Prassi - AGENZIA DELLE ENTRATE - Risoluzione 13 ottobre 2017, n. 124/E

Interpello Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 Rinuncia al trattamento di fine mandato (TFM) da parte degli amministratori - Ambito di applicazione dell’articolo 88, comma 4-bis, del TUIR

Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

Alfa S.r.l. è partecipata in maniera paritaria da quattro soci persone fisiche, ciascuno dei quali è possessore di una quota pari al venticinque per cento del capitale sociale.

Il Consiglio di Amministrazione è composto da quattro amministratori. Trattasi, più precisamente, di due amministratori soci e due amministratori non soci.

Nel corso degli anni, la società istante ha regolarmente provveduto ad accantonare, così come da delibera assembleare ex articolo 2364 del codice civile, un importo a titolo di trattamento di fine mandato (TFM) pari al dieci per cento del compenso lordo percepito dagli amministratori.

Nell’ambito di una trattativa relativa alla cessione del pacchetto di maggioranza della società Alfa S.r.l. (conclusasi con la cessione delle maggioranza delle quote sociali ad una società cinese), i quattro amministratori, all’unanimità, hanno rinunciato, nel corso del 2016, al TFM accantonato negli esercizi precedenti.

Tanto premesso, anche alla luce delle modifiche apportate dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 147 del 2015, che ha introdotto il comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR, la società istante intende sapere se:

a) con riferimento alla rinuncia da parte degli amministratori soci alle quote di TFM accantonate, risulti corretta l’applicazione dell’articolo 88, comma 4-bis, del TUIR, con la conseguente iscrizione di una sopravvenienza attiva nei conti societari per la parte eccedente il valore fiscale del loro credito;

b) con riferimento alla rinuncia da parte degli amministratori non soci alle quote di TFM accantonate, risulti corretta l’applicazione dell’articolo 88, comma 1, del TUIR, con la conseguente iscrizione di una sopravvenienza attiva nei conti societari;

c) l’iscrizione come sopravvenienza attiva tassata delle quote di TFM oggetto di rinuncia, liberi la società e gli amministratori, in qualità di persone fisiche, da ulteriori obblighi fiscali.

 

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

 

Quesito sub lettera a)

Per quanto concerne la situazione degli amministratori soci, troverà applicazione l’articolo 88, comma 4-bis, del TUIR che fa espressamente riferimento alla posizione di socio.

Pertanto, tenuto anche conto della mancata comunicazione alla società del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia, la quota di TFM cui gli amministratori soci hanno rinunciato dovrà essere integralmente considerata come sopravvenienza attiva in capo alla società Alfa S.r.l. e come tale assoggettata per intero a tassazione.

 

Quesito sub lettera b)

Per quanto riguarda gli amministratori non soci, troverà applicazione, a parere della società istante, l’articolo 88, comma 1, del TUIR.

Pertanto, la quota di TFM oggetto di rinuncia dovrà essere interamente considerata come sopravvenienza attiva in capo alla società Alfa S.r.l. e totalmente tassata.

 

Quesito sub lettera c)

Da ultimo, la società Alfa S.r.l. evidenzia che gli amministratori non dovranno subire alcun tipo di tassazione in sede di dichiarazione dei redditi in qualità di persone fisiche. Ciò a prescindere dal possesso o meno della qualità di socio perché, in ogni caso, non trarranno maggiori benefici a seguito della rinuncia alle quote di TFM maturate.

 

Parere dell'agenzia delle entrate

 

In via preliminare, è opportuno rammentare che il trattamento di fine mandato (TFM) è un’indennità, non disciplinata in modo specifico dalla normativa civilistica, che la società può corrispondere agli amministratori alla scadenza del loro mandato.

Il suo ammontare è determinato, secondo criteri di ragionevolezza e congruità rispetto alla realtà economica dell’impresa, attraverso una specifica previsione statutaria ovvero mediante delibera assembleare dei soci.

Per quanto concerne la deducibilità ai fini IRES degli accantonamenti per l’erogazione del TFM, trova applicazione l’articolo 105, comma 4, del TUIR.

La norma appena citata consente la deduzione degli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’articolo 17, comma 1, lettera c), del TUIR.

Trattasi, in particolare, delle indennità per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 50, comma 1, lettera cbis, del TUIR, vale a dire le indennità dovute "in relazione agli uffici di amministratore".

Appare evidente, quindi, come gli accantonamenti a fondi del passivo per le indennità di trattamento di fine mandato, per effetto del rinvio contenuto nel citato articolo 105, comma 4, del TUIR rientrino nel tassativo novero degli accantonamenti per i quali è riconosciuta rilevanza fiscale, essendo sostanzialmente equiparati a quelli di quiescenza e previdenza.

Gli accantonamenti al fondo per il TFM sono quindi fiscalmente deducibili in base al principio di competenza, prescindendo dal momento in cui l’indennità sia effettivamente pagata.

