Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 dicembre 2016, n. 26933

Inps - Recupero contributi - Cartella di pagamento - Verbale di accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Siracusa del 28.4.2003 la società C. srl proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento nr. 298 2003 0007893473 avente ad oggetto il recupero di contributi e somme aggiuntive relativi ai periodi novembre e dicembre 1996 ed agli anni dal 1997 al 2001, per complessi € 142.703,14.

Il giudice del lavoro accoglieva parzialmente la opposizione, dichiarando non dovute le somme iscritte a ruolo per il periodo dal 23.10.1997 al 31.9.1999 a seguito dell'annullamento del contratto di formazione e lavoro del dipendente M.S.

La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 25.11.2010-24.1.2011 (nr. 1083/2010), in parziale accoglimento dell'appello della C. srl (e rigettato l'appello incidentale dell'INPS sulla posizione del M.) dichiarava prescritti i contributi e sanzioni relativi al mese di novembre 1996, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Per quanto in questa sede rileva, la Corte territoriale osservava che l'INPS aveva provveduto nel verbale di accertamento, redatto congiuntamente da Ispettorato del Lavoro, INPS, INAIL e Guardia di Finanza, a quantificare i propri crediti ed a richiedere espressamente il pagamento, (come dalla copia del verbale prodotta in primo grado) e che la prescrizione era stata interrotta dalla notifica del verbale in data 19.1.2002.

Non rilevava, invece, il fatto che la notifica fosse materialmente avvenuta ad opera di uno soltanto dei soggetti accertatori, l'Ispettorato del Lavoro.

Alla data di notifica erano prescritti i soli contributi relativi al novembre 1996.

Nel merito dei singoli rilievi, premetteva che il verbale redatto dai funzionari degli istituti previdenziali, pur nelle parti in cui non costituiva atto pubblico fidefacente ex articolo 2700 cc., aveva una attendibilità qualificata.

Quanto alla posizione del sig. D.P. - che svolgeva mansioni esecutive (salumiere) nei locali aziendali con utilizzo di attrezzature aziendali retribuite in misura fissa - l'opponente non aveva neppure prodotto il contratto di collaborazione coordinata e continuativa asseritamente stipulato mentre non era di per sé probante la qualificazione unilaterale del rapporto nei registri aziendali.

Quanto alla lavoratrice C.M., assunta con le agevolazioni contributive della legge 407/90 presupponenti la disoccupazione biennale, il datore di lavoro non aveva assolto al proprio onere probatorio, essendo determinati in senso contrario le dichiarazioni della stessa lavoratrice.

La società non aveva assolto all'onere probatorio in ordine al diritto agli sgravi contributivi neppure in relazione al doppio inquadramento, per il quale asseriva di avere svolto, oltre alle attività del settore terziario in cui era inquadrata, anche attività industriale; anzi, per sua stessa ammissione non aveva rispettato le condizioni di cui all'articolo 6 comma 9, lettere a)- b)- c).

In ordine alle sanzioni civili, la disciplina di miglior favore di cui all'articolo 116 legge 388/2000 non aveva portata retroattiva e, dunque, non si applicava ai crediti maturati ed accertati alla data del 30.9.2000, quali quelli oggetto di causa.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società C. srl, articolato in tre motivi.

L'INPS, anche quale mandataria della SCCI spa, ha depositato procura alle liti.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 e nr. 5 cpc - violazione dell'articolo 2943 cc ed insufficiente motivazione.

La censura attiene alla statuizione in tema di prescrizione.

La società ha dedotto che ai sensi dell'articolo 2943 cc. l'atto di interruzione della prescrizione deve provenire dal titolare del diritto mentre nella fattispecie di causa la notifica del verbale di accertamento proveniva dall'Ispettorato del lavoro e non risultava dagli atti che l'ispettorato avesse agito per conto dell'INPS; il mandato neppure poteva desumersi dalla partecipazione congiunta alla ispezione dell'INPS e dell'ispettorato, poiché la notifica del verbale atteneva ad un momento successivo, rientrante nella competenza di ciascun ente.

La sentenza della Suprema Corte richiamata dal giudice del primo grado (Cass. nr. 7650/1996) non era sovrapponibile alla fattispecie concreta, in quanto riguardava un caso in cui l'accertamento dell'illecito e la notifica del processo verbale erano stati effettuati dall'ispettorato del Lavoro dichiarando espressamente di imputare la propria attività anche direttamente all'INPS.

La ricorrente ha assunto, richiamando giurisprudenza di questa Corte (Cass. 260/1999), che gli effetti interruttivi della prescrizione si verificano a favore di un soggetto diverso da quello che ha compiuto l'atto di interruzione soltanto se il soggetto agente abbia dichiarato di agire nella qualità di legittimo rappresentante e mandatario di quest'ultimo.

Il motivo è infondato.

Nella fattispecie oggetto di giudizio, per quanto risulta dalla sentenza impugnata e pacifico in ricorso, l'atto interruttivo della prescrizione - ovvero il verbale di accertamento- proveniva (anche) dall'INPS, trattandosi accertamento congiunto di INPS, INAIL, Ispettorato del Lavoro e Guardia di Finanza sicché la intimazione per iscritto del pagamento dei contributi era direttamente del creditore e non di un soggetto-terzo. L'attività compiuta dal terzo - Ispettorato del lavoro si è limitata alla materiale notifica dell'atto interruttivo.

