Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 novembre 2016, n. 23359

Licenziamento - Tutela obbligatoria - Applicabilità - Onere probatorio

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Napoli con la sentenza n. 3014 del 2014 - all'esito del rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 17336 del 2012 (che cassò la sentenza d'appello che aveva accolto il primo motivo di impugnazione di P. s.r.l. dichiarando nulla la notifica del ricorso introduttivo del giudizio e rimesso le parti al primo giudice) - confermava la sentenza del Tribunale che aveva ordinato a P. s.r.l., in virtù dell'illegittimità del licenziamento intimato a S.F. con comunicazione del 27/7/2005, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed applicato le ulteriori conseguenze previste dall'art. 18 della L. n. 300 del 1970, nella formulazione all'epoca vigente.

La Corte territoriale, premettendo che la materia del contendere nel giudizio di rinvio era limitata alla sola questione della tutela applicabile al lavoratore illegittimamente licenziato con riguardo al requisito dimensionale della società, riteneva che questa non avesse adempiuto all’onere probatorio, su di essa gravante, di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità della tutela obbligatoria, in quanto non aveva ottemperato all'ordinanza pronunciata dalla Corte d'appello ex art. 437 c.p.c. in data 20 marzo 2014, all'esito della contestazione tempestivamente formulata dal F. della conformità delle copie prodotte agli originali, di produrre i libri matricola, avendo depositato il solo libro matricola della sede di Napoli, e non anche delle sedi di Acropoli, Caserta e Benevento. Né il mancato adempimento della difesa poteva essere giustificato sulla base dell'insufficienza della comunicazione a mezzo pec da parte della cancelleria del contenuto dell'ordinanza collegiale, che riferiva solo la data del rinvio senza indicazione degli adempimenti richiesti, in quanto con tale provvedimento la Corte aveva rimesso la causa sul ruolo ponendola in decisione e quindi il provvedimento doveva considerarsi letto in udienza, sicché era onere della parte prenderne visione.

Il difensore peraltro aveva avuto conoscenza del contenuto dell'ordinanza, considerato che in data 1 aprile aveva depositato una nota con accluso il libro matricola della sede di Napoli.

Per la cassazione della sentenza P. Srl ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso S.F.. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Il controricorrente ha eccepito in via preliminare inammissibilità del ricorso per violazione dell'articolo 369 ultimo comma c.p.c., non risultando tra gli atti che il ricorrente dichiara di depositare l'istanza prescritta dalla suddetta disposizione; ha eccepito altresì l'inammissibilità del deposito della copia dell'estratto contributivo Inps relativo a periodi di data antecedente alla decisione impugnata, dichiarando di disconoscere la conformità delle copie rispetto all'eventuale originale.

1.1. In merito alla prima eccezione, questa Corte ha già chiarito (v. Cass. n. 5108 del 03/03/2011) che il mancato deposito dell'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio (art. 369, ultimo comma, cod. proc. civ.) nel termine fissato per il deposito del ricorso per cassazione, cioè entro venti giorni dalla notificazione, determina l'improcedibilità del ricorso stesso soltanto se l'esame di quel fascicolo risulti indispensabile ai fini della decisione del giudice di legittimità, circostanza la cui ricorrenza sarà esaminata nel corso dell’esame dei singoli motivi.

1.2. Il deposito di nuova documentazione in sede di legittimità è poi senz'altro inammissibile, al di fuori delle eccezioni previste dall'art. 372 1 comma c.p.c..

2. Come primo motivo, la società ricorrente deduce violazione dell'articolo 360 nn. 3 e 4 c.p.c. in relazione agli articoli 134 comma 2 e 136 c.p.c., dell' art. 45 disp.att. c.p.c. come novellato, degli articoli 176 e 177 ultimo comma e degli articoli 420 e 423 c.p.c.. Argomenta che non era obbligatoria la lettura in udienza dell'ordinanza resa dalla Corte d'appello in sede di udienza filtro ex art. 348 bis e ter c.p.c., sicché se ne imponeva la comunicazione integrale alle parti, e, in difetto, la società avrebbe dovuto essere rimessa in termini per la produzione integrale dei libri matricola.

2.1. Il motivo è inammissibile, non essendo possibile ricostruire sulla base del contenuto del ricorso e dei suoi allegati la vicenda processuale sulla quale il motivo incide. Allo scopo sarebbe stato infatti necessario prendere vision al contenuto del verbale di udienza, onde verificare se l'ordinanza fosse o meno ivi inserita ex art. 134 c.p.c., il che avrebbe determinato l'esonero dall'obbligo di comunicazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione e del secondo comma dell'art. 176 c.p.c., sia del contenuto dell'ordinanza della Corte d'appello investita dal motivo. Il ricorrente non ha tuttavia prodotto tali atti unitamente al ricorso, né ne ha riprodotto il contenuto contestualmente indicandone la collocazione in atti, e si è limitato a produrre la pec che comunicava il rinvio dell'udienza.

