Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 dicembre 2016, n. 26749

Tributi - Contenzioso tributario - Insufficienza della motivazione della sentenza - Reddito d’impresa - Deducibilità - Valutazione di inerenza oneri pubblicitari

 

Fatto

 

In esito a processo verbale di constatazione, i risultati del quale sono stati posti a fondamento del successivo avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate ha proceduto nei confronti della contribuente a numerose riprese, tra le quali rilevano, ai fini delle imposte dirette:

-quella concernente il riaddebito per il personale, segnatamente per i dipendenti addetti al corner C. presso le G. La F. e per gli addetti alla vendita della linea Art Femme, i quali, a giudizio dell’ufficio, erano stati malamente dedotti, perché non inerenti;

- quella riguardante le provvigioni corrisposte a società del gruppo, reputate ingiustificate perché superiori a quelle applicate agli agenti esterni;

- quella inerente alla pubblicità promozionale per l’apertura di punti vendita in franchising;

- quella per consulenze commerciali, segnatamente per la consulenza resa da un architetto per l’allestimento di punti vendita della C. 1881, giacché i ricavi sono percepiti dalla contribuente;

- quella relativa ai costi sostenuti per il riaddebito da parte del fornitore H. relativo a due dipendenti addetti alla progettazione dei capi di abbigliamento ed alla trasformazione degli schizzi in modelli idonei alla lavorazione, perché non inerenti, essendo non coperti dal corrispettivo calcolato per la produzione;

- quella concernente la ripresa di contributi promozionali, sostenuti per il marketing e la sponsorizzazione locale a sostegno delle vendite, perché non inerenti;

- quella riguardante gli ammortamenti non deducibili per l’apertura dei punti vendita, perché costi illegittimamente capitalizzati come oneri pluriennali;

- quella per i costi pluriennali pari ad euro 17.147,94, non essendovene richiamo nell’avviso di accertamento; e, ai fini dell’iva:

- quella per omessa autofatturazione, la quale ha comportato sia il recupero dell’imposta, sia l’irrogazione di una sanzione pari al 100% di questa;

- quella relativa alla detrazione, ritenuta indebita, perché involgente costi non inerenti; in quest’ambito, quanto all’iva su prestazioni pubblicitarie, la ripresa concerne costi fatturati alla contribuente perché direttamente collegati all’attività da questa svolta come licenziataria del marchio Coveri;

- quella riguardante la detrazione dell’iva assolta in relazione alle fatture dell’architetto per le prestazioni dinanzi enunciate.

La società ha contestato tutte le riprese, aggiungendo profili di censura riguardanti il trattamento sanzionatorio.

La Commissione tributaria provinciale ha parzialmente accolto il ricorso e quella regionale ha parzialmente accolto il successivo appello proposto dalla società, considerando che:

- in virtù di un accordo intercorso tra la contribuente e la società C. 1881, il costo del personale adibito al corner presso le G. La F. e l’attività Art Femme doveva essere rifatturato dalla C. alla odierna controricorrente; in considerazione di quest’accordo, ha soggiunto il giudice d’appello, nessuna rilevanza può dispiegare l’esistenza di un contratto tra la C. 1881 e le G. La F.;

- le provvigioni corrisposte per acquisti su negozi di proprietà sono rimaste prive di giustificazione, anche perché prive del presupposto, costituito dallo svolgimento di attività di agenzia o intermediazione; —parimenti privi di giustificazione sono risultati i costi relativi ai contributi pubblicitari per l’apertura di punti vendita in franchising; -emerge l’inerenza dei costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività di progettazione dell’architetto, essendo funzionale alla strategia del gruppo, mentre a diverse conclusioni si perviene quanto ai costi riaddebitati dalla società H., in mancanza di relativi accordi;

- pure inerenti sono i costi sostenuti per sponsorizzazioni e contributi promozionali, sia pure limitatamente alle attività legate ai contratti "As Roma";

- legittima è la deducibilità degli ammortamenti materiali per i beni concessi in comodato gratuito, espressamente prevista per contratto; -manca uno specifico capo d’appello in relazione ai costi sostenuti per la partecipazione a mostre e fiere;

- illegittima è la pretesa per iva relativa alle prestazioni per le quali la contribuente ha omesso di procedere ad autofatturazione;

- nessun vantaggio economico è configurabile in relazione al meccanismo di fatturazione per prestazioni pubblicitarie, di guisa che va esclusa l’inerenza dei relativi importi, sia ai fini della deduzione dei costi, sia ai fini della detrazione dell’iva;

- detraibile è l’iva assolta in relazione alle prestazioni dell’architetto;

- in relazione alle royalties è stato applicato il valore normale;

- il contributo pubblicità è stato parametrato al fatturato, di modo che si è trattato di un calcolo matematico;

- quanto alla contestazione riguardante le fatture non tradotte in italiano, generica è la contestazione dell’ufficio, a seguito della produzione della traduzione;

- legittima è l’imputazione dei costi da svalutazione del campionario all’anno 2002, in quanto "le imprese di abbigliamento viaggiano con due stagioni di anticipo rispetto all’esercizio fiscale".

