Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 gennaio 2018, n. 2389

Tributi - IRAP - Istanza di rimborso - Proventi - "Regime speciale"

 

Fatti di causa

 

Rilevato che:

1. Fondazione B. impugna la sentenza Comm. trib. reg. Veneto 22.3.2010, n. 24/1/10 in RG 358/09 che ha accolto l'appello di Agenzia delle Entrate avverso la sentenza C.T.P. Venezia n. 131/14/2007 in tema di impugnazione avverso il silenzio-rifiuto sull'istanza di rimborso IRAP del 2003;

2. ritenne la C.T.R., qualificato il ricorso come impugnazione del silenzio-rifiuto avverso istanza di rimborso dell'IRAP avanzata sul presupposto che essa sia imposta sul reddito e dunque non dovuta in applicazione della legge n. 28 del 1999, che piuttosto l'IRAP è un'imposta sul valore aggiunto prodotto che colpisce la ricchezza allo stadio della sua produzione e non a quello della sua percezione, né a quello del suo consumo, in ciò rispettivamente distinguendosi sia dalle imposte sui redditi che dall'IVA; dalla natura di imposta di carattere reale, sostituiva dell'ILOR solo parzialmente ed invero costruita su presupposti impositivi ancora diversi dalle comuni imposte dirette reddituali, dunque prescindente dalle condizioni del soggetto passivo d'imposta e per come desumibile anche da Corte cost. n.156 del 2001, la sentenza ha pertanto fatto discendere un riferimento essenziale ai fattori di produzione, così fuoriuscendo dal regime speciale dell'art. 1 co.3 I. 28 cit. che riguarda la non tassazione dei "proventi";

3. la sentenza ha poi escluso che dal silenzio dell'Amministrazione si fosse formato un silenzio-assenso, alla stregua dell'interpretazione datane dal contribuente, negando l'applicazione, richiesta in via subordinata, dell'art. 11 della I. n. 212 del 2000, vigente da data successiva all'interpello formulato dalla B.;

4. il ricorso è articolato su quattro motivi, Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, la B. ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Considerato che:

1. con il primo motivo la B. deduce la violazione dell'art. 1 co.3 I. n. 28 del 1999, derivando dalla ivi prevista esclusione delle imposte sui redditi altresì analoga esclusione dell'IRAP, che ne è una tipologia, stante la metodologia di calcolo sui medesimi componenti rilevanti per il calcolo dell'IRPEG/IRES/IRE, non dovuta;

2. il secondo motivo censura per vizio di motivazione la sentenza, retta su un precedente della giurisprudenza costituzionale inidoneo a configurare l'IRAP come imposta reale;

3. il terzo motivo contesta l'omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento del diritto al rimborso, spettante alla B. ancorché l'IRAP non fosse intesa come imposta sui redditi, ai sensi dell’art. 11 bis d.lgs. n.446 del 1997 che impone di tener conto delle variazioni in diminuzione dei redditi, ciò significando che la sterilizzazione della rilevanza fiscale dei proventi ha automatico effetto anche sull'imponibile IRAP, azzerandolo;

4. il quarto motivo contesta la violazione dell'art.11 della I. n. 212 del 2000, avendo la B. depositato atto di interpello sostanzialmente conforme a quello prefigurato nell'istituto dell'interpello del contribuente di lì a poco introdotto nell'ordinamento, cui non era seguita alcuna risposta diretta e dovendosene ricavare la formazione del silenzio-assenso, secondo la interpretazione dell'imposta data dalla B. nell'atto interlocutorio e dunque in base al principio della concordanza;

5. il primo e il secondo motivo, da trattare in via congiunta perché connessi, sono infondati; la contestazione del negato rimborso procede invero dal richiamo, che avrebbe portata generale quanto a tutte le imposte sui redditi ed anche per l'IRAP, all'art. 1 co.3 della legge n.28 del 1999, che esonera la B. dalle imposte sui redditi; la disposizione, che è inserita in una norma più ampia afferente alla disciplina tributaria delle erogazioni liberali a favore della Società di cultura La B. di Venezia, stabilisce che I proventi percepiti dalla Società di cultura nell'esercizio di attività commerciali, anche occasionali, svolte in conformità agli scopi istituzionali, ovvero di attività accessorie, sono esclusi dalle imposte sui redditi. Si considerano svolte in conformità agli scopi istituzionali le attività il cui contenuto oggettivo realizza direttamente uno o più degli scopi stessi. Si considerano accessorie le attività poste in essere in diretta connessione con le attività istituzionali o quale loro strumento di finanziamento;

6. la base impositiva regolata in regime di esclusione dal cit. art. 1 co.3 ha dunque riguardo ai soli proventi conseguiti nell'esercizio di attività commerciali, non esaurendo la base imponibile invece contemplata dall'art. 1 del d.lgs. n.446 del 1997, che consiste nel valore della produzione netta derivante dall'attività esercitata nel territorio della regione, perciò non sussistendo, già da un punto di vista oggettivo, piena omogeneità di formulazione descrittiva tra ciò che è oggetto di esclusione dall'imposizione tributaria (i soli proventi da attività commerciale, per il computo delle imposte sui redditi) e la base imponibile dell'IRAP (non i redditi percepiti, ma la differenza fra valori e costi della produzione, senza però considerare alcune voci passive ordinariamente incidenti sulla formazione del reddito tassabile, cioè - tra gli altri - il costo del lavoro e dei finanziamenti);

