Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 ottobre 2016, n. 20860

IVA - Rimborso credito IVA - Dichiarazione dei redditi - Termine decadenziale

 

Fatto e diritto

 

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la "violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 57 del D.p.r. n. 633/1972 nonché dell’art. 5, comma 5, dell’art. 8, comma 1 e deII’art. 9 commi 1 e 3, del D.Lgs. n. 471/1997 (art. 360 n. 3 c.p.c.)" per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto che "il diniego di rimborso di un credito IVA" — nella specie maturato nell’anno 1994, riportato a nuovo e chiesto a rimborso nella dichiarazione dei redditi dell’anno 2006 — "non è soggetto al termine decadenziale stabilito dall'art. 57 e può essere emanalo finché il contribuente abbia il diritto di ottenere il rimborso dell’eccedenza".

2. Con il secondo mezzo si censura analogamente la "violazione dell'art. 10 legge 27 luglio 2000 n. 212 dello Statuto dei diritti del contribuente (art. 360 n. 3 c.p.c.)", per essere il principio così affermato dai giudici d’appello "lesivo del principio di buona fede e collaborazione" ivi previsto.

2.1. I primi due motivi — che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente - sono manifestamente infondati, alla luce della recente pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte con la quale, a superamento del contrasto giurisprudenziale creatosi, è stato definitivamente statuito che: "in tema di imposta sui redditi, i termini decadenziali stabiliti per procedere all'accertamento in rettifica sono previsti solo per le attività di accertamento di un credito dell’Amministrazione e non per quelle con cui l’Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito", e ciò "ancorché simile soluzione susciti una certa disarmonia nel sistema in quanto, decorso il termine per l’accertamento, alla Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente alla Amministrazione di evitare un esborso e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione" (Cass. s.u. 15 marzo 2016, n. 5069).

2.2. Di conseguenza, deve anche escludersi che il principio nomofilattico così affermato integri la dedotta violazione del principio di buona fede e collaborazione di cui all’art. 10, L. n. 212/00, avendo il Supremo consesso chiarito, al riguardo, che la soluzione ritenuta preferibile (conf. Cass. nn. 194/04, 29398/08, 8612/09, 9524/09, 2918/10, 4587/10, 11441/11, 7899/12; contra, in favore della cd. cristallizzazione del credito di imposta: Cass. nn. 11830/02, 19510/03, 15679/04, 1790/05, 4246/07, 7963/07, 1154/08, 10192/08, 28024/08, 17697/09, 26318/10, 9339/12, 6701/13, 24916/13) rappresenta, in sostanza, "una applicazione del principio secondo cui quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum (art. 1442 c.c.)", e che essa, peraltro, "non lascia senza difesa il contribuente, che ben può impugnare il silenzio della Amministrazione che non dia seguito alla istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale" (Cass. s.u. cit.).

3. E’ invece fondato il terzo motivo, contenente la censura di "nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 57 del D. lgs. n. 546/1992 (art. 360 n. 4 c.p.c.)" per essersi la C.T.R. limitata ad affermare (testualmente) che "per quanto concerne le sanzioni per le quali si eccepisce la violazione va considerata domanda nuova in quanto non proposta con il ricorso introduttivo", quando invece, sin dal ricorso introduttivo, la società aveva "chiesto l’annullamento dell’atto impugnato" — contenente l’irrogazione di sanzioni di "€ 258,00 per aver presentato la dichiarazione IVA con indicazioni inesatte, € 1.032,00 per mancata conservazione della documentazione relativa agli anni 1994/2001 ed € 60.000,00 per aver presentato la dichiarazione IVA con richiesta di rimborso non spettante" (v, pag. 2 del ricorso) - proprio "perché relativo a periodi di imposta (anni 1994/2001) per i quali l’Ufficio era abbondantemente decaduto dal potere di accertamento e/o rettifica".

3.1. Invero, dalla lettura degli atti di causa - trascritti in parte qua da entrambe le parti — emerge che la questione della legittimità delle sanzioni irrogate con "L’atto di contestazione n. TKFC0120035" apparteneva in realtà all’originario thema decidendum, senza che possa indurre a diversa conclusione l'ulteriore argomentazione (meramente additiva) del giudice d’appello per cui — sempre con riguardo alle sanzioni oggetto della ritenuta "domanda nuova" - "comunque, le stesse sono state ampiamente motivate nell'atto di contestazione", trattandosi di affermazione del tutto vaga, generica e comunque non decisiva ai fini della censura in esame.

3.2. Il giudice del rinvio dovrà quindi pronunciarsi espressamente - e tenendo conto della fattispecie concreta, non sottoponibile all’esame del giudice di legittimità — sulla questione delle sanzioni irrogate con l’atto di contestazione per cui è causa, tenendo conto anche delle recenti indicazioni delle Sezioni Unite di cui sopra si è dato conto (sent. n. 5069/16 cit.), con particolare riguardo al principio, ivi affermato, per cui ogni attività diretta all'accertamento (in via di azione) di un credito dell’amministrazione resta soggetta ai "termini decadenziali stabiliti per procedere all’accertamento in rettifica", i quali non valgono invece laddove l'amministrazione medesima si limiti a contestare (in via di eccezione) la sussistenza di un suo debito (quale è il credito chiesto a rimborso dal contribuente).

3.3. Sarà compito del giudice del rinvio valutare anche l'incidenza dello jus superveniens in tema di sanzioni (art. 15, D.Lgs. n. 158/2015).

4. In conclusione, in accoglimento del terzo motivo di ricorso la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice d’appello che, in diversa composizione, provvederà anche alla statuizione sulle spese processuali del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.