Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 luglio 2016, n. 15195

Tributi - Condono tombale ex art. 9, co. 9, Legge n. 289 del 2002 - Efficacia ostativa al recupero del credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate di cui all’art. 8 della Legge n. 388/2000

 

Esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto della decisione

 

1. La società Di Più D. s.r.l. impugnava l'avviso di recupero, emesso ai sensi dell'articolo 8 della Legge n. 388/2000 e notificato il 24 maggio 2007, con cui l'Agenzia delle Entrate aveva proceduto al recupero del credito d'imposta utilizzato per gli anni 2003, 2004 e 2005. La Commissione Tributaria Provinciale di Crotone rigettava il ricorso della contribuente e la sentenza era confermata dalla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro sul rilievo, per quanto ancora interessa, che l’essersi il contribuente avvalso del condono tombale ai sensi dell'articolo 9 della legge 27 dicembre 2002 numero 289 non precludeva all'Ufficio di recuperare il credito d’imposta.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la contribuente svolgendo un unico motivo. Si è costituita in giudizio con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

3. Con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., in relazione all'articolo 9, comma 10, della legge 27 dicembre 2002 numero 289 ed all'articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004 numero 311. Sostiene la ricorrente che la CTR è incorsa in errore nell'affermare che la preclusione derivante dall'articolo 9, comma 10, della legge 289/2002 si potesse riferire ai soli accertamenti d’imposta e non anche al potere di recuperare il credito d'imposta conseguente all'agevolazione prevista dall'articolo 8 della legge 388/2000.

4. Nonostante la prospettiva indicata dall'amministrazione non appaia meritevole di una valutazione in senso favorevole, la sentenza impugnata, tuttavia, non corrisponde, per quanto qui appresso si dirà, alla corretta applicazione della normativa in discussione.

L'orientamento al quale fa riferimento l'amministrazione ricorrente è stato più di recente confermato dalle sentenze n. 2597 del 2014, 20433 del 2014 e 11429 del 2015, ma ancor più di recente è stato contraddetto dalla sentenza n. 3112 del 2016, secondo la quale "il condono di cui all'art. 9 della legge n. 289 del 2002 elide i debiti del contribuente verso l'erario, comportando la preclusione nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati di ogni accertamento tributario, con conseguente illegittimità di ogni attività accertatrice ivi compresa quella di recupero del credito d'imposta, ai sensi dell'art. 9 comma 10, della legge n. 289 del 2002".

Per dirimere il contrasto è opportuno evidenziare che la motivazione della citata sentenza n. 3112 del 2016, difforme dall’orientamento prevalente, consiste nella seguente considerazione: riferendosi alla sentenza n. 2597 del 2014, la ricordata motivazione afferma che "in realtà il rammentato contrario orientamento solo in apparenza si conforma ad altri ivi richiamati precedenti, giacché in quelle altre occasioni la fattispecie divisata dalla Corte era quella ben diversa di un credito d'imposta IVA illegittimamente compensato a causa dell'inesistenza delle operazioni e non riguardava invece come nel presente un credito d'imposta generato da un'agevolazione che la legge espressamente prevede come condonabile".

Questa affermazione va verificata con riferimento alle diverse pronunce attraverso le quali si è formato l'orientamento prevalente:

a) le sentenze n. 375 del 2009, n. 22713 del 2011, n. 23902 del 2011, n. 23948 del 2011 e 11429 del 2015 concernono fattispecie relative a credito IVA (per operazioni inesistenti);

b) anche la sentenza della Corte costituzionale n. 340 del 2005, dalla quale prende le mosse l'orientamento in questione, concerne fattispecie relative a credito IVA (per operazioni inesistenti);

c) la sentenza n. 12337 del 2011 si riferisce, invece, ad una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente giudizio e cioè l'agevolazione prevista dall'art. 8, legge n. 388 del 2000, rispetto alla quale la società contribuente deduce la violazione dell'art. 9, comma 10, legge n. 289 del 2002, motivo respinto dalla Corte come "manifestamente infondato, atteso che - contrariamente all'assunto della contribuente - il condono fiscale elide, in tutto o in parte, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, i quali restano soggetti al potere di accertamento e di contestazione dell'Ufficio (C. Cost. 340/05, Cass. 375/09)".