Va rammentato, tuttavia, che, per effetto del rinvio all’articolo 17, comma 1, lettera c), del TUIR, la deducibilità dell’accantonamento per TFM è legata alla condizione che il diritto all’indennità risulti da un "atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto".

In caso contrario, la deduzione del relativo costo avverrà nell’anno di effettiva erogazione dell’indennità medesima (cfr. risoluzione n. 211/E del 22 maggio 2008).

Nel caso di specie, gli amministratori hanno unanimemente rinunciato al TFM accantonato dalla società istante negli esercizi precedenti, motivo per cui vengono chiesti alla scrivente chiarimenti circa gli effetti fiscali derivanti da tale fattispecie tanto in capo all’interpellante quanto in capo agli amministratori (soci e non soci).

 

Quesito sub lettera a)

Il comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR, inserito dall’articolo 13 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. "decreto internazionalizzazione"), e applicabile a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore del decreto internazionalizzazione (7 ottobre 2015), così stabilisce: "La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero. (...)".

Al riguardo, è opportuno rammentare che, per effetto delle modifiche apportate dal decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557, la disciplina di detassazione delle rinunce dei soci si applica a tutte le tipologie di crediti di natura sia finanziaria che commerciale.

Come emerge dalla relazione illustrativa al decreto legislativo n. 147 del 2015, con l’introduzione del citato comma 4-bis viene riformato il regime fiscale IRES delle rinunce a crediti da parte dei soci, riconducendolo a unità, a prescindere dalla modalità con cui l’operazione viene formalmente svolta, nonché dai principi contabili utilizzati dai soggetti coinvolti.

In particolare, tanto per le operazioni di rinuncia diretta a crediti originariamente sorti in capo al socio, quanto per quelle precedute dall’acquisto del credito (o della partecipazione) da parte del socio (o del creditore), il nuovo regime qualifica fiscalmente come "apporto" la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito.

A tal fine, il socio è tenuto a fornire alla partecipata una comunicazione - mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio o atto estero di natura equivalente - relativa al valore fiscale del credito; in assenza di tale comunicazione, il medesimo valore fiscale è assunto pari a zero, con la conseguenza che il debitore assoggetta a tassazione tutta la sopravvenienza attiva. In altri termini, nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione (come previsto dagli articolo 94, comma 6 e 101, comma 7, del TUIR, modificati dall’articolo 13 del "decreto internazionalizzazione") e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto (non tassabile).

L’eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile, a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.

In ogni caso, come può desumersi anche dalle risoluzioni n. 41/E del 5 aprile 2001 e n. 152/E del 22 maggio 2002, l’irrilevanza reddituale della rinuncia e della correlata sopravvenienza attiva (attualmente, nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia) trova giustificazione nella volontà del socio di patrimonializzare la società partecipata.

Invero, l’intassabilità della rinuncia ai crediti da parte dei soci si giustifica, in via sistematica, in virtù della cointeressenza del socio - creditore alle vicende della società partecipata.

La patrimonializzazione di quest’ultima si riflette, infatti, nell’attivo della partecipante, attraverso un corrispondente aumento del costo della partecipazione.

Per il socio l’onere conseguente alla rinuncia non è immediatamente deducibile, ma incrementa il costo della partecipazione.

Nel caso in cui, invece, la rinuncia trovi causa nell’animus donandi o nella remissione del debito da parte di un soggetto terzo, l’intera sopravvenienza attiva dovrà essere tassata in capo alla società partecipata in base all’articolo 88, comma 1, del TUIR.

Con riferimento al caso di specie, sulla base di quanto prospettato dall’istante, appare evidente la volontà degli amministratori soci di apportare, attraverso la rinuncia alle quote di TFM accantonate dalla società Alfa S.r.l., nuove risorse al patrimonio della partecipata, con il conseguente aumento del costo della partecipazione da essi detenuta.

Tuttavia, dal momento che si è in presenza di crediti per il TFM dovuto a persone fisiche non esercenti un’attività di impresa e che non è pertanto ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale, la società partecipata non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva ai sensi del comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR.

Allo stesso modo, non si ritiene necessaria la comunicazione alla società partecipata del valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia (articolo 88, comma 4- bis, secondo periodo), non potendosi verificare quelle distorsioni - dovute appunto alla mancata coincidenza tra il valore nominale dei crediti e il loro valore fiscale (ad esempio, per effetto di svalutazione) - che il legislatore ha inteso scongiurare e che sono ravvisabili soltanto in presenza di un’attività di impresa.

 

Quesito sub lettera b)

Dal momento che il comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR fa riferimento in modo esplicito alla qualifica di socio, la norma in questione non potrà trovare applicazione con riferimento alla rinuncia al TFM operata dagli amministratori non soci.

In tal caso, troverà applicazione il comma 1 dell’articolo 88 del TUIR secondo cui "si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite ed oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio o in precedenti esercizi".

