Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 novembre 2017, n. 26474

Pensione di anzianità - Compensi percepiti in virtù del lavoro prestato all'estero - Inclusione nella base di calcolo - Omissione contributiva - Transazione tra le parti all'atto della cessazione del rapporto - Ricorso inammissibile - Censura in sede di legittimità solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 23.3.2011, la Corte d'appello di Roma confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato le domande proposte da E.D.F. volte, rispettivamente, alla riliquidazione della propria pensione di anzianità con l'inclusione, nella relativa base di calcolo, dei compensi percepiti da A. s.p.a. in virtù del lavoro prestato all'estero e al risarcimento del danno cagionatogli da A. s.p.a. in conseguenza dell'omissione contributiva.

La Corte, per quanto qui rileva, riteneva che i contributi sulla cui base avrebbe dovuto effettuarsi la riliquidazione del trattamento pensionistico si fossero prescritti e, con riguardo alla domanda risarcitoria, che la stessa fosse preclusa per effetto della transazione intervenuta tra il lavoratore e il datore di lavoro all'atto della cessazione del rapporto. Contro tali statuizioni ricorre E.D.F. con tre motivi. Resistono con controricorso l'INPS e A. s.p.a. in amministrazione straordinaria, che propone altresì ricorso incidentale avverso il capo della sentenza che ha ritenuto che il processo dovesse proseguire nei suoi confronti nonostante nelle more fosse intervenuto il collocamento in amministrazione straordinaria. La società ha anche depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 38, I. n. 153/1969, 2941 n. 8 c.c., 23-ter, d.l. n. 267/1972 (conv. con I. n. 485/1972), e 3, d.lgs. n. 80/1992, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che i contributi dovuti sulle somme corrisposte a titolo di trattamento estero si fossero prescritti nonostante che il datore di lavoro avesse occultato il reale imponibile previdenziale e, comunque, per non avere applicato alla fattispecie sottoposta al suo esame la clausola di salvaguardia che abilita il lavoratore a chiedere che i contributi omessi e prescritti dovuti da un datore di lavoro sottoposto a procedura concorsuale possano essere considerati come versati.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 13, comma 2, lett. a), Regolamento CE n. 1408/1971, in relazione al fatto che, non essendo stato il trattamento estero assoggettato a contribuzione nel Paese di svolgimento della prestazione lavorativa, doveva essere assoggettato a contribuzione secondo la legge italiana.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 c.c., 2115 e 2116 c.c., nonché degli artt. 1341, 1342, 1972 e 1975 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto che la transazione stipulata con la società odierna controricorrente fosse produttiva di effetti, nonostante la sua unilaterale predisposizione da parte datoriale, e in specie di effetti preclusivi della domanda risarcitoria per omessa contribuzione, nonostante che all'epoca della sua sottoscrizione egli non avesse contezza di quest'ultima.

Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile.

Come riportato nello storico della lite, la Corte di merito ha rigettato la domanda di riliquidazione della pensione unicamente sul rilievo dell'avvenuto spirare del termine prescrizionale dei contributi dovuti sul trattamento economico di cui si chiedeva il computo nella base di calcolo della pensione medesima, senza nulla dire né in ordine alla sussistenza di una volontà datoriale di occultarli, che presuppone logicamente l'accertamento della consapevolezza della loro debenza, né, prima ancora, sull'effettivo obbligo datoriale di versarli. E poiché le doglianze di cui al motivo in esame sollevano questioni che implicano un accertamento di fatto e non risultano in alcun modo trattate nella sentenza impugnata né indicate nelle conclusioni ivi epigrafate, parte ricorrente, nel proporle in sede di legittimità, avrebbe dovuto, a pena d'inammissibilità, non soltanto allegarne l'avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma altresì indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo a questa Corte di controllarne ex actis la veridicità, prima di esaminarle nel merito (cfr. in tal senso da ult. Cass. n. 8206 del 2016).

Egualmente inammissibile è il secondo motivo: fermo restando che, per i rapporti di lavoro sorti in Italia nel corso dei quali il dipendente venga inviato, sia pure per lunghi periodi, all'estero, non si pone un problema di efficacia territoriale dell'assicurazione generale obbligatoria, essendo tenuto il datore di lavoro a versare i contributi previdenziali relativi alla retribuzione corrisposta anche con riferimento ai periodi in cui il dipendente presti l'attività lavorativa all'estero (Cass. n. 18753 del 2005), è sufficiente sul punto rilevare che parte ricorrente svolge nel motivo in esame rilievi del tutto estranei al contenuto decisorio della sentenza gravata, onde non può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della pronuncia impugnata comporta l'inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest'ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c. (v. in tal senso Cass. n. 17125 del 2007 e numerose successive conformi).

Parimenti inammissibile è il terzo motivo.

E’ inammissibile, anzitutto, perché pretende di censurare per violazione di legge il giudizio (di fatto) reso dalla Corte di merito circa i caratteri propri della transazione stipulata inter partes, dal momento che di violazione di legge può rettamente parlarsi allorché la sentenza impugnata abbia compiuto un'erronea ricognizione della norma recata da una disposizione di legge, dovuta o ad un'erronea interpretazione della medesima ovvero all'erronea sussunzione del fatto così come accertato entro di essa, e non certo quando si deduca un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, trattandosi di questione esterna all'esatta interpretazione della norma e che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura, ratione temporis, era possibile in sede di legittimità solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 15499 del 2004, 18782 del 2005, 5076 e 22348 del 2007, 7394 del 2010, 8315 del 2013).

Ma anche a voler dare ingresso alla censura, sulla scorta del principio secondo cui l'erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c. né determina l'inammissibilità del ricorso, se dall'articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (v. da ult. Cass. n. 4036 del 2014), il motivo è comunque inammissibile, stante che, non precisando né quando sarebbe altrimenti pervenuto l'estratto conto contributivo del 20.3.2002 (e quando lo si sarebbe detto nel corso del processo), né quando si sarebbe dedotta in giudizio l'unilaterale predisposizione della transazione ad opera del datore di lavoro, prospetta questioni nuove, che, in quanto implicanti accertamenti di fatto, sono inammissibili in sede di legittimità (Cass. n. 20518 del 2008 e, nello stesso senso, Cass. n. 8206 del 2016, cit.).

Alla stregua delle suesposte considerazioni, resta naturalmente assorbito il ricorso incidentale: come insegnato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito (quale, nella specie, l'eccezione di improcedibilità dell'appello, comunque rigettato, in relazione all'intervenuto collocamento dell'appellata in amministrazione straordinaria, disattesa nella sentenza gravata in relazione all'art. 95, comma 3, I. fall.), ha infatti natura di ricorso condizionato all'accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, esso va esaminato dalla Corte solo in presenza dell'attualità dell’interesse, ossia unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. S.U. n. 7381 del 2013).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente principale e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso principale e assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per ciascuna delle parti controricorrenti in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.