E' di tutta evidenza che anche nel caso della sentenza n. 12337 del 2011 si fa applicazione alla fattispecie dell'agevolazione prevista dall'art. 8, legge n. 388 del 2000, dei principi elaborati con riferimento ai crediti IVA (in particolare per operazioni inesistenti), mentre si tratta di fattispecie non comparabili.

Invero questa Corte ha ritenuto che l'atto di recupero credito ex art. 8, legge n. 388 del 2000 sia un atto accertativo della pretesa tributaria con natura impositiva e sia sostanzialmente equiparabile all'avviso di accertamento (su questa base la Corte ha ritenuto applicabile anche con riferimento al recupero credito di cui si discute il termine previsto dall'art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000: v. Cass. n. 15634 del 2014 e n. 19561 del 2014).

L'atto di recupero del credito sarebbe, quindi, un atto con il quale si accerta una "posizione debitoria" del contribuente e non l'inesistenza di un credito del quale il contribuente esiga il rimborso (come è nel caso dell'IVA); nell'ipotesi del credito d'imposta di cui all'art. 8, legge n. 388 del 2000 non ci si trova di fronte ad un rapporto tra l'amministrazione e il contribuente nei quale l'amministrazione sia debitore del secondo, perché nel caso specifico quest'ultimo non ha pagato un'imposta (o una eccedenza d'imposta) della quale debba essere rimborsato, bensì ha corrisposto un'imposta (o più imposte) utilizzando il credito ex art. 8 legge n. 388 del 2000 che non avrebbe potuto utilizzare rimanendo, pertanto, debitore d'imposta e soggetto, come qualunque altro debitore d'imposta, all'azione accertatrice dell’amministrazione.

Ma se l'atto di recupero credito ex art. 8, legge n. 388 del 2000 è, per quanto si è detto, un atto di accertamento, esso è un atto esplicitamente precluso dall'art. 9, comma 10, legge n. 289 del 2002 (si può ricordare che in precedenza la Corte di legittimità, sempre con riferimento ad una fattispecie di recupero credito d'imposta per indebito utilizzo in eccedenza, era pervenuta a conclusioni similari, avendo accertato che l'attività espletata dall'Ufficio nel caso specifico aveva "tutti i connotati di un'attività di accertamento, costituente l'espressione finale di un procedimento istruttorio valutativo degli elementi acquisiti nel corso della verifica e posti a base dell'obbligazione tributaria della contribuente" (Cass. n. 13858 del 2010).

Pertanto deve essere confermato il principio affermato da Cass. n. 3112 del 2016 alla cui motivazione occorre, tuttavia, tornare e in particolare sul concetto di condonabilità dell'agevolazione.

L'art. 9, comma 9, primo periodo, della legge n. 289 del 2002 recita: "La definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all'applicabilità di esclusioni". Ne emerge che è il contenuto della dichiarazione integrativa a delimitare l'area del condono rispetto alla spettanza delle agevolazioni, sicché può dirsi che il condono ex art. 9, comma 9, legge n. 289 del 2002 ha efficacia ostativa dell'accertamento rispetto all'agevolazione di cui nel caso si tratta, se (e solo se) l'agevolazione in questione risulti inclusa nella dichiarazione integrativa.

Non per questo la validità ed efficacia del condono viene posta in discussione; ad essere posto in discussione è esclusivamente l'effetto ostativo rispetto all'azione dell'amministrazione concernente il recupero del credito d'imposta.

Poiché siffatto tipo di accertamento - inteso a verificare se la dichiarazione integrativa, alla quale la parte contribuente sì appella per opporsi all'azione di recupero, abbia riguardato anche l'agevolazione concessa dall'art. 8, legge n. 388 del 2000 - non ha avuto luogo nel giudizio de quo, il ricorso principale deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro in diversa composizione affinché il predetto accertamento sia di fatto svolto.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Decidendo sul ricorso dell'Agenzia Entrate, cassa l'impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro in diversa composizione.