Giurisprudenza - TRIBUNALE DI ROMA - Ordinanza 07 aprile 2016

Previdenza - Lavoratrici - Collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età, anziché al raggiungimento dell'età di 66 anni e tre mesi/sette mesi, come previsto per i lavoratori - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 3, in combinato disposto con l'art. 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122

 

Con ricorso depositato in data 7 maggio 2015, A.C., nata il 28 gennaio 1950, ha esposto che ha prestato servizio alle dipendenze del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, inquadrata nella Terza Area, posizione economica F4, con incarico di funzionario bibliotecario; e che il Ministero, con provvedimento del 17 dicembre 2014, comunicato il 13 febbraio 2015, ha disposto il suo collocamento a riposo dal 1° febbraio 2015, nonostante ella avesse diffidato l'Amministrazione a trattenerla in servizio fino al raggiungimento dell'età di sessantasei anni e tre mesi.

 La ricorrente ha sostenuto che, non avendo maturato, alla data del 31 dicembre 2011, alcuno dei requisiti per il pensionamento dei dipendenti pubblici, secondo quanto previsto dall'art. 24 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha diritto di rimanere in servizio fino al compimento dell'età di sessantasei anni e tre mesi, come previsto per tutti i dipendenti, a decorrere dal 1° gennaio 2012.

 La ricorrente ha pertanto chiesto che sia accertato il proprio diritto ad essere trattenuta in servizio sino al raggiungimento di sessantasei anni e tre mesi di età e che, conseguentemente, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia condannato a trattenerla in servizio e, per l'effetto, a reintegrarla nell'incarico di funzionario bibliotecario presso l'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche - ICCU.

 Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, costituitosi il 30 ottobre 2015, ha sostenuto che la ricorrente non rientra tra i soggetti che a decorrere dal 1° gennaio 2012 maturano i requisiti per il pensionamento, giacché ella aveva già maturato i requisiti per il pensionamento di anzianità entro il 31 dicembre 2011, avendo, infatti, a tale data, 33 anni e 2 mesi di contribuzione ed avendo allora già raggiunto il 61° anno di età.

 1. - L'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 503/1992, ha stabilito che «Il diritto alla pensione di vecchiaia a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti è subordinato al compimento dell'età indicata, per ciascun periodo, nella tabella A allegata».

 L'originaria tabella A è stata sostituita dalla tabella A allegata alla legge n. 724/1994 in base alla quale le età pensionabili fissate a 60 anni per gli uomini ed a 55 per le donne sono state via via incrementate fino ad essere fissate in 65 anni per gli uomini e 60 per le donne a decorrere dal 1° gennaio 2000 in poi (salvo quanto si dirà oltre).

 Il successivo art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 503/1992 ha poi stabilito i requisiti assicurativi e contributivi per il pensionamento di vecchiaia: «Nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall'inizio dell'assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell'assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti».

 Tale regime è stato esteso, dal medesimo decreto legislativo n. 503/1992, anche alle altre forme di previdenza diverse da quella generale per i lavoratori subordinati privati e, quindi, anche a quella propria dei dipendenti pubblici.

 Infatti l'art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 503/1992, ha stabilito che «Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria trova applicazione quanto disposto dall'art. 1, fermi restando, se più elevati, i limiti di età per il pensionamento di vecchiaia vigenti alla data del 31 dicembre 1992 e quelli per il collocamento a riposo d'ufficio per raggiunti limiti di età previsto dai singoli ordinamenti nel pubblico impiego».

 Il successivo art. 6 ha parimenti richiamato l'art. 1 dello stesso decreto legislativo n. 503 anche per quanto riguarda i requisiti di assicurazione e di contribuzione: «Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale obbligatorio, si applicano i criteri di cui all'art. 2 del presente decreto, fermi restando i requisiti assicurativi e contributivi previsti dai rispettivi ordinamenti, se più elevati».

 2. L'art. 2, comma 21, della legge n. 335/1995, nel testo originario, prevedeva testualmente: «Con effetto dal 1° gennaio 1996, le lavoratrici iscritte alle forme esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti al compimento del sessantesimo anno di età, possono conseguire il trattamento pensionistico secondo le regole previste dai singoli ordinamenti di appartenenza per il pensionamento di vecchiaia ovvero per il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età».

 Pertanto, non veniva modificato l'istituto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, cioè a seguito del raggiungimento del 65° anno di età per impiegati civili dello Stato, a norma dell'art. 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973, senza distinzione tra uomini e donne (differenza tra uomini e donne vi era invece per gli operai).

