Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 luglio 2017, n. 17703

Fallimento e altre procedure concorsuali - Dichiarazione di fallimento di società con concordato preventivo - Preclusione

 

Fatti di causa

 

Rilevato che:

1. E. s.r.l. impugna la sentenza App. Trieste 29.12.2015, n. 755/15 con cui è stato rigettato il suo reclamo avverso la sentenza Trib. Gorizia 29.5.2015 n. 17/15 di dichiarazione del proprio fallimento;

2. secondo la sentenza era infondata la censura relativa alla preclusione alla dichiarazione di fallimento, quale costituita dall'essere stata la società ammessa al concordato preventivo, omologato ma ormai non risolto, per un verso esistendone «tutti i presupposti» e per altro risultando la inadempienza della debitrice al concordato stesso, costituendo il fallimento un caso di consecuzione delle procedure;

3. la società non era in grado di portare a compimento la propria liquidazione «né concordataria né societaria», aveva un debito maggiore di 500.000 euro (secondo le poste passive del bilancio 2012, così disattendendosi una diversa qualificazione dei crediti dei soci finanziatori, creata solo per il concordato successivo), l'insolvenza risultava la stessa, o al più ne costituiva un aggravamento;

4. la ricorrente deduce la violazione di legge circa il computo dell'indebitamento (erroneamente tratto dal bilancio, che non è prova legale, trascurando in ogni caso la postergazione dei crediti dei soci) e la consecuzione di procedure (inapplicabile, in difetto di pronuncia di risoluzione del concordato preventivo).

 

Ragioni della decisione

 

Considerato che:

1. il secondo motivo, oggetto d'esame in via prioritaria per logicità di motivazione della stessa sentenza impugnata, è infondato, poiché non sussistono preclusioni alla dichiarazione di fallimento di società con concordato preventivo omologato ove si faccia questione - come non è contestato nella vicenda - dell'inadempimento di debiti già sussistenti alla data del ricorso ex art. 160-161 l.f. e però modificati con detta omologazione, dovendosi verificare all'epoca della decisione così sollecitata i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f.;

2. in tal caso l'azione esperita dal creditore costituisce legittimo esercizio della propria autonoma iniziativa ai sensi dell'art. 6 l.f., non condizionata dal precetto di cui all'art. 184 l.f. e dunque a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo, il cui procedimento andrebbe attivato - previamente o concorrentemente - solo se l'istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria, circostanza nemmeno dedotta o prospettata in ricorso;

3. detto principio si evince dalla caduta, già con la riforma del 2005-2006, di ogni automatismo tra risoluzione del concordato e fallimento, permettendo dunque l'art. 186 l.f. di provocare tale evento anomalo (o anche l'annullamento) senza però imporre alcuna dichiarazione officiosa di fallimento, ma questa scissione di prospettive non implica ovviamente neanche una preclusione a che la dichiarazione di fallimento si possa fondare su presupposti comuni che andranno accertati ex novo;

4. in questo senso la ratio della sentenza triestina non è stata colta, ove essa - limitandosi ad operare una mera ricognizione storico-economica del dissesto - ha meramente collegato l'insolvenza attuale, positivamente riscontrata, alla stessa già in capo ad E. allorché la società aveva domandato il concordato, osservando che ne costituiva l'evoluzione o anche la conferma, ciò a significare che la debitrice aveva continuato a non onorare i propri debiti;

5. Il secondo motivo è inammissibile, posto che già a fronte dell'affermazione del tribunale, per come riportata dalla corte, circa la sussistenza di tutti i «presupposti» per la dichiarazione di fallimento, la censura investe solo il limite dell'indebitamento, né si dà carico di indicare in quale sede e con quale tempestività siano stati contestati gli altri due parametri di cui all'art. 1 co. 2 l.f., bastando invero che anche per uno solo uno di essi il debitore non provi che non sia stato superato perché - acclarata l'insolvenza e la qualità di imprenditore commerciale - il tribunale debba dichiarare il fallimento;

6. In tema, osservato dunque il limite di autosufficienza del ricorso, va ribadito che «L'onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall'art. 1, comma 2, l.fall., nella formulazione derivante dal d.lgs. n. 5 del 2006, applicabile "ratione temporis", grava sul debitore, atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle ulteriori modifiche ad essa apportate dal d.lgs. n. 169 del 2007, già poneva come regola generale l'assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali. Né osta a tale conclusione la natura officiosa del procedimento prefallimentare, che impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova» (Cass. 625/2016).

7. parimenti, costituisce principio consolidato quello per cui «ai fini della prova, da parte dell'imprenditore, della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, l.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale, sicché, ove ritenuti motivatamente inattendibili dal giudice, l'imprenditore rimane onerato della prova circa la ricorrenza dei requisiti della non fallibilità» (Cass. 24548/2016, 14790/2014), senza però che le medesime risultanze possano essere disattese ad iniziativa del debitore che ne invochi la parziale o diversa rappresentatività;

8. nella specie, la medesima doglianza non si appunta secondo la necessaria specificità, e risulta dunque inammissibile, allorché omette di censurare la netta affermazione della sentenza nel senso della non decisività che la questione della rinuncia al rimborso immediato avrebbe assunto per i soci finanziatori: ciò, sia perché la mancata inclusione dei rispettivi apporti finanziari tra i debiti della società era meramente conseguente alla creazione di apposita posta speciale funzionale alla sola proposta concordataria (come ben possibile anche per Cass. 21924/2011, ma senza effetti di per sé anche esterni a tale vicenda), sia perché nessuna postergazione, secondo la lettera del bilancio approvato, risultava nel 2012, che invece riportava un debito pieno verso quei medesimi soggetti;

9. si dà atto che l'omessa difesa delle parti intimate preclude ogni diversa pronuncia sulle spese di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla l. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.