Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 maggio 2018, n. 11512

Agevolazioni fiscali - Credito d’imposta - Spese sostenute per attività di ricerca e sviluppo - Innovazione di prodotto

 

Rilevato che

 

la società A.G. S.p.A. ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo indicata in epigrafe, che aveva accolto l'appello proposto dall'Ufficio ed aveva riformato la sentenza n. 566/03/2010 della Commissione tributaria provinciale di Pescara, che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso il provvedimento col quale l'Ufficio aveva ad essa negato, per l'esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, il nulla osta alla fruizione del credito d'imposta concesso dall'art. 1 commi 280-283 L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007), pari al 10 % delle spese sostenute per attività di ricerca e sviluppo, volto alla cd. innovazione di prodotto;

l'Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto;

la ricorrente ha depositato memorie ex art. 380 bis 1 c.p.c.

 

Considerato che

 

1.1. in linea di fatto, è pacifico che l'impugnato diniego di nulla - osta concerne un formulario nel quale la contribuente aveva richiesto di fruire del credito di imposta maturato in relazione ad attività di ricerca che dichiarava avviate anteriormente al 29 novembre 2008 (si veda il controricorso dell'Agenzia delle entrate, paragrafo 2 del "FATTO", primo cpv.);

1.2. la Commissione Tributaria Regionale ha sostenuto che il D.L. n. 185 del 2008 non avrebbe eliso il diritto al credito di imposta attribuito dalla L. n. 296 del 2006, e già sorto in capo alla contribuente, ma si sarebbe limitato a porre un limite quantitativo alla fruizione di tale diritto, la quale risulterebbe "solo rinviata nel tempo, agli esercizi successivi al 2011, nell'ambito della capienza delle ulteriori somme che il Legislatore riterrà di stanziare in futuro" (nona pagina della sentenza gravata, capoverso 5.13);

1.3. il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente ha riproposto l'eccezione, ritenuta manifestamente infondata dalla Commissione Tributaria Regionale, di illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, con riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 Cost., è infondato, essendo stata la questione presa in esame dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 149 del 27.6.2017;

1.4. è sufficiente osservare, richiamando i principi espressi dalla Consulta, che «il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici "anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti", ma esige che ciò avvenga alla condizione "che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica" (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009), essendo sottoposto, il principio dell'affidamento, al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali (Corte Costituzionale sentenze n. 16 del 2017, n. 203 del 2016, n. 264 del 2012); solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015)» (Corte Costituzionale, sentenza n. 216 del 2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160 e n. 103 del 2013, n. 416 del 1999);

1.5. l'intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull'affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale" (ex multis, sentenza n. 308 del 2013), e dunque abbia una "causa normativa adeguata» (Corte Costituzionale sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), quale un interesse pubblico sopravvenuto (Corte Costituzionale sentenze n. 16 del 2017, n. 216 e n. 56 del 2015) o una «inderogabile esigenza» (Corte Costituzionale sentenza n. 349 del 1985); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le tante, Corte Costituzionale sentenza n. 16 del 2017) inteso, anche, come proporzionalità (Corte Costituzionale sentenze n. 203 e n. 108 del 2016; n. 216 e n. 56 del 2015);

1.6. nel caso di specie, l'art. 1, commi da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006, nel prevedere i crediti d'imposta per le attività di ricerca svolte negli anni dal 2007 al 2009, recava una copertura finanziaria; il comma 1361 dell'art. 1 della legge in questione, infatti, rimandava per la copertura, anche delle riduzioni di entrata, al prospetto allegato («Prospetto di copertura»), riportante, tra le altre, le voci (e gli importi) relativi a «Sviluppo e ricerca» e «Misure per lo sviluppo» (pagina 269); la relazione tecnica sulla finanziaria 2007 aveva, poi, quantificato l'impatto del credito d'imposta (pari a circa 2.008.000 euro per gli anni dal 2007 al 2010), ipotizzando che la conseguente riduzione di gettito fiscale trovasse capienza, quanto all'anno in corso, nell'IRES e nell'IRAP dovute per l'esercizio (pagine 68 e 69);