Pertanto, a seguito della rinuncia degli amministratori non soci, se la società istante ha dedotto le quote di TFM accantonate, dovrà assoggettare a tassazione una sopravvenienza attiva. In caso contrario, la rinuncia non avrà effetto fiscale.

 

Quesito sub lettera c)

Per quanto concerne la rilevanza reddituale in capo agli amministratori (soci e non soci) della rinuncia al TFM, si rappresentano le seguenti considerazioni.

Come in precedenza evidenziato, il trattamento di fine mandato derivante dall’ufficio di amministratore è riconducibile ai redditi assimilati di lavoro dipendente di cui all’articolo 50, comma 2, lettera c-bis) del TUIR (somme e valori a qualunque titolo percepiti in relazione agli uffici di amministratore) "sempreché gli uffici (...) non rientrino (...) nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’articolo 49 (ora art. 53), comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente".

Laddove, viceversa, i compensi derivanti dall’ufficio di amministratore rientrino nell’oggetto tipico dell’attività di lavoro autonomo esercitata dal contribuente, detti compensi sono assoggettati alle disposizioni fiscali dettate per i redditi di natura professionale (cfr. circolare n. 105/E del 12 dicembre 2001).

In entrambi i casi la tassazione del TFM - sia come reddito assimilato al lavoro dipendente sia come reddito professionale - segue il criterio di cassa, con imposizione al momento della percezione.

Ciò posto, con la circolare ministeriale n. 73 del 27 maggio 1994, l’Amministrazione finanziaria, dopo aver confermato che tutti i crediti ai quali il socio rinuncia vanno portati ad aumento del costo della partecipazione senza generare una sopravvenienza attiva per la società partecipata, ha chiarito che la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci) presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta di imposta.

La tesi dell’incasso giuridico è stata recepita dalla Corte di Cassazione attraverso due recenti pronunce riguardanti rispettivamente la rinuncia ad un credito derivante da compensi per royalties spettanti al socio di maggioranza (sentenza n. 26842 del 18 dicembre 2014) e le rinunce a crediti derivanti dalle indennità di fine mandato spettanti a due soci - amministratori (ordinanza n. 1335 del 26 gennaio 2016).

La Suprema Corte ha stabilito "la tassabilità in capo al socio rinunciatario del credito, anche se non materialmente incassato ma conseguito ed utilizzato, tramite la rinuncia, in favore della società e, quindi, la obbligatorietà in capo a quest’ultima di operare la ritenuta" prevista dall’articolo 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

In questo modo, secondo i giudici di legittimità, è possibile evitare il "salto di imposta" che si verrebbe a determinare a fronte dell’intassabilità della rinuncia al credito in capo alla società - in virtù dell’articolo 88, comma 4, del TUIR (ora, articolo 88, comma 4-bis del TUIR) - ed in capo al socio in presenza di un reddito tassabile in base al principio di cassa.

In particolare, nell’ordinanza n. 1335 del 26 gennaio 2016, la Corte di Cassazione ha affermato che "la rinuncia del credito da parte del socio costituisce (...) una prestazione che viene ad aumentare il patrimonio della società e può comportare anche l’aumento del valore delle sue quote sociali. In tale contesto, allora, appare corretto ritenere che la rinuncia del credito da parte di un socio sia espressione della volontà di patrimonializzare la società e che, pertanto, non possa essere equiparata alla remissione di un debito da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale. In altri termini, la rinuncia presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene comunque "utilizzato", sia pure con atto di disposizione avente natura di rinuncia. Consegue quindi che, in caso di compensi di lavoro autonomo spettanti al socio, la rinuncia operata dal socio medesimo presuppone logicamente la maturazione ed il conseguimento del credito vantato, con ineludibile soggezione al regime fiscale conseguente, in capo al socio creditore.

Altrimenti operando, si permetterebbe alla società di beneficiare di accantonamenti fiscalmente dedotti nel corso dei singoli periodi di imposta che non scontano alcuna imposizione fiscale, nonostante producano l’effetto ultimo di incrementare il costo della partecipazione e perciò di generare reddito, che finirebbe per rimanere esente da imposizione".

Tanto premesso, nel caso di specie, in cui gli amministratori soci hanno rinunciato alle quote di TFM accantonate dalla società istante patrimonializzando la stessa, i crediti rinunciati - che si intendono giuridicamente incassati - dovranno essere assoggettati a tassazione in capo ai soci persone fisiche non imprenditori, con conseguente obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte da parte della società Alfa S.r.l.

Con riferimento, invece, alla rinuncia operata dagli amministratori non soci, non trovando applicazione, come detto in precedenza, il comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR, sarà la società istante ad assoggettare a tassazione la sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia al TFM nei limiti in cui abbia dedotto gli accantonamenti effettuati in passato.

Per gli amministratori non soci, in assenza di una contropartita e non potendo incrementare il valore della partecipazione, il principio del c.d. incasso giuridico non si applica ed essi non saranno assoggettati ad alcuna imposizione fiscale

 

Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.