Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 dicembre 2017, n. 30713

Cartella esattoriale - Contributi previdenziali Inps - Collaborazione coordinata e continuativa - Natura subordinata del rapporto di lavoro - Attività di telemarketing - Azione giudiziaria di accertamento negativo delle pretese contributive - Stasi nel procedimento amministrativo di formazione del ruolo - Necessario provvedimento esecutivo del giudice - Giudizio di opposizione o ricorso in sede amministrativa rispetto al ruolo - Non impedisce all'Inps l'iscrizione di altri crediti

Fatti di causa

La Corte d'appello di Milano, con sentenza n. 5/2012 del 17 febbraio 2012, accogliendo l'impugnazione proposta dall'INPS avverso la sentenza emessa dal Tribunale in funzione di Giudice dei lavoro di Varese, ha rigettato l'opposizione a cartella esattoriale proposta da B. s.r.l. sulla base della infondatezza della pretesa contributiva dell'INPS relativa alla natura subordinata dei rapporti di lavoro intercorsi con V.C. e F.V., qualificate dalla opponente come collaboratrici coordinate e continuative.

La Corte territoriale, dopo aver ritenuto infondata l'eccezione di inammissibilità per genericità dell'atto d'appello e quella di carenza di potere dell'INPS in ordine all'iscrizione a ruolo ex art. 24 d.lgs. n.46/1999 per la pendenza di un giudizio di opposizione avverso ordinanza ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro a seguito di accertamenti dello stesso ufficio, ha valutato, contrariamente al tribunale, che vi fossero prove idonee della sussistenza della subordinazione nelle prestazioni rese dalle due lavoratrici da ravvisarsi nel fatto che, a fronte della generica indicazione sull'oggetto e sulle modalità dell'attività da svolgere indicata nel contratto stipulato nell'ottobre 1999, era emerso dall'esame degli atti che l'attività svolta non era di consulenza ma di telemarketing ed inserimento dati al computer e che gli stessi contenuti del contratto stipulato nell'ottobre 2002 deponevano per la sussistenza degli indici della subordinazione quali l'utilizzo di beni aziendali e rispetto dell'orario di lavoro. Inoltre, la prova testimoniale aveva confermato tali valutazioni dimostrando che le lavoratrici dovevano giustificare le assenze ed erano soggette a controlli.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione B. s.r.l. articolando quattro motivi cui resiste l'INPS con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e o falsa applicazione dell'art. 434 cod. proc. civ. in relazione al rigetto dell'eccezione di inammissibilità dell'atto d'appello proposto dall'INPS fondata sul difetto di specificità dell'impugnazione; il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 24 del d.lgs. n. 46/1999 in relazione alla circostanza che l'iscrizione a ruolo era avvenuta prima della decisione del ricorso in opposizione avverso ordinanza ingiunzione emanata dalla Direzione provinciale del lavoro di Varese a seguito dello stesso verbale ispettivo sotteso alla cartella impugnata; il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 2697 cod. civ. e la falsa applicazione degli artt. 246 cod. proc. civ. e 10 del d.lgs. 124/2004 e contestualmente l'omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla circostanza che, ferma l'irrilevanza dei contenuti del verbale ispettivo, l'INPS non avrebbe assolto all'onere di provare la natura subordinata dei rapporti di lavoro intercorsi con le signore C. e V. anche in ragione dell'incapacità a testimoniare di quest'ultima; il quarto motivo di ricorso, infine, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 e ss. cod. civ. laddove la Corte territoriale aveva ritenuto I'esistenza di una presunzione di subordinazione richiamandosi a precedenti di legittimità non correlati al caso di specie con ciò errando nel procedimento di qualificazione dei rapporti di lavoro in contestazione.

2. Il primo motivo è inammissibile. La giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha in più occasione affermato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, fondato sul principio della responsabilità della redazione dell'atto, vale anche per i motivi d'appello in relazione ai quali si denuncino errori da parte dei giudici di merito. Ne consegue che il ricorrente, che (come nella fattispecie) denunci la violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 414 cod. proc. civ. nonché la omessa ed insufficiente motivazione circa la mancata declaratoria della nullità dell'atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i detti motivi formulati dalla controparte (Cass. n. 9734/2004; 86/2012). Il motivo in esame, in contrasto con tale principio, si limita ad esprimere una valutazione di genericità dei motivi d'appello proposti dall'INPS ma non li riproduce, né riporta il loro contenuto. Viene, solamente, trascritto il punto della motivazione della sentenza impugnata che spiega le ragioni dell'infondatezza dell'eccezione di genericità dell'appello contrastandola con l'affermazione che l'unico articolato motivo d'appello aveva criticato la valutazione dell'istruttoria specificando i vari punti contestati. Deve, peraltro, ricordarsi che questa Corte di legittimità (vd. n. 86/2012; 12664/2012) ha pure affermato che anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione "errores in procedendo", in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali. In applicazione di questo principio, la S.C. ha affermato che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l'inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la genericità, e non può limitarsi a rinviare all'atto medesimo.

