Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 novembre 2016, n. 23654

Cartella esattoriale - Recupero sgravi per contratti di formazione e lavoro

Fatto

 

Con sentenza depositata il 15.6.2009, la Corte d'appello di Cagliari-sez. distaccata di Sassari, in riforma della statuizione di prime cure, rigettava l'opposizione proposta da M. s.p.a. avverso la cartella esattoriale con cui Equitalia Sardegna s.p.a. le aveva intimato il pagamento della somma di € 2.160.061,69 dovuta all'INPS a titolo di recupero sgravi per contratti di formazione e lavoro, a seguito della Decisione della Commissione europea dell'11.5.1999.

Per la cassazione di questa pronuncia ricorre M. s.p.a. affidandosi a quindici motivi. L'INPS resiste con controricorso. La società concessionaria dei servizi di riscossione non ha svolto attività difensiva.

 

Diritto

 

Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 189, comma 4, Trattato CE, dell'art. 2, I. n. 1203/1957, dell'art. 11 Cost. e degli artt. 3 e 5 della Decisione della Commissione europea dell'11.5.1999, per avere la Corte di merito ritenuto la legittimazione attiva dell'INPS (e non dello Stato) a ripetere la somma ingiunta, pur in mancanza di una specifica normativa primaria che investisse l'Istituto della potestà di recuperare aiuti di Stato.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 9, I. n. 335/1995, dell'art. 2935 c.c., degli artt. 189, comma 4, e 191, comma 3, Trattato CE, dell'art. 2, I. n. 1203/1957, dell'art. 11 Cost. e degli artt. 3 e 4 della Decisione della Commissione europea dell'11.5.1999, per avere la Corte territoriale ritenuto che la prescrizione quinquennale decorresse dal 7.3.2002 (ossia dalla data di pubblicazione della sentenza con cui la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha respinto il ricorso dello Stato italiano avverso la citata Decisione della Commissione) invece che dalla data in cui avrebbe dovuto effettuarsi il pagamento dei contributi ovvero dalla data di notifica allo Stato italiano della Decisione della Commissione.

Con il terzo e quarto motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 434 c.p.c., dell'art. 2943 c.c. e degli artt. 3 e 24 Cost., nonché di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito rilevato d'ufficio l'interruzione della prescrizione, riportandola all'avviso bonario inviato dall'INPS in data 24.12.2004.

Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, I. n. 241/1990, e degli artt. 24 e 97 Cost., per non avere la Corte territoriale ritenuto la genericità della pretesa creditoria per come riportata nella cartella esattoriale oggetto del giudizio.

Con il sesto e settimo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 12 prel. c.c. (per come interpretato da Corte cost. n. 190 del 1987, da Cass. nn. 3114 e 5003 del 2001 e da C. conti n. 68/1999) e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Corte di merito ritenuto sussistente il suo legittimo affidamento in ordine al godimento dei benefici.

Con l'ottavo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., dell'art. 189, comma 4, Trattato CE, dell'art. 11 Cost. e degli artt. 1 e 3 della Decisione della Commissione europea dell'11.5.1999, per averle la Corte territoriale addossato l'onere della prova della ricorrenza dei presupposti per accedere agli sgravi ritenuti compatibili con l'ordinamento comunitario.

Con il nono motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 189, comma 4, Trattato CE, dell'art. 2, I. n. 1203/1957, dell'art. 11 Cost., degli artt. 1 e 3 della Decisione della Commissione europea dell'11.5.1999 e dell'art. 432 c.p.c. per avere la Corte di merito accolto la pretesa dell'INPS nonostante che la Decisione della Commissione europea ordinasse il recupero della sola parte della contribuzione riconosciuta in contrasto con la disciplina comunitaria e senza determinare, nemmeno in via equitativa, i costi e gli oneri fiscali sostenuti per la formazione dei dipendenti, detraendoli dal credito ingiunto.

Con il decimo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 46, I. n. 88/1989, dell'art. 416 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto l'illegittimità dell'iscrizione a ruolo della somma portata dalla cartella opposta, nonostante l'avvenuto accoglimento del ricorso amministrativo avverso l'avviso bonario del 24.12.2004.