Se è pur vero che in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (v. Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526 del 2002), è altresì vero che, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8077 del 2012, affinché questa Corte possa riscontrare mediante l'esame diretto degli atti l'intero fatto processuale, è necessario comunque che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute negli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (ex plurimis, Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 8008 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 del 2012, cit.), il che nel caso non è avvenuto.

3. Come secondo motivo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 416 c.p.c. secondo comma, 436 e 437 c.p.c., degli artt. 215, 112 e 115 c.p.c. secondo comma, 436 c.p.c., degli artt. 2697, 2712 e 2719 c.c..

Sostiene che la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare che la mancata conformità all'originale delle fotocopie prodotte non era più disconoscibile, non avendovi provveduto controparte nell'originaria memoria difensiva in appello, ma solo nel giudizio di rinvio.

3.1. Il motivo è infondato.

La Corte d'appello ha affermato che il disconoscimento della conformità delle fotocopie agli originali era stato tempestivamente formulato. Tale affermazione non è utilmente confutata dal ricorrente, considerato che nella memoria difensiva del giudizio d'appello introdotto da P. s.r.l., depositata da F. per l'udienza del 15.11.2007, (allegata al ricorso per cassazione), a pg. 4 si affermava l'irrilevanza delle fotocopie dei libri matricola prodotte dalla controparte nel giudizio di secondo grado, aggiungendo "delle quali si contesta e disconosce la conformità all'originale ai sensi degli artt. 2712 e 2719 c.c.". Risulta quindi non rispondente al vero l'affermazione formulata a pg. 13 del ricorso secondo la quale tale contestazione sarebbe stata formulata per la prima volta di fronte al giudice del rinvio. La cassazione della prima sentenza d'appello ha quindi imposto al giudice del rinvio di esaminare i motivi di appello proposti da P. - ulteriori rispetto al primo che aveva ad oggetto la sua dichiarazione di contumacia - e le eccezioni e contestazioni ad essi relative, ed all'esito dell'esame è giunta alla statuizione qui censurata.

4. Come terzo motivo di ricorso, P. s.r.l. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1225, 1227 c.c. e 1219 c.c., nonché dell'art. 3 della Costituzione e dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970 e lamenta che la Corte d'appello abbia riconosciuto anche i danni non prevedibili al momento dell' intimazione del licenziamento, considerato anche che la Corte d'appello nella sentenza poi cassata aveva rigettato la domanda del F. e quindi la mancata riammissione in servizio non derivava da colpa della società; lamenta altresì che il giudice del rinvio non abbia considerato la percezione da parte del F. di altri redditi nel periodo considerato, senza accertare se egli avesse prestato attività lavorativa; deposita l'estratto contributivo Inps che attesta tale circostanza.

4.1. Neppure tale motivo è fondato.

Il risarcimento del danno derivante dall'illegittimo licenziamento è stato predeterminato ex lege dall'art. 18, quarto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, applicabile ratione temporis ed in concreto applicato dal giudice territoriale. Come questa Corte ha in più occasioni ribadito, il risarcimento nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione "juris et de jure" del danno causato dal recesso, assimilabile ad una sorta di penale connaturata al rischio di impresa; la corresponsione, invece, dell'indennità commisurata alla retribuzione effettivamente non percepita costituisce una presunzione "iuris tantum" di lucro cessante, costituendo onere del datore provare che tale danno ulteriore non sussiste (cfr Cass. n. 23666 del 11/11/2011).

Nel caso, la società lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto dell'aliunde perceptum al fine di ridurre l'importo del lucro cessante. In proposito, costituisce orientamento consolidato quello secondo il quale il cosiddetto "aliunde perceptum" non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio dal giudice: allo scopo, tuttavia, le relative circostanze di fatto devono risultare ritualmente acquisite al processo (Cass. n. 18093 del 25/07/2013, n. 26828 del 29/11/2013), cosa che nel caso non viene dedotta, tanto che la società produce in questa sede l'estratto contributivo Inps, senza riferire se ed in che modo esso fosse stato prodotto in sede di merito. In tal senso, la deduzione introduce inammissibilmente in questo giudizio circostanze fattuali nuove, mentre in sede di legittimità, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. (Cass. n. 23675 del 18/10/2013, Cass. n. 4787 del 26/03/2012, Cass. n. 3664 del 21/02/2006).

3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti previsti dal primo periodo dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 5.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell' art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.