3. Il secondo motivo è infondato. La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata abbia violato l'art. 24 terzo e quarto comma del d.lgs 46/1999 in quanto ha ritenuto legittima l'iscrizione a ruolo del credito contributivo, avvenuta il 28.11.2005, nonostante fosse pendente un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro a seguito del medesimo verbale di accertamento posto a base dell'iscrizione a ruolo.

4. Questa Corte di cassazione ha di recente affermato il principio secondo cui l'art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999, riconnette l'effetto impeditivo dell'iscrizione a ruolo all'atto di accertamento posto a monte e non già dell'atto esecutivo che sta a valle. (In applicazione del principio la S.C, confermando la sentenza di merito, ha ritenuto che il giudizio di opposizione al ruolo comunicato con cartella esattoriale - o il ricorso in sede amministrativa - non impedisce all'Inps l'iscrizione di altri crediti, pur se il ruolo impugnato si fondi sulle medesime premesse di fatto e di diritto di quelli successivamente formati, salvo l'eventuale effetto preclusivo vincolante della formazione del giudicato su uno dei giudizi di opposizione). (Cass. n. 9159/2017).

5. In particolare, l'art. 24 terzo comma cit. prevede l'impugnazione dell'atto di accertamento da cui derivano conseguenze sanzionatorie al fine di agevolare, attraverso un unico preliminare accertamento giurisdizionale, la risoluzione di una serie di controversie distinte che potrebbero derivare dallo stesso atto di accertamento in tempi e con soggetti pubblici diversi (ad es. INPS, INAIL, DTL) in applicazione del principio d'economia dei mezzi giuridici ed anche allo scopo di evitare il proliferare dei processi, con rischio di esiti contraddittori.

Dal tenore della norma si deduce, inoltre, che in caso di proposizione dell'azione di accertamento negativo delle pretese contributive iscrivibili in ruoli, si determina una stasi nel procedimento amministrativo di formazione del ruolo, ovvero una temporanea carenza del potere-dovere della p.a. di agire in via esecutiva. Infatti in pendenza del ricorso in prevenzione contro l'accertamento, l'iscrizione a ruolo non potrà essere eseguita ed occorrerà attendere un provvedimento esecutivo del giudice (che convalidi in tutto o in parte la pretesa previdenziale di cui all'atto impugnato) ed in conformità allo stesso.

Da tali premesse discende che l'opposizione all'ordinanza ingiunzione emessa dalla D.P.L., poiché riferita ad un provvedimento consequenziale rispetto all'atto di accertamento che sta a monte, non coincide con l'impugnazione dell'accertamento ispettivo in sé considerato che può impedire la legittima iscrizione a ruolo del credito contributivo.

6. Con il terzo motivo la parte deduce che la corte territoriale ha giudicato sulla base del solo verbale ispettivo, violando la regola del riparto dell'onere della prova incombente sull'Inps e non rilevando che l'unico accertamento effettuato tra il febbraio ed il marzo 2002, durante l'esecuzione delle collaborazioni, aveva confermato la regolarità delle medesime. Il giudizio si sarebbe, quindi, formato sulla base di mere petizioni di principio e senza concreti accertamenti in tatto ed in più la sentenza impugnata non avrebbe spiegato l'incongruenza tra l'esito di regolarità del verbale del 2002 e la conclusione dell'accertamento del 2004, sotteso alla cartella e che era stato sollecitato dalla denuncia di F.V.. La testimonianza delle due presunte lavoratrici dovrebbe poi ritenersi nulla o almeno inattendibile attesa l'incapacità a testimoniare delle medesime nel giudizio di accertamento dell'obbligo contributivo.