Con l'undicesimo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 24 e 25, d.lgs. n. 46/1999, per non avere la Corte di merito ritenuto maturata la decadenza dall'iscrizione a ruolo delle somme ingiunte.

Con il dodicesimo e tredicesimo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 87, Trattato CE, dei punti 64 e 66 della Decisione della Commissione europea delI'11.5.1999 e del § 89 della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 7.3.2002, per non avere la Corte territoriale ritenuto che l'attività di commercio locale di beni, che essa svolgeva, costituisse attività inidonea ad alterare l'equilibrio concorrenziale del mercato comune.

Con il quattordicesimo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10, I. n. 212/2000, per avere la Corte di merito ritenuto che fossero dovuti gli interessi sulle somme ingiunte pur in presenza di un legittimo affidamento del debitore.

Da ultimo, con il quindicesimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte territoriale escluso la responsabilità dello Stato italiano per i danni derivantile dalla restituzione delle somme ingiunte senza considerare la violazione da parte dello Stato stesso del principio di autoresponsabilità e la colpevole inerzia dell'INPS nell'avvio delle procedure di recupero delle agevolazioni.

Ciò posto, il primo motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha da tempo posto il principio secondo cui, considerato che l'obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile col mercato comune è inteso al ripristino dello status quo ante e deve ritenersi raggiunto quando l'aiuto indebito sia stato restituito dal beneficiario, in modo che costui resti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti, la legittimità della restituzione degli sgravi indebiti all'INPS e la consequenziale legitimatio ad causam dell'Istituto nelle cause volte al loro recupero non necessitano di alcuna specifica disposizione normativa ad hoc, essendo l'Istituto il soggetto pubblico che, salva diversa disposizione, è istituzionalmente deputato alla riscossione della contribuzione previdenziale mediante gli strumenti giuridici ordinariamente previsti a tal fine (Cass. nn. 7402 del 2013 e 15312 del 2016).

Egualmente infondati sono il secondo, il terzo e il quarto motivo, che possono esaminarsi congiuntamente in considerazione dell'intima connessione delle censure svolte. Come già affermato da questa Corte di legittimità (cfr. Cass. nn. 6671 e 6756 del 2012), agli effetti del recupero degli sgravi contributivi integranti aiuti di Stato incompatibili col mercato comune, vale il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italiana della decisione comunitaria di recupero, atteso che, ai sensi degli artt. 14 e 15 del Regolamento (CE) n. 659/1999, siccome interpretati dalla giurisprudenza comunitaria, le procedure di recupero sono disciplinate dal diritto nazionale, ex art. 14 cit., nel rispetto del principio di equivalenza fra le discipline, comunitaria e interna, nonché del principio di effettività del rimedio, mentre il periodo limite decennale ex art. 15 cit. riguarda l'esercizio dei poteri della Commissione circa la verifica di compatibilità dell'aiuto e l'eventuale decisione di recupero; per contro, non possono ritenersi applicabili né il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione ex art. 2033 c.c., atteso che lo sgravio contributivo opera come riduzione dell'entità dell'obbligazione contributiva e l'ente previdenziale, che agisce per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente goduti, non può conseguentemente definirsi attore in ripetizione di indebito oggettivo, né il termine di prescrizione quinquennale ex art. 3, commi 9 e 10, I. n. 335/1995, dal momento che, riguardando tale disposizione le sole contribuzioni di previdenza e assistenza sociale e potendo invece l'incompatibilità comunitaria riguardare qualsiasi tipo di aiuto, non è possibile assimilare l'azione di recupero dello sgravio da aiuto di Stato illegittimo e l'azione di pagamento di contributi non versati e applicare analogicamente alla prima il termine di prescrizione proprio della seconda.

Corretta in tal senso la motivazione della sentenza impugnata, resta da dire - in ordine alla censura secondo cui la Corte di merito avrebbe rilevato d'ufficio che l'interruzione della prescrizione era da riportare all'avviso bonario del 24.12.2004, con cui l'INPS aveva richiesto il pagamento integrale dei contributi relativi al periodo 1995-1999 - che l'eccezione di interruzione della prescrizione integra un'eccezione in senso lato e non in senso stretto, onde può essere rilevata d'ufficio dal giudice sulla base di tutti gli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti (cfr. tra le più recenti Cass. n. 18602 del 2013).

