Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 novembre 2016, n. 24017

IVA - Attività di commercio di autoveicoli - Mancata fatturazione

 

Svolgimento del processo

 

L'agenzia delle entrate ha notificato alla B. s.r.l. - esercente l'attività di commercio di autoveicoli - avviso di contestazione per sanzioni IVA per gli anni 2004 e 2005, per mancata fatturazione di somme versate alla contribuente dai suoi clienti al momento della formulazione delle proposte di acquisto dei veicoli, o anche dopo tale momento, ma prima della conclusione dei contatti di compravendita; somme ricevute, secondo la contribuente, a titolo di caparra o deposito cauzionale e, secondo l'ufficio, a titolo di acconto sul prezzo.

La contribuente ha impugnato l'atto di contestazione e la commissione tributaria provinciale di Como ha accolto il ricorso.

L'agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza innanzi alla commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano, avverso la cui decisione di accoglimento dell’appello la B. s.r.l. ricorre per cassazione su sei motivi illustrati da memoria, mentre la contribuente resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del decreto del primo presidente del 14 settembre 2016. Sempre preliminarmente si rileva come non sia necessario esaminare se - in riferimento all'opposizione alla produzione formulata in udienza dall'avvocatura dello Stato - sia ritualmente prodotta o meno, mediante allegazione alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano n. 141 depositata il 16.11.2009, munita di attestazione non datata di passaggio in giudicato, a seguito di rigetto del ricorso per cassazione avverso la stessa da parte dell'ufficio, mediante la sentenza n. 27595 depositata il 10.12.2013. Invero, atteso che detta sentenza concerne originario ricorso della B. s.r.l. avverso avviso di accertamento per l'annualità 2003, pur se basato sul medesimo processo verbale di constatazione e afferente identiche contestazioni, non è ipotizzabile un giudicato esterno, quale dedotto dalla s.r.l. in memoria ex art. 378 cod. proc. civ., circa la qualificazione giuridica degli acconti prezzo o caparre di cui si discute, in quanto - pur se eventualmente possa trattarsi in concreto di fattispecie del tutto simili in ciascuna annualità - in astratto non trattasi - discutendosi di rapporti giuridici eterodeterminati succedentisi l'uno all'altro, e quindi non di una fattispecie ma di più fattispecie - di un "elemento della fattispecie di carattere permanente" connotato da "invarianza nel tempo", cui soltanto la giurisprudenza di questa Corte riconosce efficacia espansiva nell'ambito della ricostruzione del giudicato tributario.

2. - Con il primo motivo si censura, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., come richiamati dall'art. 1 del d. Igs. n. 546 del 1992, per assoluta carenza di motivazione ovvero motivazione apparente sul punto della destinazione (a caparra o ad acconto) dei versamenti della cui fatturazione si discute. Il motivo è inammissibile, da un primo punto di vista, in quanto la sentenza (p. 3) specifica essere  stato condotto esame di "preliminari acquisiti", da cui risulterebbero versamenti indicati nell'importo, correlati a "prove cartacee", indicando altresì quale indizio della qualificazione come acconti la prova della restituzione delle somme in caso di mancato acquisto; ne deriva che a tale testo non è correlabile il vizio di cui al n. 4 dell'art. 360 co. 1 c.p.c., ma al limite sarebbe invocabile quello del n. 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (vizio dedotto con il terzo motivo, di cui in appresso).

3. - Il secondo motivo, con cui in relazione sempre all'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., si deduce nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda diretta ad accertare la non sanzionabilità della mancata fatturazione degli anticipi nei casi in cui le vendite erano avvenute stesso mese dell'avvenuta percezione degli anticipi, ciò che sarebbe avvenuto nel 60% dei casi, senza ritardo nel versamento di IVA sul totale del corrispettivo, è fondato. Invero, a fronte dell'avvenuta indicazione in ricorso per cassazione dell'avvenuta formulazione, nel ricorso introduttivo e nell'atto di costituzione in appello, di detta domanda, non risulta dalla lettura della sentenza un suo esame da parte della commissione, neanche implicito. La sentenza va dunque cassata con rinvio, essendo rimesso al giudice di merito rivalutare, in relazione alle deduzioni e attività probatorie precedentemente svolte, se e quali corrispettivi integrali siano stati corrisposti e fatturati nello stesso mese dell'erogazione dell'acconto, emendando l'omissione di pronuncia in base alla disciplina di diritto applicabile; integrazione che non è possibile effettuare da parte di questa Corte, pur abilitata nel caso di specie a pronunciare nel merito, essendo presupposti della pronuncia, come detto, accertamenti fattuali in ordine a se e quali corrispettivi siano stati fatturati nelle circostanze dedotte.

