Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 febbraio 2018, n. 3181

Tributi - IRPEF - Reddito da partecipazione - Dichiarazione congiunta - Responsabilità solidale del coniuge anche per le sanzioni

Ritenuto che

L'Agenzia delle Entrate, a seguito della definitività dell'avviso di accertamento, relativo ad imposte dirette per l'anno 1991, nei confronti della società B. sas, provvedeva ad attribuire ai soci il maggior reddito da partecipazione, notificando l'accertamento sia al socio C.A., che alla di lui moglie L.V. in quanto codichiarante nella dichiarazione dei redditi per l'annualità in questione;

l'avviso di accertamento veniva impugnato dal solo C.A., con esito favorevole nei primi due gradi di giudizio, mentre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 4749 del 2006, annullava con rinvio la sentenza della CTR, ma il giudizio non veniva riassunto;

l'ufficio procedeva allora all'iscrizione a ruolo degli importi ed emetteva cartella di pagamento anche nei confronti della coobbligata L.V., la quale impugnava l'atto disconoscendo la propria firma sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno in questione, eccepiva la nullità della cartella e chiedeva la disapplicazione delle sanzioni nei suoi confronti, in quanto solo il marito era responsabile della violazione.

La CTP respingeva il ricorso della contribuente, mentre la CTR, pur riconoscendo la legittimità della cartella, disapplicava le sanzioni.

Contro tale pronuncia ricorre in cassazione l'ufficio sulla base di due motivi.

La contribuente si costituisce con controricorso e formula due motivi di ricorso incidentale

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte in data 26.10.2017.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo l'ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 17 legge 13.4.1977 n. 114, nella versione ratione temporis applicabile, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c, atteso che la norma sancisce la responsabilità solidale del coniuge anche per le sanzioni.

Con il secondo motivo l'ufficio deduce contraddittorietà della motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., laddove la CTR ha, da un lato, riconosciuto la attribuibilità della dichiarazione alla contribuente e dall'altro ha escluso le sanzioni nei suoi confronti sulla base di un elemento estraneo alla fattispecie, quale la partecipazione alla violazione.

Il primo motivo è fondato.

L'art. 17 legge 13.4.1977, n. 114, nella formulazione originaria, vigente in relazione al periodo di imposta di cui si discute affermava:

comma 1:

È in facoltà dei coniugi non legalmente ed effettivamente separati, presentare su unico modello la dichiarazione unica dei redditi di ciascuno di essi, compresi quelli di cui alla lettera c) dell'art. 4 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, nel testo aggiunto con la presente legge. In tale ipotesi la dichiarazione va presentata all'ufficio delle imposte o all'ufficio del comune nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del marito. Se soltanto la moglie è residente nel territorio dello Stato la dichiarazione dei redditi dei coniugi deve essere presentata all'ufficio del domicilio fiscale della moglie. (tale comma fu poi abrogato nel 1998)

comma 2:

Ai fini della liquidazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche risultante dalla dichiarazione presentata a norma del comma precedente, le imposte nette determinate separatamente per ciascuno dei coniugi si sommano e le ritenute e i crediti di imposta si applicano sul loro ammontare complessivo. Nell'ipotesi prevista nel primo comma, la notifica della cartella dei pagamenti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche iscritta nei ruoli è eseguita nei confronti del marito. Gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi e notificati a norma del comma precedente.

I coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell'imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito.

Le parole evidenziate in grassetto ai fini della presente decisione evidenziano alcuni concetti fondamentali in tema di dichiarazione congiunta dei coniugi, quale quella verificatasi nella specie.

a) la stessa era una facoltà concessa ai coniugi; non era obbligatoria, ma frutto di una loro scelta volontaria e consapevole

b) la stessa comportava, come conseguenza, che gli accertamenti in rettifica fossero compiuti a nome di entrambi i coniugi ed entrambi fossero solidalmente responsabili non solo per il pagamento dell'imposta, ma anche per gli accessori, incluse le sanzioni.

Tali concetti sono, in effetti, stati espressi in maniera costante dalla giurisprudenza di questa Corte. Si veda, al riguardo, ancora di recente, Sez V, n 13733 del 2016, in un caso relativo all'anno 1996 in cui i coniugi avevano presentato dichiarazione congiunta e poi si erano separati, secondo la quale: La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare il principio in virtù del quale, ai sensi dell'art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, la dichiarazione dei redditi congiunta, consentita a coniugi non separati, costituisce una facoltà che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime, a prescindere dalle successive vicende del matrimonio; ne consegue che la responsabilità solidale dei coniugi per il pagamento dell'imposta ed accessori, iscritti a ruolo a nome del marito a seguito di accertamento, prevista dall'ultimo comma del citato art. 17, non è influenzata dal venir meno, successivamente alla dichiarazione congiunta, della convivenza matrimoniale per separazione personale.

Sez. V, n. 9209 del 2011, poi, ha ancora precisato che

La responsabilità solidale dei coniugi che abbiano presentato dichiarazione congiunta dei redditi "per il pagamento dell'imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito", prevista dall'art. 17, ultimo comma, della legge 13 aprile 1977, n. 114, vale anche per gli accertamenti dipendenti da comportamenti non riconducibili alla sfera volitiva e cognitiva di entrambi, in quanto conseguenti ad atti di accertamento in rettifica condotti esclusivamente nei confronti di uno solo di essi.