 Le impiegate, quindi, fermo restando il collocamento a riposo al raggiungimento del limite massimo dei sessantacinque anni, avevano facoltà, avendo maturato anche il requisito assicurativo e contributivo di venti anni, di accedere, a domanda, al trattamento pensionistico di vecchiaia al compimento del sessantesimo anno di età.

 3. - A seguito di ricorso della Commissione europea, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha ravvisato contrasto con il principio fondamentale della parità di trattamento di cui all'art. 141 del Trattato della Comunità europea - secondo cui ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore - nella diversa età per il pensionamento di vecchiaia tra uomini e donne nel settore pubblico.

 Si leggono nella sentenza della Corte di giustizia del 13 novembre 2008 nella causa C-46/07 - al termine del ragionamento secondo cui il sistema pensionistico dei lavoratori pubblici deve essere qualificato come sistema «professionale» e dunque sottoposto al principio sulla parità di trattamento retributivo senza discriminazioni di sesso - le seguenti affermazioni:

 «55. Come risulta da una costante giurisprudenza, l'art. 141 CE vieta qualsiasi discriminazione in materia di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, quale che sia il meccanismo che genera questa ineguaglianza. Secondo questa stessa giurisprudenza, la fissazione di un requisito di età che varia secondo il sesso per la concessione di una pensione che costituisce una retribuzione ai sensi dell'art. 141 CE è in contrasto con questa disposizione (v. sentenze Barber, cit., punto 32; 14 dicembre 1993, causa C-110/91, Moroni, Racc. pag. I-6591, punti 10 e 20; 28 settembre 1994, causa C-408/92, Avdel Systems, Racc. pag. I-4435, punto 11, nonché Niemi, cit., punto 53).

 56. Come sostiene la commissione, senza essere contraddetta al riguardo dalla Repubblica italiana, il regime pensionistico gestito dall'INPDAP prevede una condizione di età diversa a seconda del sesso per la concessione della pensione versata in forza di tale regime.

 57. L'argomento della Repubblica italiana secondo cui la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione di età diversa a seconda del sesso è giustificata dall'obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne non può essere accolto. Anche se l'art. 141, n. 4, CE autorizza gli Stati membri a mantenere o a adottare misure che prevedano vantaggi specifici, diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne nella vita professionale, non se ne può dedurre che questa disposizione consente la fissazione di una tale condizione di età diversa a seconda del sesso. Infatti, i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione debbono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all'uomo [v., per quanto riguarda l'interpretazione dell'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale concluso tra gli Stati della Comunità europea ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU 1992, C 191, pag. 91), sentenza Griesmar, cit., punto 64].

 58. Ora, la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d'età diversa a seconda del sesso non è tale da compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile aiutando queste donne nella loro vita professionale e ponendo rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale.

 59. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre constatare che, mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a ricevere la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi di cui all'art. 141 CE».

 4. - Per ovviare alla rilevata violazione del divieto di discriminazione in materia di retribuzione, il legislatore è intervenuto modificando il citato art. 2, comma 21, della legge n. 335/1995, che, pertanto, per effetto dell'art. 22-ter del decreto-legge n. 78/2009, convertito in legge n. 102/2009, ha creato un meccanismo di progressivo adeguamento dell'età pensionabile delle donne a quella degli uomini nel settore del pubblico impiego.

 La formulazione dell'art. 2, comma 21, della legge n. 335/1995, in dichiarata attuazione della citata sentenza della Corte di giustizia del 13 novembre 2008, è risultata quindi la seguente: «Con effetto dal 1° gennaio 1996, le lavoratrici iscritte alle forme esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti al compimento del sessantesimo anno di età, possono conseguire il trattamento pensionistico secondo le regole previste dai singoli ordinamenti di appartenenza per il pensionamento di vecchiaia ovvero per il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età. A decorrere dal 1° gennaio 2010, per le predette lavoratrici il requisito anagrafico di sessanta anni di cui al primo periodo del presente comma e il requisito anagrafico di sessanta anni di cui all'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni [norma in materia di pensioni di anzianità], sono incrementati di un anno. Tali requisiti anagrafici sono ulteriormente incrementati di un anno, a decorrere dal 1° gennaio 2012, nonché di un ulteriore anno per ogni biennio successivo, fino al raggiungimento dell'età di sessantacinque anni.

Restano ferme la disciplina vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico e le disposizioni vigenti relative a specifici ordinamenti che prevedono requisiti anagrafici più elevati, nonché le disposizioni di cui all'art. 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165. Le lavoratrici di cui al presente comma, che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2009 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente disposizione ai fini del diritto all'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, conseguono il diritto alla prestazione pensionistica secondo la predetta normativa e possono chiedere all'ente di appartenenza la certificazione di tale diritto».

