Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 marzo 2018, n. 7587

Nullità del contratto di somministrazione di lavoro - Qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato - Censura in sede di legittimità per la sola determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto - Incensurabilità se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici

 

Rilevato che

 

Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda proposta da A. Di L. nei confronti della E. TLC s.p.a. avente ad oggetto la declaratoria di nullità del contratto di somministrazione intercorso fra la A. s.p.a. e la predetta società, quale utilizzatrice delle sue prestazioni, accertava la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 21/2/2005, con condanna della società al risarcimento del danno.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Roma che, con sentenza depositata il 5/11/2012, in accoglimento del ricorso incidentale proposto dal lavoratore, accertava l'intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti a far tempo dal 1/4/1999 (epoca di conclusione del primo contratto di consulenza fra il ricorrente e la E. TLC s.p.a.), dichiarando assorbito il ricorso principale con il quale la società E. aveva inteso conseguire la declaratoria di legittimità del contratto di somministrazione intercorso con la A. s.p.a..

Avverso tale decisione interpone ricorso in cassazione la società utilizzatrice sulla base di tre censure successivamente illustrate da memoria.

Resistono con controricorso A. Di L. e la A. Italia s.p.a.. I. srl I. M. T. ed I. Italia s.p.a., non hanno svolto attività difensiva.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia ex art. 360 comma primo n.4 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma primo n.3 c.p.c..

Si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto assorbito l'appello principale con il quale aveva chiesto accertarsi la legittimità del contratto di somministrazione stipulato con A., sul rilievo della intercorrenza con il D. L., sin dal 1999, di un contratto di lavoro subordinato. Deduce al riguardo, l'insussistenza di alcuna connessione fra l'appello incidentale interposto dal lavoratore, e le questioni avanzate col gravame spiegato in via principale, rimarcando la sussistenza di un obbligo per il giudicante, di pronunciarsi sul punto, stante la autonomia delle questioni sollevate.

2. Il motivo è privo di fondamento giacché la Corte di merito, diversamente da quanto argomentato dalla società ricorrente, si è espressamente pronunciata sull'appello principale da essa proposto, non dichiarandolo assorbito, ma espressamente rigettandolo (vedi pagg.3 e 5 della pronuncia impugnata).

Elaborando una rinnovata esegesi del materiale istruttorio acquisito, il giudice del gravame ha ritenuto "raggiunta la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro subordinato" sin dal momento della assunzione del Di L.. Di conseguenza, l'appello principale andava respinto, posto che l'intercorrenza fra il Di L. e la E. di un rapporto di lavoro subordinato sin dal 1/4/1999, comportava la nullità del contratto di somministrazione, "perché il lavoratore somministrato era già dipendente della azienda somministrataria al momento della stipula".

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 2094 c.c. e 116 c.p.c.. Si stigmatizza la sentenza impugnata per la erronea valutazione del compendio probatorio raccolto.

Si deduce che il giudice del gravame avrebbe desunto la sussistenza del rapporto di subordinazione da elementi privi di carattere decisivo (quali l'esistenza di un piano ferie) e da altri elementi (quali gli ordini asseritamente impartiti) che in mancanza di maggiori specificazioni, non risultavano univoci e qualificanti. Si argomenta, conclusivamente, che una corretta lettura del compendio probatorio acquisito, avrebbe dovuto indurre ad escludere l'intercorrenza fra le parti, di un rapporto di lavoro di natura subordinata.

4. Anche questo motivo va disatteso.

Come affermato da questa Corte in numerosi arresti (vedi ex aliis Cass. 17/4/2009 n.9256, Cass. 4/5/2011 n.9808, Cass. 7/10/2013 n.22785) ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale.

Nello specifico va rimarcato che i giudici dell'impugnazione hanno reso una pronuncia conforme ai principi più volte enunciati da questa Corte sulla materia qui delibata.

Posto che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, è stato affermato che l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività di impresa (tra le numerose decisioni, vedi Cass. 19/4/2010 n. 9251).

E' stato, poi, precisato che ulteriori elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse (in questi termini, vedi Cass. 9/3/2009 n.5645).

Nei consolidati approdi ai quali è pervenuta questa Corte, si è altresì considerato che l'esistenza del vincolo di subordinazione va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito; e, nell'ottica descritta, si è ritenuto che laddove sia difficile individuare detto discrimine, per la peculiarità del rapporto, è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale, ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni.

In particolare, è stato enunciato il principio secondo il quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all'opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autoorganizzazione in capo al prestatore (vedi Cass. 21/1/2009 n.1536, Cass. 15/6/2009 n.13858, Cass.16/8/2013 n.19568).

5. Orbene, a siffatti principi si è uniformata la pronuncia della Corte distrettuale, che, procedendo ad una valutazione non atomistica ma complessiva delle risultanze processuali, ha dato atto che il Di L. riceveva ordini e direttive sul lavoro da svolgere dai preposti della E., i quali indicavano le esigenze da soddisfare e le priorità da seguire sulla spedizione del materiale richiesto sulla predisposizione dei documenti di sdoganamento. Ha rimarcato altresì che il lavoratore era inserito nel piano ferie; era tenuto ad avvisare in caso di assenza; era tenuto ad assicurare la propria presenza quotidiana; non aveva mai subito alcun rischio di impresa.

In tal senso la statuizione, in quanto collocata nel solco tracciato dai dieta giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo, è conforme a diritto, risultando altresì sorretta da un congruo impianto motivazionale, coerente con i dati testimoniali acquisiti che definivano i tempi e i modi in cui la prestazione lavorativa della dipendente si articolava quotidianamente, onde resiste alle censure all'esame.

6. Il terzo motivo prospetta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell'art. 360 comma primo n.5 c.p.c..

La ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia omesso ogni valutazione in ordine ai contratti di collaborazione intercorsi fra il Di L. e le società I. ed IMT, (con le quali esisteva un consistente rapporto di fornitura), che avrebbero consentito di comprendere la ragione della presenza del lavoratore all'interno dell'azienda.

7. Il motivo presenta profili di inammissibilità. Deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell'art.360 cod. proc. civ. n.5 applicabile alla fattispecie ratione temporis, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente deve dunque indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art.366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n.8053).

Nella riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n.5 è infatti scomparso ogni riferimento letterale alla "motivazione" della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d'ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione".

Pertanto, l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all'esistenza della motivazione in sé, e si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile".

Nella specie la Corte distrettuale ha proceduto ad una ricognizione critica dei dati testimoniali e documentali acquisiti, congrua e completa per quanto sinora detto, con motivazione che non risponde ai requisiti dell'assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l'esercizio del sindacato di legittimità.

In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto e la ricorrente, secondo la regola della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di A. Di L. e della A. Italia s.p.a..

Nessuna statuizione va invece emessa nei confronti di I. srl I. M. T. ed I. Italia s.p.a., che non hanno svolto attività difensiva.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 e di provvedere in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti Di L. e A. Italia s.p.a., in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 3,comma 1- quater, d.P.R.115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art.13,comma 1-bis.