1.7. se da una parte, quindi, è pur vero che la disciplina originaria non prevedeva un tetto massimo, che è stato appunto introdotto dalla disposizione censurata, essa ha tuttavia esteso a tutti i «crediti d'imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto», compresi quelli per attività di ricerca, la disciplina sul monitoraggio prevista dall'art. 5, commi 1 e 2, del d.l. 138 del 2002, alla cui stregua il riconoscimento dei crediti d'imposta è condizionato al non esaurimento dei relativi «stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle previsioni di minori entrate» (cosi il citato art. 5, comma 1), e ciò al fine di garantire la parità di trattamento tra i soggetti titolari dei medesimi e l'effettivo rispetto del principio costituzionale di copertura della spesa;

1.8. tale ultima esigenza, del resto, era già codificata, per le spese, dall'art. 11-ter, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio), il cui contenuto precettivo è stato poi ribadito dall'art. 17, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) e l'introduzione di un tetto massimo di stanziamento ha comportato la necessità di prevedere una procedura di selezione (anche) dei contribuenti da ammettere al beneficio fiscale in relazione alle attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008;

1.9. all'esito di tale selezione, disciplinata dai commi 2 e 3 dello stesso art. 29, alcuni di questi contribuenti (cosiddetti "perdenti") si sono visti negare il riconoscimento dei loro diritti di credito, nonostante il legislatore con il d.l. n. 185 del 2008 avesse previsto, per gli anni dal 2008 al 2011, stanziamenti complessivamente superiori a quelli originariamente previsti dalla legge n. 296 del 2006;

1.10. il legislatore, tuttavia, è nuovamente intervenuto con la legge n. 191 del 2009, prevedendo per i soli "perdenti" un ulteriore finanziamento di 400 milioni, poi ridotti a 350 dal d.l. n. 40 del 2010; nell'indicata prospettiva di valutare l'adeguatezza dell'intervento normativo censurato è poi di fondamentale importanza il rilievo che esso è stato effettuato con il «decreto anticrisi», intitolato «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», volto a «fronteggiare l'eccezionale situazione di crisi internazionale» e «potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede europea» (così il preambolo al d.l. n. 185 del 2008);

1.11. la manovra era stata concepita a saldi nulli (art. 35), sicché, per fronteggiare le maggiori uscite, il decreto prevedeva nuove entrate e riduzioni di spesa; il comma successivo a quello censurato dal rimettente, pur disponendo, in relazione ai crediti in parola, coperture nel tempo complessivamente superiori rispetto a quelle previste dal legislatore del 2006, stanziava dunque minori somme per il biennio 2008 e 2009 e creava quindi, per tale periodo, disponibilità finanziarie per fronteggiare il contagio della crisi economica internazionale e redistribuire risorse secondo un preciso disegno perequativo;

1.12. in questo quadro, come ribadito dalla Consulta, si deve pertanto ritenere che la disposizione censurata abbia una «"causa" normativa adeguata» (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), perché trova giustificazione nei «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale» (sentenze n. 308, n. 170 e n. 103 del 2013, n. 264 e n. 78 del 2012) tutelati dagli artt. 2, 3 e 81 Cost.; essa poi, sempre alla luce delle sue finalità e del contesto economico che ne ha visto la genesi, non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità, poiché, a seguito dei successivi interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti "perdenti" non è stata incisa in maniera assoluta, avendo gli ulteriori stanziamenti previsti per costoro permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento) dei loro crediti;

1.13. per quanto la riduzione sia consistente, va poi evidenziato che i crediti d'imposta originariamente riconosciuti andavano a coprire il 10 per cento dei costi delle attività di ricerca (il 40 per cento nel caso di contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca), cosicché l'ablazione retroattiva nei confronti dei soggetti non ammessi al beneficio fiscale è stata del solo 5 per cento circa dei costi sostenuti (20 per cento per le attività convenzionate con università ed enti pubblici): il venir meno di tale posta non può, dunque, aver avuto una incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese;

1.14. non è irrilevante, infine, che il diritto in questione abbia ad oggetto il riconoscimento di un beneficio e non sia espressione di una pretesa fondata su un rapporto convenzionale; beneficio, per di più, di natura fiscale, e quindi maturato in un ambito in cui il tasso di politicità delle scelte legislative è massimo, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU (sentenze 31 marzo 2009, Faccio contro Italia; 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia, paragrafo 29);