6.1. Il motivo che richiama contemporaneamente il vizio di violazione di legge e l'omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio è infondato e, per certi versi, inammissibile. Infatti, la Corte territoriale non ha posto in essere alcuna violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ., configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma. La sentenza impugnata, infatti, non attribuisce alla società opponente l'onere di provare che i rapporti di collaborazione fossero genuini ma poggia sulla concreta valutazione del complessivo materiale istruttorio e la questione viene risolta attraverso la valutazione di sufficienza degli indici di subordinazione ravvisati e singolarmente esaminati.

6.2. Quanto, poi, alla ulteriore denuncia di falsa applicazione dell'art. 246 cod. proc. civ. va rilevato che il motivo è privo di specificità. Infatti, deve ricordarsi che (vd. Cass. SS.UU. n. 21670/2013) la nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell'art. 246 cod. proc. civ., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., qualora detta eccezione venga respinta, l'interessato ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.

Da ciò discende che qualora, in sede di ricorso per cassazione, venga dedotta l'omessa motivazione del giudice d'appello sull'eccezione di nullità della prova testimoniale (nella specie, per incapacità ex art. 246 c.p.c.), il ricorrente ha l'onere, anche in virtù dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare che detta eccezione è  stata sollevata tempestivamente ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c. subito dopo l'assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 c.p.c., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo. (vd. Cass. n. 6555/2005; 23896/2016).

Nel caso di specie il motivo risulta del tutto carente di tali indicazioni.

6.3. E' infondata la denuncia di falsa applicazione dell'art. 10 del d.lgs. 124/2004. La critica è diretta a scardinare il giudizio della Corte territoriale sulla effettiva sussistenza dei rapporti di lavoro subordinati attraverso la considerazione della sostanziale inidoneità probatoria degli elementi raccolti in sede di accertamento ispettivo che, a seguito della introduzione del d.lgs. n. 124/2004 avrebbe perso la sua connotazione di atto pubblico che fa prova fino a querela dì falso.

La sentenza impugnata, tuttavia, non ha posto in essere la violazione addebitatale in quanto ha proceduto alla disamina dei contratti collaborazione coordinata e continuativa stipulati nell'ottobre 1999 e nell'ottobre 2002 con V.C. e quello stipulato il 1.10.2002 con F.V., ha tenuto conto della testimonianza di F.V., dell'ispettrice G. e dell'amministratore della società B. ed ha, quindi, dato applicazione al principio più volte espresso da questa Corte secondo il quale, nel giudizio promosso dal contribuente per l'accertamento negativo del credito previdenziale incombe all'INPS l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l'Istituto fondi su rapporto ispettivo. A tal fine, il rapporto ispettivo dei funzionari dell'ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi), restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass. 9521/2010; 22862/2010; 14965/2012).

7. Il terzo motivo contiene anche la denuncia di vizio di omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. e la sua illustrazione riporta, oltre a valutazioni relative al valore in concreto attribuibile ad accertamenti svolti in epoca successiva alla cessazione dei rapporti ed alla irrilevanza delle qualificazioni giuridiche adottate dai verbalizzanti, i punti della decisione del Tribunale di Varese che aveva accolto le tesi difensive della società. Inoltre, dopo l'inserimento nel testo della riproduzione della nota della Direzione provinciale del lavoro di Varese inviata a F.V. e relativa agli esiti delle denunce dalla stessa presentate, il motivo ravvisa in tale documento il dato probatorio decisivo per l'esito dei giudizio trascurato immotivatamente. Infatti, da tale nota poteva evincersi che per il periodo 1.3.1999- 31.1.2002 il rapporto di collaborazione era stato riconosciuto valido.

7.1. Il motivo è infondato.

In primo luogo, infatti, va osservato che il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006 ratione temporis applicabile alla fattispecie, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo.(vd. Cass. 17761/2016; 21152/2014).

Nel caso di specie, il fatto decisivo dovrebbe ravvisarsi nella circostanza che un primo accertamento ispettivo svoltosi nell'anno 2002 si era concluso con il riconoscimento di validità del rapporto di lavoro di collaborazione continuativa svoltosi con F.V.. E', tuttavia evidente che, per ritenere- nei soli confronti di tale lavoratrice- la potenziale decisività di un simile accertamento, al fine di definire in senso positivo per la ricorrente la presente controversia, occorrerebbe attribuire all'intervenuto accertamento un valore di inoppugnabilità di cui è decisamente privo trattandosi di attività amministrativa ispettiva, non destinata ad assolvere alla funzione di accertamento della natura giuridica dei rapporti di lavoro esaminati.