4. - Con il terzo motivo (sostanzialmente complementare rispetto al primo sopra esaminato) si censura, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., vizio di omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo, indicato nella "prova documentale della qualificazione degli anticipi come caparre o depositi cauzionali". Attraverso il motivo, indicando la documentazione prodotta dalla stessa parte contribuente cui si correlano le doglianze svolte, la ricorrente tende a mettere in discussione il punto della destinazione (a caparra o ad acconto) dei versamenti della cui fatturazione si discute. Il motivo è inammissibile, stante il condiviso orientamento di questa Corte (v. ad es. sez. 5, n. 21152 del 2014) secondo cui l'art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede la ricorribilità per "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione", come riferita ad "un fatto controverso e decisivo per il giudizio" ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a "questioni" o "argomentazioni" (quali la qualificazione di documenti come riferiti a caparre o acconti) che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza emerge, come detto, la disamina della documentazione, onde non è censurabile il vizio motivazionale per la parte concernente questioni argomentative. Fermo restando che il motivo non indica specifici fatti storici, trascurati dal giudice di merito, la cui adeguata valutazione avrebbe condotto con certezza a un esito decisionale diverso, ma si sostanzia nella contrapposizione della valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla parte a quella operata dal giudice, in tal modo risolvendosi nella inammissibile richiesta alla Corte di cassazione di sostituirsi al giudice di merito all'apprezzamento delle risultanze processuali, il motivo è inammissibile anche per altra via: con esso la parte ricorrente dà per scontato che, ove il contratto indichi una determinata causale (ad es. caparra) per la dazione, sia esclusa la natura di anticipo di prezzo, ciò che non è in quanto - come la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito (cfr. sez. 5, n. 5982 del 2014) - è ben compatibile la qualificazione ad es. di caparra con la volontà delle parti di corrispondere un acconto sul prezzo. Venendo meno tale argomento giuridico, che si rafforza che l'ulteriore considerazione che si presume la natura di acconto in mancanza di diversa prova spettante al contribuente (cfr. ad es. sez. 5 n. 10874 del 1994), il motivo perde comunque di consistenza non sussistendo in esso una idonea critica correlabile alla sentenza impugnata.

5. - Il quarto motivo, con cui si deduce in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. violazione dell'art. 6 co. 4 del d.p.r. n. 633 del 1972, in quanto - secondo la ricorrente - erroneamente la sentenza impugnata avrebbe affermato la assoggettabilità ad IVA degli anticipi corrisposti in base a mera proposta contrattuale non accettata, è infondato: in tema di IVA, il versamento di un acconto sul prezzo "anteriormente" rispetto ad un contratto di compravendita non ancora concluso costituisce operazione imponibile ai sensi dell'art. 6, quarto comma, del d.p.r. n. 633 del 1972, come modificato, il quale dispone che l'operazione "si considera effettuata", limitatamente all'importo pagato, alla data del pagamento.

6. - Il quinto motivo è assorbito, in quanto espressamente formulato per il caso di mancato accoglimento del secondo.

7. - Il sesto motivo, formulato in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per violazione del principio dell'onere della prova ex art. 2697 c.c., è inammissibile. La parte afferma di avere assolto all'onere probatorio su essa incombente vincendo la presunzione semplice che i pagamenti fossero acconti di prezzo, mentre dalla sentenza impugnata risulta valorizzata la circostanza della restituzione di talune somme in caso di mancata conclusione degli accordi. Con il motivo, dunque, la parte sollecita una rivalutazione in fatto del risultato probatorio cui è pervenuto il giudice di merito, senza che sia dedotta o comunque emerga alcuna violazione delle regole di riparto dell'onere della prova; ed è noto (cfr. ad es. sez. 3, n. 15107 del 2013) che la doglianza, integrante motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, co. 1 n. 3, c.p.c., relativa alla violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell'ipotesi in il giudice abbia attribuito l'onere della prova a una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma; la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) può essere invece fatta valere solo ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360.

8. In relazione al motivo accolto, segue cassazione con rinvio alla commissione tributaria regionale, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili il primo, il terzo e il sesto motivo di ricorso, rigetta il quarto e, assorbito il quinto, accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.