatogli.

Il motivo è infondato perché muove dall'erroneo presupposto che, unico essendo il rapporto di lavoro, unico sia anche il credito vantato o, comunque, unica debba essere l'azione in giudizio.

In realtà quelli separatamente azionati dal ricorrente principale sono crediti autonomi e differenti, scaturiti da fonti diverse, ossia da diversi fatti costitutivi, seppur nel quadro d'un medesimo rapporto di lavoro.

È, poi, manifestamente inconferente il richiamo alla giurisprudenza concernente l'abuso del processo per violazione dei doveri di correttezza e buona fede.

Infatti, Cass. n. 17420/14, sulla scia di Cass. S.U. n. 23726/07, ravvisa un abuso del processo per violazione dei doveri di correttezza e buona fede allorquando il danneggiato, pur in presenza d’un danno derivante da un unico fatto generatore, proponga distinte domande in ragione delle diverse voci di danno, mentre Cass. n. 15476/08 ha enunciato il principio di diritto - anch'esso estraneo alla presente vicenda - per cui non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza d'un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo.

Il caso in esame è diverso, vuoi per diversità dell'oggetto delle domande, vuoi perché diversi sono i fatti generatori dei crediti azionati.

In breve, quando si parla di infrazionabilità del credito, non va dimenticato che - appunto - d'un singolo credito deve trattarsi e non d'una pluralità di crediti.

E molteplici crediti retributivi o risarcitori derivanti da un rapporto di lavoro non possono equipararsi ad un solo e unico credito, non fosse altro che sono diversi i loro presupposti di fatto e di diritto e i loro regimi di prescrizione e di onere della prova.

In giurisprudenza il problema della frazionabilità o infrazionabilità si è posto per le domande risarcitorie (per evitare che ad ogni posta di danno corrispondesse un'autonoma azione) e per gli accessori del credito (con soluzioni, peraltro, non univoche), ma non riguardo a crediti autonomi per titoli e presupposti di fatto e di diritto.

Né può condividersi l'assunto secondo cui plurimi crediti, sol perché maturati all'interno d'un medesimo rapporto di durata, dovrebbero essere necessariamente azionati contestualmente: basti pensare, ad esempio, che il locatore non deve necessariamente chiedere, insieme con lo sfratto per morosità del conduttore, anche i canoni rimasti insoluti. Anzi, gli artt. 658 e 669 c.p.c. lasciano espressamente aperte le due strade (richiesta congiunta o separata).

Né si può ipotizzare che gli artt. 658 e 669 c.p.c. siano norme eccezionali, anche perché contro la tesi d'una necessaria proposizione in unico giudizio di tutti i possibili crediti che una parte vanti nei confronti dell'altra militano inequivocabilmente norme generali come gli artt. 31, 40 e 104 c.p.c.

Lo stesso dicasi per la pluridecennale elaborazione dell'efficacia oggettiva del giudicato, che in tal modo verrebbe dilatata in modo incontrollato.

E ancora: il solo supporre una necessaria coeva azione per tutti i crediti derivanti da un medesimo rapporto di durata, come quello di lavoro, sottrarrebbe al creditore l'uso del ricorso ex art. 633 c.p.c., praticabile per i crediti muniti di prova scritta, ma non anche per quelli assistiti da mera prova storico-dichiarativa o presuntiva.

Non solo: le S.U. di questa S.C. (cfr. sentenza n. 13659/06) hanno già avuto modo di statuire la possibilità che innanzi al giudice amministrativo si possa chiedere prima la tutela demolitoria (cioè l'annullamento dell'atto amministrativo) e poi, separatamente, quella risarcitoria conseguente, nonostante l'unicità del rapporto giuridico oggetto di lite.

Né varrebbero eventuali richiami alla ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., che deve valutarsi in relazione alla durata del singolo processo (su cui la pretesa infrazionabilità non incide), non già in relazione ai molteplici possibili processi fra le stesse parti (che, invece, l'asserita infrazionabilità vorrebbe ridimensionare).

Anzi, proprio la pretesa di costringere la parte a far valere in un solo giudizio tutti i possibili autonomi crediti vantati verso l'altra parte avrebbe l'effetto di allungare i tempi del singolo processo, dovendo l'istruttoria diffondersi su circostanze di fatto assai diverse e, magari, molto distanti temporalmente.

Il ricorso incidentale di A. W. H. & R. S.p.A.

5.1. Con unico motivo il ricorso incidentale di A. W. H. & R. S.p.A. lamenta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nella parte in cui l'impugnata sentenza ha immotivatamente compensato le spese del giudizio d'appello malgrado la totale soccombenza di A. O. nei confronti di detta società.

La doglianza va disattesa perché, trattandosi di giudizio instaurato nel 2007, in esso trova applicazione il testo dell'art. 92 co. 2° c.p.c. all'epoca vigente, secondo il quale il giudice deve esplicitamente indicare i giusti motivi di compensazione delle spese.

È quel che ha fatto la sentenza impugnata nel momento in cui si è riferita all'esito complessivo della lite.

6.1. In conclusione, tutti i ricorsi sono da rigettarsi, il che consiglia di compensare le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di tutti i ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.