Sul punto va considerato che anche prima della disciplina introdotta dal D.lvo 124/2004 (il cui articolo 10 provvedeva alla razionalizzazione ed al coordinamento della attività ispettiva) il coordinamento tra gli organismi deputati alla vigilanza nella materia del lavoro e della previdenza sociale trovava riconoscimento normativo nell'art. 5 della legge 22 luglio 1961 n. 628 - (che, per evitare pluralità di accertamenti,difformità di trattamento ed ingiustificati intralci al normale ritmo dell'attività produttiva, prevedeva l'obbligo di comunicare all'ispettorato del lavoro competente per territorio, di volta in volta, 48 ore prima del loro inizio, gli accertamenti da effettuarsi) - e nell'art. 3 comma 6 del decreto legge 463/1983, che attribuiva all'ispettorato provinciale del lavoro il potere di coordinare gli istituti previdenziali, anche attraverso programmazioni annuali dell'attività.

Alla luce di tale quadro normativo, la attività compiuta nella fattispecie di causa dall'Ispettorato del Lavoro - di mera notifica del verbale di accertamento redatto anche dall'INPS - risulta chiaramente e direttamente riconducibile a tutti gli enti di vigilanza partecipanti all'accertamento, in quanto avvenuta nell'esercizio della funzione di coordinamento dell'Ispettorato, per evidenti esigenze di snellimento degli adempimenti formali.

Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha attribuito alla notifica del verbale di accertamento operata dall'Ispettorato del Lavoro efficacia interruttiva della prescrizione. Non è riferibile alla vicenda di causa invece la giurisprudenza evocata nel ricorso, che attiene al diverso caso in cui lo stesso atto di accertamento provenga da un soggetto - terzo.

La denunzia relativa al vizio della motivazione è invece inammissibile: l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis, prevede I' "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione", come riferita ad "un fatto controverso e decisivo per il giudizio" mentre la parte ricorrente neppure individua un fatto storico, controverso e decisivo, rispetto al quale sussisterebbe il lamentato vizio di motivazione

2. Con il secondo motivo la società ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 e nr. 5 cpc - violazione degli articoli 2697, 2729 c.c. e 246 cpc ed insufficiente motivazione.

Il motivo afferisce alla statuizione resa sulle posizioni dei lavoratori D.P. e C.; il ricorrente ha assunto che il giudice del merito aveva erroneamente posto a carico del datore di lavoro l'onere di provare la esistenza per il D.P. di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa laddove l'onere della prova cadeva a carico dell'INPS, come fatto costitutivo della sua pretesa al pagamento dei contributi.

Ha dedotto altresì la violazione dell'articolo 246 cpc, in quanto il D.P. aveva un interesse qualificato al giudizio, avendo presentato ricorso giudiziario per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato; nel ricorso in appello si era evidenziato che anche la C. aveva un interesse qualificato al riconoscimento del lavoro irregolare asseritamente svolto per altra società.

Il motivo è inammissibile.

La violazione della regola processuale dell'articolo 2697 cc viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull'onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova.

Nell'ipotesi di causa la Corte territoriale, ha ritenuto positivamente acquisita la prova delle allegazioni dell'INPS poste a base del recupero dei contributi evasi (per il D.P.) e dell' assenza delle condizioni per la concessione degli sgravi contributivi fruiti (per la C.), sulla base del verbale di accertamento e delle dichiarazioni rese in sede ispettiva dai lavoratori sicché non hanno influito sulla decisione la distribuzione dell'onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento.

Le considerazioni relative alla posizione della C., quanto all'onere probatorio del datore di lavoro che si opponga al recupero degli sgravi (corrette in punto di diritto) sono meramente rafforzative della decisione, fondata sulle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dalla lavoratrice.

Neppure è pertinente la denunzia di violazione dell'articolo 246 cpc, in quanto non è stata specificamente allegata - né risulta dalla sentenza impugnata - la avvenuta escussione dei lavoratori come testi di causa.

Quanto al vizio di motivazione, valgono le considerazioni svolte in riferimento al primo motivo circa la mancata individuazione del fatto storico rispetto al quale sussisterebbe la dedotta insufficienza della motivazione.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc - violazione dell'articolo 116 L. 388/2000.

Ha assunto, richiamando giurisprudenza di questa Corte (Cass. 65680/2002 e 15753/2003), che la disciplina di cui all' articolo 116 L. 388/2000 si applica retroattivamente ai rapporti accertati al 30 settembre 2000 - e non ancora esauriti - ivi compresi quelli oggetto di procedimento giudiziario non definito con sentenza passata in giudicato.

Il motivo è infondato.

Deve infatti darsi continuità in questa sede al principio di diritto, già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass. nr. 24536/2015; 1476/2015 Cass. 14 luglio 2014, n. 16093; Cass. 12 aprile 2010, n. 8651; Cass. 17 dicembre 2003 n. 19334; Cass. 8 marzo 2007 n. 5305) secondo cui il riferimento contenuto nell'art. 116, comma 18 legge 388/200 (ndr art. 116, comma 18 legge 388/2000) ai crediti già accertati al 30 settembre 2000 esclude che vi sia stata deroga al principio di irretroattività delle legge stessa - (contenente norme più favorevoli per i contribuenti) - prevedendo, invece, un meccanismo in base al quale la differenza tra quanto dovuto e quanto calcolato ai sensi dei commi precedenti della stessa norma costituisce un credito contributivo da porre a conguaglio solo successivamente.

Corretta è la conseguente decisione di rigetto dell'appello, posto che il meccanismo di conguaglio previsto dalla norma può applicarsi rispetto a sanzioni che siano state pagate e non a sanzioni poste in riscossione coattiva perché non pagate.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per spese ed € 1.100 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.