E' poi infondato il quinto motivo: è sufficiente sul punto ricordare che la cartella esattoriale non deve contenere, ai fini della sua validità, le indicazioni relative a quali fossero, fra i contratti di formazione e lavoro stipulati, quelli su cui era stato operato il recupero, perché ciò equivarrebbe ad una indicazione analitica che la normativa applicabile non richiede (cfr. Cass. nn. 6672 del 2012 e 7402 del 2013, cit.). Parimenti infondati sono il sesto e il settimo motivo, che possono essere esaminati in connessione con il quattordicesimo e il quindicesimo stante l'identità di presupposto della doglianza. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di precisare che, in tema di recupero di aiuti di Stato, pur in presenza nell'ordinamento italiano di norme istitutive di esenzioni analoghe a quelle ritenute contrastanti con il diritto comunitario e nella conseguente difficoltà di comprendere quali in concreto possano costituire aiuti di stato illegittimi, le imprese che ne siano beneficiarie non possono fare legittimo affidamento sulla loro fruizione ove gli stessi siano stati concessi senza previa notifica alla Commissione, rientrando nella diligenza dell'operatore economico accertare che la procedura prevista per il controllo di regolarità degli aiuti da parte della Commissione sia stata rispettata (Cass. n. 13479 del 2016) e non rilevando in senso contrario eventuali pronunce dei giudici nazionali, ivi inclusa la Corte costituzionale, essendo la valutazione di compatibilità degli aiuti con il mercato comune di spettanza esclusiva della Commissione europea (Cass. n. 6756 del 2012). E in difetto di incolpevole affidamento, non può l'impresa pretendere di addossare allo Stato e/o all'INPS le conseguenze della propria mancata diligenza, essendo propriamente quest'ultima a fondare quell'autoresponsabilità malamente invocata da parte ricorrente e che altro non significa se non che quod quis ex culpa sua damnum sentii non intellegitur damnum sentire (D. 50, 17, 203).

Altrettanto infondati sono l'ottavo e il nono motivo, che possono essere esaminati in connessione con il dodicesimo e tredicesimo in considerazione, anche in questo caso, dell'identico presupposto della doglianza. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per applicazione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l'onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 21898 del 2010); né la circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio e la sua conseguente non recuperabilità siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie può alterare i termini della questione, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest'ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale, per poter legittimamente usufruire degli sgravi (Cass. n. 6671 del 2012).

Del pari infondato è il decimo motivo: è infatti ormai consolidato l'orientamento di questa Corte secondo cui l'eventuale silenzio-assenso maturato a seguito della presentazione del ricorso amministrativo avverso una decisione della sede periferica dell'INPS e la consequenziale esecutività del provvedimento favorevole all'istante non comporta automaticamente il riconoscimento nella sede giurisdizionale di un corrispondente diritto a favore del medesimo, trovando applicazione l'art. 5, I. n. 2248/1865, all. E, secondo cui gli atti amministrativi possono trovare applicazione nel giudizio solo in quanto conformi alle leggi (Cass. n. 10729 del 1995).

Non meno infondato, infine, è l'undicesimo motivo: è sufficiente sul punto ricordare che, alla stregua di un'interpretazione conforme a Costituzione della disciplina transitoria recata dall'art. 36, comma 6, d.lgs. n. 46/1999 (secondo il quale il termine di decadenza dall'iscrizione al ruolo di cui al precedente art. 25 non si applica ai contributi e premi non versati ed agli accertamenti notificati anteriormente alla data della sua entrata in vigore), deve ritenersi non ammissibile la retroattività del termine di decadenza, non imponendo il sistema previgente alcun onere di tempestività dell'iscrizione a ruolo per la riscossione dei crediti previdenziali, né potendo pretendersi, dall'Istituto di previdenza, un determinato comportamento prima ancora che venisse contemplato dall'ordinamento (Cass. n. 24781 del 2006 e successive conformi).

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a rifondere all'INPS le spese di lite, che si liquidano in € 6.100,00, di cui € 6.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.