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, affidandolo ad undici motivi, cui la società replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in quattro motivi.

 

Diritto

 

1. - Il primo motivo del ricorso principale, col quale l’Agenzia lamenta, ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l’insufficienza della motivazione della sentenza, quanto alla ripresa concernente i costi sostenuti per il personale addetto al corner C. presso le G. L.F., là dove il giudice d’appello non ha considerato che la contribuente non aveva ivi alcun punto di vendita, il quale, invece, era riferibile alla C. 1881, è inammissibile per difetto di decisività.

È difatti pacifico tra le parti e comunque accertato in sentenza che la contribuente commercializzasse capi di abbigliamento col marchio C., su licenza della C. 1881, in virtù di contratto, che attribuiva alla contribuente un ruolo "...nel campo della pubblicità e della promozione dei prodotti del marchio... già abbastanza incisivo "in ogni paese del territorio"" (così si legge a pag. 42 del ricorso, che riporta uno stralcio dell’appello dell’ufficio, in risposta alle considerazioni sul contenuto del contratto di licenza, in parte trascritto a pag. 34). Non solo: si legge in sentenza che "come contropartita la C. 1881 percepisce una remunerazione corrispondente al 10% delle somme fatturate": il che comporta, logicamente, che il restante 90% spettasse alla licenziataria.

Del tutto irrilevante, allora, è la circostanza che il corner in questione fosse, o no, riferibile alla C., "considerata - appunto - l’attività commerciale della CGS s.p.a." (così la sentenza impugnata).

2. - Inammissibile per carenza d’interesse è il secondo motivo di ricorso, anch’esso proposto ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., col quale l’Agenzia si duole dell’insufficienza della motivazione relativa alla ripresa concernente le provvigioni riconosciute alla consociata francese, in quanto sul punto non v’è soccombenza: il giudice d’appello ha respinto il relativo capo di appello proposto dalla società, per le ragioni sunteggiate in narrativa.

3. - Parimenti inammissibile per difetto di decisività, oltre che per l’ambiguità della formulazione, che in rubrica evoca l’insufficiente motivazione e in conclusione ne lamenta la contraddittorietà, è il terzo motivo, proposto ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., col quale l’Agenzia si lamenta della motivazione concernente l’inerenza dei costi relativi alle attività di sponsorizzazione legata all’Associazione sportiva Roma.

Con specifico riguardo a quest’aspetto, si legge in sentenza che "...si deve rilevare come la società appellante sia licenziataria del marchio e, nell’ambito territoriale di sua competenza, è legittimata, in virtù del contratto di licenza, a sostenere costi per lo sviluppo del marchio sul mercato italiano".

In linea si pone, a dispetto di quanto sostenuto in ricorso, l’ulteriore affermazione secondo cui "è quindi di tutta evidenza che questi costi sono correlati all’attività del gruppo che, in Italia, è rappresentato dalla società appellante". Ciò in quanto, come questa Corte ha già avuto occasione di stabilire (Cass. n. 4041/15), in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75 (ora 109) del d.P.R. 917/86, va definita come una relazione tra due concetti -la spesa (o il costo) e l’impresa-, sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.

Il che rinviene appunto conferma nelle statuizioni della sentenza impugnata.

4. -Analoghe considerazioni, unitamente a quelle relative al primo motivo di ricorso, valgono a sancire l’inammissibilità del quarto motivo del ricorso principale, col quale, ancora ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l’Ufficio si duole dell’insufficienza della motivazione della sentenza, là dove il giudice d’appello, con riguardo alle prestazioni di progettazione dell’architetto, non ha accertato specifici collegamenti costi/ricavi, nonché del quinto motivo, col quale si lamenta l’insufficienza della motivazione, sul punto concernente l’erogazione di contributi al franchisor per l’apertura di punti vendita con marchio C., sempre per la mancanza di correlazione costi/ricavi.