7. quanto alla natura dell'IRAP, i richiami alla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 156 del 2001) e comunitaria (in C- 475/03), permettono di precisare che si tratta di un'imposta a carattere reale che colpisce - cioè viene determinata avendo riguardo a - un fatto economico diverso dal reddito, dunque per un verso compatibile con un parallelo regime di imposizione sul reddito (o, per quel che qui rileva, di esclusione parziale o totale dello stesso) e per altro distinta dalla imposizione dell'IVA; sul primo punto, anche di recente questa Corte ha ribadito che si tratta «di imposta assimilabile all'ILOR, in quanto essa ha carattere reale, non è deducibile dalle imposte sui redditi ed è proporzionale, potendosi, altresì, trarre profili comuni alle due imposte dagli art. 17, comma 1, e 44 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446» (Cass. s.u. 13452/2017);

8. già Cass. s.u.10145/2012 aveva specificato che «l'IRAP è un 'imposta a carattere reale, non deducibile dalle imposte sui redditi (art. 1, D.Lgs. n. 446 del 1997, salvo che, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2012 e per effetto di quanto disposto dall'art. 2, comma 1, D.L. n. 201 del 2011, per un importo pari all'IRAP relativa alla quota imponibile delle spese per il

personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell'articolo 11, commi 1, lettera a), 1- bis, 4-bis, 4-bis.l del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997); il presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 446 del 1997) o, in ogni caso, l'attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato (art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 446 del 1997); é un'imposta proporzionale (art. 16, D.Lgs. n. 446 del 1997) che si applica sul valore della produzione netta derivante dall'attività esercitata nel territorio della regione»;

9. se dunque l'intento agevolativo, connesso alla promozione delle finalità della B., appare volto a neutralizzare, mediante una deroga alla tassazione ordinaria, i proventi da attività commerciale, la interpretazione del relativo regime di favore va intesa in modo restrittivo (cioè non applicando il criterio estensivo), assecondando dunque un criterio ermeneutico coerente con la nominatività degli istituti discrezionalmente utilizzati dal legislatore e ritenuti adeguati alla protezione - dispantana rispetto al regime di qualsiasi altro soggetto, anche non privato - di quella finalità (Cass. 21778/2012, 2222/2011);

10. Corte cost. n.156 del 2001 ha a sua volta ribadito che "rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all'obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale" e che, nel caso dell'IRAP, è stato "individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate."; orbene, tale indice "non può dirsi irragionevole, né comunque lesivo del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l'I.R.A.P., assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l'organizzatore dell'attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori; l’imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione.

11. ma anche il profilo comparativo rispetto all'IVA rafforza la distinzione e l'autonomia dell'IRAP in confronto alle imposte sui redditi, perché il precedente evocato (la sentenza 3 ottobre 2006, resa da CGUE in C-475/03) si è solo posto la questione "per valutare se un'imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di imposta sulla cifra d'affari, ai sensi dell'art. 33 della sesta direttiva", cioè per verificare in particolare "se essi abbiano l'effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune dell'IVA, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo le transazioni commerciali in modo analogo all'IVA"; e ricordato come l'IVA "si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti; viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza; gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo sono detratti dall'imposta dovuta, cosicché il tributo si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e in definitiva il peso dell'imposta va a carico del consumatore finale", la Corte ha concluso che l'IRAP: a) "è invece un'imposta calcolata sul valore netto della produzione dell'impresa nel corso di un certo periodo. La sua base imponibile è infatti uguale alla differenza che risulta, in base al conto economico, tra il «valore della produzione» e i «costi della produzione», come definiti dalla legislazione italiana. Essa comprende elementi come le variazioni delle rimanenze, gli ammortamenti e le svalutazioni, che non hanno un rapporto diretto con le forniture di beni o servizi in quanto tali. L'IRAP non deve pertanto essere considerata proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi forniti."; b) "si può collocare all'esterno dell'ambito applicativo dell'art. 33 della sesta direttiva un'imposta la quale colpisca le attività produttive in modo tale che non sia certo che la stessa vada, in definitiva, a carico del consumatore finale, come avviene per un'imposta sul consumo come ¡'IVA. In questo caso, mentre VIVA, attraverso il sistema della detrazione dell'imposta previsto dagli artt. 17-20 della sesta direttiva, grava unicamente sul consumatore finale ed è perfettamente neutrale nei confronti dei soggetti passivi che intervengono nel processo di produzione e di distribuzione che precede la fase di imposizione finale, indipendentemente dal numero di operazioni avvenute (sentenze 24 ottobre 1996, causa C-317/94, Elida Gibbs, Racc. pag. 1-5339, punti 19, 22 e 23, nonché 15 ottobre 2002, causa C-427/98,