1.15. sulla base dei principi dianzi riportati vanno parimenti respinti il secondo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza impugnata per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ex art. 360, n. 5 c.p.c., laddove si lamenta che la CTR, pur avendo affermato la sussistenza di un diritto soggettivo della contribuente alla fruizione di un credito d'imposta, aveva respinto la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato, che ne aveva negato l'esercizio in quanto rinviato "nel tempo, agli esercizi successivi al 2011, nell'ambito della capienza delle ulteriori somme che il legislatore riterrà di stanziare in futuro" (cfr. pag. 8 sentenza impugnata), il terzo motivo di ricorso, sulla dedotta violazione dell'art. 3 L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del Contribuente), in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., per avere ritenuto la legittimità dell'applicazione retroattiva dell’art. 29 del decreto legge n. 185/2008, ed il quarto motivo di ricorso, relativo alla pretesa "violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 2, Legge 212/2000 e dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.";

1.16. sulla pretesa violazione dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento è opportuno peraltro evidenziare come non solo la Corte Costituzionale, come sopra illustrato, ma anche la stessa Corte di Giustizia abbia affermato che l’applicazione del principio possa flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza situazioni particolari e a determinate condizioni;

1.17. in particolare, la Corte di Giustizia, in relazione alla definizione di legittimo affidamento, ha ribadito che, per quanto lo stesso sia un principio fondamentale dell'ordinamento dell'Unione, non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (cfr. Corte Giust., sentenza del 23.11.1999 nella causa C-149/96); di conseguenza, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell'ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (vedasi sentenza 15 luglio 1982, causa 245/81, Edeka, Race. 1982, pag. 2745, punto 27 della motivazione; sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, Race. 1987, 3745, punto 27 della motivazione; sentenzal7 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Race. 1979, pag. 2755, punto 33 della motivazione) (Corte Giust., caso C-350/88);

1.18. con il quinto motivo di ricorso la contribuente denuncia, in relazione sempre all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, Legge n. 212/2000, nonché dell'art. 3 della L. n. 241/1990; sostiene che, a fronte di dette norme, la CTR avrebbe errato nel ritenere che il provvedimento di diniego del nulla osta fosse sufficientemente motivato e con tutte le informazioni necessarie per consentire al contribuente di difendersi compiutamente;

1.19. su tale questione va riaffermato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 8998/2014; n. 194/2004), secondo cui «solo nei provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva (o di quella di riscossione o sanzionatoria) [...] la motivazione dell'atto - come previsto da espresse disposizioni di legge (L. n. 212 del 2000, art. 7, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56) - non può che essere esaustiva, essendo l'Amministrazione, parte attiva del rapporto in qualità di creditore, tenuta ad esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata, anche in vista di una possibile impugnativa giurisdizionale dell'atto da parte del contribuente>>; per converso, nel rapporto, a ruoli invertiti, in cui l'Ufficio, come nel caso di specie, assume il ruolo passivo di colui che <<resiste>> alla pretesa creditoria del contribuente, non è gravato dall'onere di motivare compiutamente le proprie ragioni; ne deriva che anche nel caso di specie deve ritenersi sufficiente ed adeguata, come argomentato dalla CTR, una motivazione del diniego di rimborso che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, anche limitandosi ad affermare l'insussistenza dei presupposti di legge per operare il diniego della richiesta di fruizione del credito di imposta;

1.20. con il sesto motivo la contribuente deduce, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 7 comma 2 della L. 212/2000, nonché dell'art. 21 octies della L n. 241/1990, poiché i giudici di appello avrebbero errato nel ritenere che il diniego di nulla osta non necessitasse dell'indicazione del responsabile del procedimento;

1.21. la censura è parimenti infondata, avendo il Giudice di appello, anche su tale questione, correttamente applicato la normativa di riferimento come interpretata da questa Corte; nella materia, infatti, le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 11722/2010 hanno affermato il principio (costantemente seguito, anche di recente, cfr. ord. n.11856/2017) secondo cui «l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell'Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall'art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dall'art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal I giugno 2008>>; mentre, con riferimento all'asserita violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, introdotto con la L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14, comma) va ribadito il principio già espresso (cfr. Cass. sent. n. 3754/2013), secondo cui in base a tale norma, la cui ratio va ravvisata nell'intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, va esclusa l'annullabilità di un provvedimento di natura vincolata, per la violazione delle norme del procedimento, in ragione dell'inidoneità dell'intervento dei soggetti, ai quali è riconosciuto un interesse, ad interferire sul suo contenuto (cfr. Cass. SU 14878/2009);

2. sulla base di tutte le considerazioni che precedono il ricorso va pertanto rigettato;

3. la complessità delle questioni trattate e le divergenze giurisprudenziali, anche recenti, rendono opportuna l'integrale compensazione delle spese del giudizio

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; compensa integralmente le spese di lite.