5. - Inammissibile è il sesto motivo del ricorso col quale l’Ufficio si duole, ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., della pronuncia concernente le royalties, per difetto di specificità quanto all’esplicazione della pretesa impositiva, del tutto insufficiente essendo il riferimento ai "marchi per i quali erano stati erogati i suddetti canoni e le relative percentuali", per l’elenco dei quali il ricorso si limita a rinviare alle pagine 267 e 268 del processo verbale di constatazione.

6. - Fondato è, invece, il settimo motivo del ricorso in esame, col quale l’Agenzia lamenta ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, là dove il giudice d’appello, con riguardo alla valutazione d’inerenza del contributo per la pubblicità svolta dalla società C. 1881, si è limitato a far leva sul fatto che la relativa parametrazione è stata stabilita per contratto in base al fatturato.

Dalla riproduzione dello stralcio rilevante del processo verbale di constatazione, è agevole rilevare che la ripresa dell’ufficio si basava, proprio per le modalità di calcolo in percentuale sul fatturato netto, sulla contestazione che la società C. 1881 avesse effettivamente sostenuto spese per la promozione dei prodotti commercializzati dalla contribuente. Elementi, questi, che necessitano di ulteriore verifica.

7. - Infondato è l’ottavo motivo di ricorso, col quale l’ufficio nel dedurre ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c. l’insufficiente motivazione della sentenza in relazione alle fatture non tradotte in italiano, si limita ad evidenziare "il semplicismo e l’acriticità del ragionamento".

Ciò in quanto la motivazione omessa o insufficiente è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione (Cass., sez.un., n. 24148/13); elementi, che chi si lamenta della motivazione ha l’onere di allegare e che l’Agenzia in questo caso non ha allegato.

9. - Inammissibile è il nono motivo del ricorso, col quale l’Ufficio denuncia, ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l’insufficienza della motivazione alla deduzione dei costi connessi alla progettazione ed all’allestimento dei punti vendita, perché anch’essa basata sull’affermata necessità di correlazione tra costi e ricavi, già stigmatizzata sub 3.

10. - Il decimo motivo del ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., col quale l’Agenzia si duole dell’insufficiente motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla svalutazione dei campionari, è inammissibile per carenza di autosufficienza: per un verso, non risulta intelligibile il capo della pretesa in questione dalla riproduzione di tre righi del processo verbale di constatazione, che si riferisce a costi sospesi e, per altro verso, a fronte dell’accertamento contenuto in sentenza, secondo cui "...la collezione P/E 2002 e A/I 2002 ha visto il suo campionario consegnato, almeno per la P/E 2002 nell’anno 2001. Mentre il campionario A/I 2002 è stato consegnato nell’anno 2002 e poi svalutato perché non vendibile nell’anno successivo", eccessivamente scarna e quindi generica è la deduzione secondo cui "si tratta di svalutazioni al 31.12.2001 e di merci esistenti a tale data, e non "consegnate" nel 2002".

11. - L’inammissibilità di questo motivo determina l’assorbimento dell’undicesimo motivo, che si sostanzia in una violazione di legge, segnatamente del principio di competenza, relativa alla medesima ripresa.

12. -Sono poi inammissibili i quattro motivi del ricorso incidentale: -inammissibile è il primo motivo, che pur deducendo una non meglio specificata erroneità, non la incanala in alcuna specifica violazione di legge;

- per analoghe ragioni è inammissibile il quarto motivo, che assume una non meglio specificata erroneità della motivazione nel punto che fa riferimento al presunto risparmio fiscale;

- inammissibili sono i restanti due motivi incentrati su vizi della motivazione, relativi, rispettivamente, alla "mancata comprensione dell'omessa diretta fatturazione alla 1881", alla contraddittorietà del "comportamento dell’ufficio che non contesta l’inerenza del costo ai fini delle imposte dirette, ma lo contesta ai fini dì quelle indirette" e, quindi, su argomentazioni del giudice d’appello: ciò in quanto il fatto controverso e decisivo per il giudizio rilevante ai fini del vizio di motivazione denunciabile in cassazione si deve riferire ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico - naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni, che, pertanto, risultano irrilevanti (tra varie, Cass. n. 21152/14 e n. 17761/16).

13. -La sentenza va in conseguenza cassata in relazione all’accoglimento del solo settimo motivo del ricorso principale, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione perché riesamini il profilo in questione e regoli tutte le spese.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il nono, il decimo motivo del ricorso principale, in esso assorbito l’undicesimo; rigetta l’ottavo; accoglie il settimo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in relazione al profilo accolto. Dichiara inammissibili i motivi del ricorso incidentale.