Applicando questi principi al caso di specie, quindi, la CTR ha errato laddove ha disapplicato le sanzioni affermando che l'accertamento del maggior reddito da partecipazione nella società riguardava il marito, e la moglie non aveva avuto alcun ruolo nelle violazioni, non esercitando alcun ruolo nella società stessa.

La responsabilità della contribuente per le sanzioni non dipende, infatti, dal suo contributo alla commissione dell'illecito, ma dal fatto che, per sua scelta volontaria, ha esercitato l'opzione per la dichiarazione congiunta con il marito.

La contribuente eccepisce che la norma di cui all'art. 17 legge 114 del 1977 deve intendersi abrogata, anche in riferimento all'anno di imposta in discussione, dalla sopravvenuta disciplina di cui al d Ivo 472 del 1997, ed, in particolare, dall'art. 2 comma 2 che prevede il principio della responsabilità personale dell'autore dell'illecito.

L'eccezione non coglie nel segno perchè, si ribadisce, la dichiarazione congiunta era una opzione liberamente esercitabile dai coniugi, dalla quale derivavano conseguenze di legge ben precise: anche la moglie poteva essere soggetta alla rettifica, ma la stessa, allo stesso tempo, era legittimata ad impugnare l'accertamento; in sostanza, quindi, con la dichiarazione congiunta i due coniugi assumevano la responsabilità personale per essa. La responsabilità per la sanzione a carico della moglie, quindi, non era per fatto altrui, ma per fatto proprio, per avere la moglie consapevolmente e volontariamente aderito ad un regime dichiarativo che comportava, tra l'altro, anche la responsabilità solidale per le sanzioni (in tali termini, si veda Sez. V, n. 13525 del 2008).

Il primo motivo, pertanto, deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Toscana per nuovo esame; l'accoglimento comporta l'assorbimento del secondo motivo.

In via incidentale la contribuente deduce in primo luogo violazione o falsa applicazione dell'art. 214 e 216 c.p.c., nonchè 2698 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. perché la CTR ha errato laddove ha posto a carico della contribuente l'onere di provare la non paternità della sottoscrizione sulla dichiarazione.

In particolare, la contribuente sostiene di avere assolto al proprio onere probatorio depositando, nel ricorso introduttivo, la propria sottoscrizione con cui conferiva mandato al difensore; sarebbe bastato alla CTR confrontare tale sottoscrizione con quella della dichiarazione congiunta in atti per coglierne la differenza, anche senza bisogno di disporre perizia. La CTR avrebbe quindi erroneamente richiesto una inversione dell'onere probatorio affermando che la asserita falsificazione della scrittura non era stata provata.

Il motivo è infondato.

Premesso che non vi è dubbio che l'onere della prova sulla falsificazione della sottoscrizione gravasse su chi invocava tale circostanza, e quindi sulla contribuente, va osservato che, in realtà, la CTR non ha richiesto alcuna inversione dell'onere della prova.

Ha soltanto concluso nel senso che le risultanze istruttorie non avevano permesso di ritenere che la asserita falsificazione della sottoscrizione fosse avvenuta contro il volere della contribuente. Ha, quindi, compiuto una valutazione di merito sulla solidità degli elementi probatori che, in quanto valutazione di fatto, non può essere sindacata in questa sede.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale la contribuente deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 63 d. Ivo 546 del 1992 e 17 dpr 602 del 1973 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per mancanza del potere di procedere con l'iscrizione a ruolo, in un caso perchè la estinzione del giudizio per mancata riassunzione ha determinato il venire meno dell'accertamento, dato che l'ultima sentenza di merito era favorevole alla contribuente, oppure, in alternativa, laddove si ritenga che abbia fatto rivivere l'accertamento originario, per decadenza del potere di iscrizione a ruolo per il decorso del termine, atteso che la definitività dell'accertamento risalirebbe al decorso del termine dopo la notifica.

Il motivo è infondato.

Esso è formulato sulla base di una doppia opzione: nella prima, il contribuente deduce la intervenuta decadenza per la riscossione perchè l'estinzione del giudizio per mancata riassunzione avrebbe fatto rivivere l'ultima sentenza di merito, a lei favorevole, travolgendo quindi l'avviso di accertamento.

Tale conclusione è da considerarsi errata.

Dalla formulazione dell'art. 63 del dpr 546 del 1992 secondo il quale la mancata riassunzione determina l'estinzione dell'intero processo, si deve, infatti, dedurre che vengano travolte anche le sentenze di merito, e si determina, invece, la definitività dell'avviso di accertamento originariamente impugnato (Sez. VI - 5, n. 9521 del 2017 e Sez. V n. 23502 del 2016).

Sulla seconda opzione, che dà per ammessa la reviviscenza dell'accertamento, questa Corte (Sez. V, n. 23502 del 2016, che illustra le ragioni della deroga al principio di cui all'art. 2945, comma 3, c.c.) ha avuto modo di affermare che nel giudizio tributario, l'omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio determina l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, e la definitività dell'avviso di accertamento impugnato, sicché il termine di prescrizione della pretesa tributaria, necessariamente incorporata nell'atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l'Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione. (così Cass. 556/16; nello stesso senso: Cass. 19476/16 e Cass. 15480/16).

Non è, quindi, condivisibile l'opinione per cui, ammettendo la sopravvivenza dell'avviso di accertamento a causa della mancata riassunzione, la sua definitività - dalla quale valutare la tempestività della riscossione - decorrerebbe dalla data di emissione e notifica; essa decorre, invece, dalla data di scadenza del termine per la riassunzione.

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese.

Rigetta i motivi di ricorso incidentale.