Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2016, n. 22481

Festività - Rifiuto di eseguire la prestazione lavorativa - Retribuzione giornaliera

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 28.6.11 la Corte d'appello di Brescia rigettava il gravame di D. S.p.A. contro la sentenza n. 13/10 con cui il Tribunale di Bergamo aveva condannato detta società a pagare a F. B. e a B. Z. la retribuzione giornaliera relativa alla festività dell’8.12.05, in cui detti dipendenti si erano rifiutati di eseguire la prestazione lavorativa.

Per la cassazione della sentenza ricorre D. S.p.A. affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

F. B. e B. Z. resistono con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 legge n. 260/49, 2 e 3 legge n. 90/54, 1362, 1363, 1368 e 1371 c.c. con riferimento agli artt. 5, parte speciale, sezione III, e 8 co. 14, parte speciale CCNL 7.5.03 per l’industria privata metalmeccanica, per avere la Corte territoriale riconosciuto ai lavoratori la normale retribuzione prevista per le festività infrasettimanali nonostante che costoro si fossero rifiutati, senza giustificato motivo, di prestare l’attività lavorativa pur prevista dalla contrattazione collettiva applicabile; nella specie si tratta - prosegue il ricorso - degli accordi aziendali 22.7.98 e 15.1.03 e dell’art. 12 CCNL metalmeccanici, ora riprodotto dall'art. 8 co. 14, secondo il quale il dipendente non può rifiutarsi - senza, appunto, giustificato motivo - di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo; conclude il motivo con il censurare la sentenza per aver erroneamente ritenuto non rinunciabile per mutuo consenso il diritto al godimento delle festività infrasettimanali, quantunque la disciplina collettiva stabilisca l'obbligo del lavoro festivo infrasettimanale (sia pure con il relativo trattamento economico) ove vi siano comprovate esigenze aziendali allegate dal datore di lavoro.

1.2. Doglianza sostanzialmente analoga viene fatta valere con il secondo motivo, sotto forma di denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 legge n. 260/49, degli artt. 2 e 3 legge n. 90/54 e dell'art. 12 disp. prel. c.c.: ad avviso della ricorrente non può estendersi il trattamento economico delle festività anche al lavoratore assente ingiustificato o che sia sospeso dal lavoro per sua volontà.

2.1. Il primo motivo è infondato.

Si premetta che la legge n. 260/49 (come modificata dalla legge n. 90/54) è completa ed autosufficiente nel riconoscere al lavoratore il diritto di astenersi dal prestare la propria attività in determinate festività celebrative di ricorrenze civili e religiose, il che esclude eventuali sue integrazioni analogiche o commistioni con altre discipline.

In particolare, la legge n. 260/49 non ha esteso alle festività infrasettimanali quelle eccezioni all’inderogabilità previste da una legge anteriore (la n. 370/34) per il riposo domenicale.

Con legge successiva (n. 520/52) è stato sancito soltanto che per "il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private" sussiste l'obbligo della prestazione lavorativa durante le festività ("nel caso che l'esigenza del servizio non permetta tale riposo") in presenza di esigenze di servizio.

A sua volta il diritto del lavoratore di non lavorare nei giorni di festività infrasettimanale non può essere posto nel nulla dal datore di lavoro, potendosi rinunciare al riposo nelle festività infrasettimanali solo in forza di accordo tra datore di lavoro e lavoratore e non già in virtù d'una scelta unilaterale (ancorché motivata da esigenze produttive) proveniente dal primo (cfr. Cass. n. 16592/15; Cass. n. 16634/05; Cass. n. 4435/2004; Cass. n. 9176/1997; Cass. n. 5712/1986).

In sintesi, il costante orientamento di questa S.C. - cui va data continuità - è nel senso che la possibilità di svolgere attività lavorativa nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa sia rimessa alla volontà esclusiva del datore di lavoro o a quella del lavoratore, dovendo - invece - derivare da un loro accordo.

Quest'ultimo deve provenire dalle parti del contratto individuale e non da quelle collettive, non potendo le organizzazioni sindacali derogare in senso peggiorativo ad un diritto del singolo lavoratore se non nel caso in cui egli abbia loro conferito esplicito mandato in tal senso.

Ne discende la nullità delle clausole di contratti collettivi che prevedano l'obbligo dei dipendenti di lavorare nei giorni di festività infrasettimanale, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori - indisponibile, giova ribadire, da parte delle organizzazioni sindacali (Cass. n. 9176/1997 cit.) - di astenersi dalla prestazione.

Ne discende che è vano in questa sede indagare sull'esatta interpretazione dell'art. 8 co. 14, parte speciale, CCNL industria privata metalmeccanica ("Nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo"), trattandosi di clausola che, per le ragioni anzidette, in nessun caso potrebbe valere al fine di negare al lavoratore l'esercizio del diritto di astenersi dal prestare servizio nei giorni di festività infrasettimanale.

Infine, si noti che il d.lgs. n. 66/03, emesso in attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, nulla aggiunge alla specifica disciplina sulle festività infrasettimanali, in quanto la normativa comunitaria si riferisce espressamente al riposo settimanale e alla possibilità che esso possa essere calcolato in giorno diverso dalla domenica.

2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, per il dirimente rilievo che si basa sul presupposto (erroneo, per le ragioni illustrate nel paragrafo che precede) dell'esistenza d'un obbligo del lavoratore di eseguire la propria prestazione in occasione di festività infrasettimanali su richiesta unilaterale del datore di lavoro.

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.100,00 di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.