Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 dicembre 2017, n. 30706

Servizi postali - Rapporto di lavoro subordinato - Nullità del termine - Ragioni giustificatrici ex D.Lgs. n. 368/2001

 

Rilevato

 

che, con la sentenza n. 1200/2013, la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede in data 8.4.2010, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra E. P. e Poste Italiane spa, dall'1.2.2002 al 30.4.2002, per sostenere il livello di servizio di sportellerla durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità, tuttora in fase di completamento, di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002, 30 luglio e 18 settembre 2002, che prevedono al riguardo il riposizionamento su tutto il territorio degli organici della società, con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato e condanna della società al pagamento di una indennità pari a 3,5 mensilità di retribuzione, oltre accessori con decorrenza dalla scadenza del rapporto;

che avverso tale decisione Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

che l'intimata non ha svolto attività difensiva;

che il P.G. ha formulato richieste scritte concludendo, in via principale, per la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite; in via subordinata per la fissazione della pubblica udienza; in via ulteriormente subordinata, per l'accoglimento del ricorso.

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372, comma 1, 1175, 1375 cc, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., per essere stata esclusa, dai giudici di merito di II grado, la configurabilità della risoluzione per mutuo consenso tacito; 2) la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1 comma 2 D.lgs n. 368/2001 e dell'art. 2697 cc, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., per avere errato la Corte territoriale nel ritenere non sufficientemente specificate le esigenze in modo tale da consentirne il controllo circa la loro effettiva sussistenza che riguardava l'intero territorio nazionale; 3) la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5 D.lgs n. 368/2001, in relazione all'art. 1419 comma 1 cc nonché dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale e degli artt. 1362 e ss cc, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, la nullità della clausola non avrebbe potuto comportare la trasformazione del contratto a tempo indeterminato; 4) la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 32 commi 5 e 6 della legge n. 183/2010 nonché dell'art. 8 della legge n. 604/1966, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c, per avere la Corte di merito erroneamente determinato e liquidato l'indennità in violazione dei criteri di cui al citato art. 8; che il primo motivo è inammissibile: invero, anche nella parte in cui si deduce una violazione di legge, la censura si risolve nel sollecitare una rivisitazione del materiale probatorio, con un nuovo apprezzamento nel merito attraverso il controllo della motivazione, ormai precluso dalla nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c., come modificato dal DL n. 83/2012 convertito nella legge n. 134/2012, applicabile nel caso di specie ratione temporis, che ha ridotto al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità, prevedendo la denuncia in cassazione solo dell'anomalia riguardante l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; se, invece, il fatto è stato esaminato, il vizio non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014);

che, nella fattispecie in esame, i fatti controversi da indagare, da non confondersi con la valutazione delle relative prove, ai fini dell'accertamento sull'ipotizzata risoluzione per mutuo consenso sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte capitolina sicché non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una tesi diversa sostenuta dalla odierna parte ricorrente;

che il secondo motivo è infondato perché, come più volte sottolineato da questa Corte (cfr. tra le altre Cass. 14.3.2016; Cass. 16.7.2010 n. 16702), dagli accordi indicati nel contratto si desume l'attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell'ambito del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità all'interno dell'azienda al fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il territorio nazionale, ma la persistenza, all'epoca dell'assunzione della P., della fase attuativa della procedura di mobilità di cui agli accordi suindicati non è sufficiente ad integrare le ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine ai sensi del D.lgs n. 368/2001 e cioè ad individuare, in seno al contratto, le esigenze produttive che, oggettivamente, avevano reso necessaria l'assunzione del lavoratore nell'ambito della struttura di destinazione, con specifico riferimento alle mansioni affidate: la Corte di appello di Roma ha puntualmente fatto applicazione di tali principi ritenendo appunto indispensabile che le ragioni dell'apposizione del termine fossero rapportate alla concreta situazione riferibile al singolo lavoratore e che l'onere della prova incombeva sul datore di lavoro (Cass. 10.2.2010 n. 2279; Cass. 11.12.2012 n. 22716); che il terzo motivo è destituito di fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. tra le altre Cass. 27.2.2015 n. 3994; Cass. n. 17619/2014), da ribadirsi pure in questa sede, secondo cui il D.lgs n. 368/2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla legge n. 247/2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l'apposizione del termine un'ipotesi derogatoria del sistema per cui, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza di dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità del contratto e di etero-integrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dello stesso art. 1 citato nel quadro della direttiva comunitaria 1999/70/CE, alla illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l'invalidità parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che, infine, anche il quarto motivo è infondato: invero, per ciò che concerne la quantificazione dell'indennità, la determinazione tra un minimo ed un massimo della misura della stessa spetta al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (cfr. Cass. 17.3.2014 n. 6122; Cass. 31.3.2014 n. 7458): nel caso in esame, i giudici di secondo grado hanno richiamato i criteri dell'art. 8 della legge n. 604/1966 con valutazione congrua e logica giungendo alla quantificazione dell'indennità in 3,5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Del resto, il riferimento svolto dall'art. 8 citato alle condizioni delle parti non significa che il lavoratore debba dimostrare anche gli altri elementi quali la mancata instaurazione di altri rapporti, la mancata percezione di ulteriori somme a titolo retributivo, il tentativo di reperimento di altre occupazioni, essendo richiesta una valutazione complessiva della situazione dedotta in giudizio (cfr. in motivazione Cass. n. 21932/2014) come ha appunto effettuato la Corte territoriale nel caso concreto;

che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato; che nulla disposto in ordine alle spese di lite non avendo l'intimata svolto attività difensiva;

che ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.