Commissione/Germania, Racc. pag. 1-8315, punto 29), lo stesso non vale per quanto riguarda l'IRAPda tale precedente nulla è dunque desumibile per poterne inferire che la sopravvivenza dell'IRAP nell'ordinamento italiano è stata determinata dalla sua assimilazione alle imposte dirette, essendo stata circoscritta la disamina di compatibilità alla differenziazione rispetto alla "cifra d'affari", la base imponibile dell'IVA, per concludere nel senso della differenza sostanziale;

12. il terzo motivo è infondato, per quanto esso impropriamente censuri la sentenza alla stregua del vizio di omessa pronuncia e non della violazione di legge; la regola posta dall'art. 11 bis d.lgs. n.446 del 1997, laddove richiama, al fine della formazione della base imponibile IRAP, le stesse variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte dirette, non può essere letta alla rovescia, cioè assumendo che se si parte dalla esclusione dall'imposizione delle imposte dirette di cui al cit. art. 1 co.3 I. n.28 del 1999, ne conseguirebbe ipso jure l'assenza di base imponibile anche dell'IRAP; l'art.11 bis co.l funge da criterio correttivo - e nemmeno assoluto, per via delle deroghe ai commi 2 e 3 - rispetto alla determinazione della base imponibile IRAP, prescrivendo che le variazioni del valore fiscale della produzione netta operino, ma solo tendenzialmente, in parallelo, cioè calcolando gli stessi incrementi o diminuzioni che incidono per le imposte dirette: I componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione, cosi' come determinati ai sensi degli articoli 5, 6, 7, 8 e 11, si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi; ma la previsione di non assoggettabilità alle imposte dirette dei proventi da attività commerciale, disciplinata dall'art. 1 co.3 della I. n. 28 del 1999, non costituisce in sé un fattore di variazione diminutiva del valore della produzione netta, né del reddito, limitandosi piuttosto a sancirne l'insensibilità ai fini delle sole imposte dirette; ciò significa che un'autonoma regola di determinazione o trattamento dell'imponibile quanto alle imposte dirette, sino all'estremo della non assoggettabilità, integra una norma speciale rispetto alla base imponibile IRAP, così che ogni altro fattore, invocato in diminuzione o in aumento, astrattamente operabile per determinare l'imponibile ai fini delle imposte dirette, attiene al diverso piano delle norme efficacemente inquadrate da Cass. 2332/2009 : «l'applicazione delle norme del TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986, artt. dal 53 al 76) che prevedono variazioni in aumento e in diminuzione rispetto al risultato del conto economico civilistico: una sorta di "correzione fiscale" del bilancio, che, tuttavia, deve ritenersi limitata ai soli fini della quantificazione dei valori e non in base alla loro qualificazione (ossia alla loro individuazione), dato che la normativa IRAP fa riferimento con precisione ai componenti specificamente rilevanti mediante un non generico rinvio all'art.2425 c.c. e una dettagliata elencazione contenuta nel D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11. Ciò significa che se un elemento, classificabile in una voce del conto economico considerato rilevante, sia escluso dalla determinazione del reddito, tale componente deve tuttavia entrare a far parte della base imponibile IRAP, in quanto in tal caso si è al di fuori dell'area della quantificazione: la norma di esclusione è, infatti, norma di qualificazione cioè di individuazione e lo stesso discorso vale per i regimi tributali sostitutivi.» o, come nella fattispecie, per il regime di esonero dalle imposte dirette;

13. il quarto motivo è per un profilo inammissibile, già per difetto di specificità, avendo omesso il ricorrente di riportare, almeno nei termini essenziali e decisivi ai fini della lite, il contenuto della istanza inoltrata all'Ufficio e delle risposte, sulla questione ed anche indirette, fornite, così da permetterne il vaglio di correttezza interpretativa nella decisione impugnata; per altro profilo della censura, appare precluso un apprezzamento di concludenza dell'atto richiamato, poiché alla data di formulazione dell'istanza di "interpello ordinario" (in allora disciplinato dalla normativa secondaria e da prassi dell'Amministrazione), non sussisteva l'istituto dell'interpello codificato all'art. 11 co.2. della legge n.212 del 2000, la cui innovatività (Cass. 21070/2011), anche per il dettaglio procedimentale ivi previsto e di cui non vi è contezza di riproduzione nella vicenda, impedisce anche solo l'astratta invocazione, a favore del contribuente che si sia rivolto in siffatto modo all'Ufficio, di alcuna qualificazione ex post di silenzio-assenso alla tesi prospettata nell'istanza stessa, cui non segua una risposta diretta e rituale dell'amministrazione;

14. il ricorso della contribuente va pertanto rigettato,

con condanna alle spese secondo la liquidazione meglio indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso della contribuente; condanna la stessa al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in euro 10.000, oltre le spese prenotate a debito.