Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 giugno 2016, n. 11602

Tributi - IRPEF - Somme erogate alla cessazione del rapporto di lavoro a titolo di incentivo all’esodo - Applicazione di una ritenuta maggiore agli uomini rispetto alle donne - Previsione dichiarata in contrasto con il diritto UE - Diritto al rimborso - Termine di presentazione dell’istanza entro 48 mesi dall’applicazione della ritenuta

 

In fatto

 

C.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che si è costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza pubblica di discussione o udienza camerale), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 6355/35/2014, depositata in data 23/10/2014, con la quale - in controversia concernente l’impugnazione del diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria ad un’istanza del contribuente, presentata il 10/06/2010, di rimborso dell’IRPEF versata, nell’anno 2005, a titolo di maggiore ritenuta operata sulla somma erogatagli quale incentivazione straordinaria all'esodo, alla cessazione del rapporto di lavoro (sostenendo il medesimo contribuente che anche agli uomini, di età compresa tra i 50 anni ed i 55 anni, e non solo alle donne, secondo il disposto dell’art. 19 comma IV bis DPR 917/1986-TUIR, dovesse essere applicata, sulle somme corrisposte, a titolo di incentivazione all’esodo, un’aliquota ridotta)- è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto, in applicazione dei principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia n. 13676/2014, che l’istanza di rimborso era tardiva in quanto presentata, nel 2010, oltre il termine di legge di 48 mesi, prescritto dall’art. 38 DPR 602/1973, dall’epoca ("1/04/2005") in cui è stata operata la ritenuta.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il ricorrente ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

In diritto

 

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 38 DPR 602/1973 e 2935 c.c., non avendo i giudici della C.T.R. considerato che i versamenti operati nel 2005 dovevano ritenersi "provvisori", in quanto l’Agenzia delle Entrate solo con la comunicazione dell’ottobre 2009 (successivamente modificata nel novembre 2009) aveva fatto conoscere al contribuente l’esito della liquidazione dell’IRPEF dovuta sui redditi soggetti a tassazione separata percepiti nel 2005 e quindi solo da tale data il contribuente era venuto a conoscenza del debito fiscale ed aveva potuto presentare l’istanza di rimborso. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta poi l’omessa "decisione" su di un fatto decisivo della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c., nonché l’omessa motivazione, in violazione dell’art. 132 sub 4 c.p.c., e dunque ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione al profilo, del tutto trascurato dai giudici della C.T.R., della portata determinante dell’avviso di liquidazione sopra richiamato, al fine di stabilire l’entità dell’imposta in via definitiva ed al fine di individuare il "dies a quo" per l’istanza di rimborso.

2. Le censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono infondate.

La questione di diritto, oggetto della presente controversia, e stata risolta con la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13676/2014, con la quale è stato affermato il principio di diritto secondo cui "il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall'art. 38 del d.P.R 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla "data del versamento" o da quella in cui "la ritenuta è stata operata", opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l'efficacia retroattiva di detta pronuncia - come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale - incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche".

E’ stato inoltre chiarito che, per giustificare la decorrenza del termine decadenziale, fissato per le imposte sui redditi dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, allorché un'imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea, neppure sono invocabili "i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di "overruling", dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti".

Ne deriva che, avendo il termine di decadenza di cui all’art. 38 DPR 602/1973 portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all'adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all’"an" o al "quantum" del tributo, e nascendo, nel caso di specie, il diritto al rimborso preteso dal contribuente dalla questione relativa al trattamento fiscale da applicare alle somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo ai lavoratori alla cessazione del rapporto di lavoro, l’istanza risulta tardiva, in quanto proposta oltre il termine di 48 mesi dai versamenti tramite ritenuta.

La sentenza impugnata si è dunque conformata a tali principi.

L’assunto da cui muove il ricorrente — secondo il quale il dies a quo dovrebbe essere fatto decorrere dall’avviso di liquidazione definitiva dell’IRPEF dovuta, comunicatogli nel 2009, - non è poi pertinente, in quanto, nella specie, si controverte di un’istanza di rimborso, il cui corrispondente diritto può essere esercitato a partire dall'inutile decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione dell'istanza contenuta nella dichiarazione, su cui si forma il silenzio rifiuto, impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g), del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e non di impugnazione di un avviso di liquidazione emesso dall’Amministrazione finanziaria, controllo formale o accertamento vero e proprio, che non riguardano l'esercizio dei diritti del contribuente.

Tale assunto si fonda, in realtà, sull’argomento che la ritenuta operata dal datore di lavoro ha valore meramente provvisorio, mentre l'importo dell'imposta effettivamente pretesa dal Fisco risulterebbe solo dalla liquidazione definitiva di tale imposta operata dall'Amministrazione finanziaria in base alla media delle aliquote degli ultimi cinque anni; cosicché solo dalla data in cui è stata (o avrebbe dovuto essere) compiuta tale liquidazione definitiva può farsi decorre il termine per la ripetizione dell'imposta indebitamente versata. L'argomento non può trovare accoglimento, perché questa Corte ha reiteratamente chiarito che, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto (ed il ragionamento vale evidentemente anche per le ritenute in acconto operate alla fonte dal sostituto di imposta), il termine di decadenza per la presentazione dell'istanza di rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall'articolo 38 d.P.R. n. 602/73, decorre dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all'ammontare del tributo, complessivamente dovuto al momento del saldo, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell'"an" e del "quantum" dell'obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all'atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché in questa ipotesi l'interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento (cfr. Cass. nn. 13478/2008, 5978/2006, 24058/2011, 4166/2014).

Nella specie, la contestazione su cui si fondava la domanda di rimborso del contribuente - ossia che la ritenuta era stata operata applicando l'aliquota piena e non l'aliquota dimidiata - attingeva la struttura stessa del calcolo della ritenuta e, pertanto, poteva essere fatta valere fin dal momento di effettuazione della ritenuta, mediante la ripetizione del 50% dell'importo calcolato dal datore di lavoro in base all'aliquota intera, senza necessità di attendere né eventuali conguagli di fine anno del datore di lavoro né eventuali riliquidazioni da parte dell'Ufficio; non esiste, infatti, una principio generale che sospenda l'esigibilità dei crediti aventi ad oggetto il rimborso di tributi tino alla consumazione dei termini fissati per l'esercizio dei poteri di liquidazione dell'Ufficio (cfr., al riguardo, Cass. n. 21734/14, Cass. 17132/2015).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimata Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.