La motivazione della corte territoriale è, dunque, certamente sussistente, priva di lacune o di incongruenze logico giuridiche: la Corte ha, con preciso riferimento alle emergenze istruttorie, accertato che le due lavoratrici, indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con la società ricorrente, agivano secondo gli ordini del titolare, erano obbligate alla presenza giornaliera ed a osservare un orario di lavoro predeterminato che se non osservato le obbligava a pagare una penale; percepivano una retribuzione fissa e svolgevano semplici mansioni di fissazione di appuntamenti con potenziali clienti; erano obbligate a presentare certificato medico in caso di malattia come provato documentalmente. Ha poi spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di non dare rilievo all'accertamento ispettivo svoltosi nel 2002, trattandosi di accertamento effettuato senza la collaborazione delle lavoratrici, contraddetto dalle risultanze istruttorie raccolte.

8. Il quarto motivo, infine, lamentando la violazione e o falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ. critica, in realtà, io sviluppo della motivazione della sentenza impugnata laddove la stessa nel dare sostegno alla decisione ha richiamato precedenti di legittimità ritenuti non coerenti con le fattispecie concrete.

Inoltre, sarebbero errati i criteri utilizzati per qualificare come subordinati i rapporti lavorativi delle lavoratrici.

Deve ricordarsi che questa Corte di legittimità, con orientamento consolidato, ha affermato che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale (vd. Cass. n. 9808/2011; 23455/2009).

Ora, la sentenza impugnata, dopo aver indicato i molteplici elementi di giudizio utilizzati per giungere alla qualificazione dei rapporti lavorativi, ha elencato varie massime di questa Corte di cassazione riferite a fattispecie in cui, posto che la prestazione lavorativa di collaborazione era resa all'interno dell'azienda con materiali ed attrezzature proprie della stessa (Cass. n. 10043/2004, 11502/2000), si è ritenuta la sussistenza di una presunzione di dipendenza ex art. 2094 cod. civ. Inoltre, sul presupposto che talune attività avrebbero potuto essere svolte sia in regime di subordinazione che di autonomia, la sentenza richiama Cass. 18692/2007, secondo cui la presunzione di subordinazione opera laddove le mansioni svolte sono del tutto corrispondenti a quelle dei lavoratori subordinati dell'impresa. Infine, laddove, invece gli indici risultano non univoci perché non è agevole l'apprezzamento della etero direzione e dello stabile inserimento industriale, la sentenza ha richiamato la necessità di una valutazione globale dei dati raccolti mediante utilizzo anche di criteri sussidiari quali il rischio economico o l'esistenza di una organizzazione imprenditoriale (Cass. n. 11502/2000).

9. E' proprio alla luce del principio di necessaria valutazione di tutti gli elementi di prova raccolti mediante la loro reciproca relazione che la sentenza ha giudicato sulla qualificazione dei rapporti di lavoro, in ragione dell'affermazione del principio di effettività. Nessun automatismo presuntivo risulta, quindi, utilizzato ed, anzi, vi è piena applicazione del principio affermato da questa Corte di legittimità secondo il quale ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato assume rilievo l'accertamento, da parte del giudice del merito, della sussistenza del requisito della subordinazione - incensurabile in sede di legittimità se correttamente e sufficientemente motivato - intesa come assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporne secondo le mutevoli esigenze di tempo e di luogo proprie dell'organizzazione imprenditoriale e di controllarne intrinsecamente lo svolgimento attraverso direttive alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, così come è obbligato a mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie energie lavorative per il raggiungimento degli scopi produttivi dell'impresa. Rispetto a tale accertamento hanno rilievo sintomatico elementi quali la continuità della prestazione, il versamento a cadenze periodiche fisse del relativo compenso, il coordinamento dell'attività lavorativa rispetto all'assetto organizzativo aziendale, l'esecuzione del lavoro all'interno della struttura dell'impresa con materiali ed attrezzature proprie della stessa, non essendo ciascuno di essi, autonomamente considerato, idoneo a determinare la qualificazione del rapporto, ma potendo essi costituire, globalmente considerati nell'ambito dell'indagine volta ad accertare la sussistenza del requisito della subordinazione, indici concordanti, gravi e precisi, rivelatori dell'effettività di tale sussistenza (Cass. n. 3853/1995; 10831/1997; 5214/1998; 8555/2001).

10. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore del contro ricorrente delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida, in favore del contro ricorrente, in Euro 4000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.