 Avendo la Commissione europea sollecitato un più celere adeguamento del nostro ordinamento al detto principio, il legislatore è intervenuto nuovamente prevedendo la parificazione dell'età pensionabile dal 1° gennaio 2012.

 Pertanto, per effetto delle ulteriori modifiche apportate dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, il testo dell'art. 2, comma 21, della legge n. 335/1995 è quindi divenuto il seguente:

 «Con effetto dal 1° gennaio 1996, le lavoratrici iscritte alle firme esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti al compimento del sessantesimo anno di età, possono conseguire il trattamento pensionistico secondo le regole previste dai singoli ordinamenti di appartenenza per il pensionamento di vecchiaia ovvero per il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età. A decorrere dal 1° gennaio 2010, per le predette lavoratrici il requisito anagrafico di sessanta anni di cui al primo periodo del presente comma e il requisito anagrafico di sessanta anni di cui all'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, sono incrementati di un anno. Tali requisiti anagrafici sono ulteriormente incrementati di quattro anni dal 1° gennaio 2012 ai fini del raggiungimento dell'età di sessantacinque anni. Restano ferme la disciplina vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico e le disposizioni vigenti relative a specifici ordinamenti che prevedono requisiti anagrafici più elevati, nonché le disposizioni di cui all'art. 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165. Le lavoratrici di cui al presente comma, che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2009 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti alla predetta data ai fini del diritto all'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia nonché quelle che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente alla predetta data, conseguono il diritto alla prestazione pensionistica secondo la predetta normativa e possono chiedere all'ente di appartenenza la certificazione di tale diritto».

 5. - Su tale situazione normativa è venuta ad innestarsi la nuova disciplina sulle pensioni dettata dall'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, essendo previsto, per tutti i lavoratori, un generale aumento dell'età pensionabile da 65 a 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2012 e venendo eliminate la pensione di vecchiaia anticipata e quella di anzianità che sono state sostituite dalla «pensione anticipata».

 Ai fini della presente controversia rilevano, in particolare, i commi 3 e 14 del citato art. 24.

 Il primo dispone testualmente: «3. Il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale normativa e può chiedere all'ente di appartenenza la certificazione di tale diritto. A decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti che, nei regimi misto e contributivo, maturano i requisiti a partire dalla medesima data, le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità sono sostituite, dalle seguenti prestazioni:

 a) «pensione di vecchiaia», conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di cui ai commi 6 e 7, salvo quanto stabilito ai commi 14, 15-bis e 18;

 b) «pensione anticipata», conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di cui ai commi 10 e 11, salvo quanto stabilito ai commi 14, 15-bis, 17 e 18».

 Il comma 14 conferma che «Le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi ai soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011» nonché ai soggetti di cui all'art. 1, comma 9 della legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni e integrazioni (cioè soggetti che acquisiscono il diritto alla pensione di anzianità a certe condizioni), ed altresì a determinate categorie che maturino i requisiti detti anche dopo il 31 dicembre 2011, ma entro i limiti di specifiche risorse finanziarie.

 Essendo sorti dubbi interpretativi circa le pensioni che possono essere liquidate in base ai requisiti vigenti fino al 31 dicembre 2011, da ultimo il legislatore ha emanato norma di interpretazione autentica.

 L'art. 2, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge n. 125/2013, ha stabilito che «L'art. 24, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, si interpreta nel senso che il conseguimento da parte di un lavoratore dipendente delle pubbliche amministrazioni di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011 comporta obbligatoriamente l'applicazione del regime di accesso e delle decorrenze previgente rispetto all'entrata in vigore del predetto art. 24».

 Pertanto, le disposizioni in materia di accesso alla pensione di vecchiaia vigenti fino al 31 dicembre 2011 sono ultrattive per tutti coloro che entro tale data hanno maturato requisiti tali per cui avrebbero dovuto o potuto essere collocati a riposo.

 6. - Nella specie, la C., alla data del 31 dicembre 2011, aveva già compiuto il sessantunesimo anno di età, essendo nata il 28 gennaio 1950, ed aveva maturato il requisito assicurativo e contributivo di venti anni avendo 33 anni, due mesi ed un giorno di anzianità, come indicato da entrambe le parti.

 Pertanto ella - in base alla disposizione di cui all'art. 2, comma 21, della legge n. 335/1995, come modificato da ultimo dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, che stabilisce in 61 anni il limite per le dipendenti pubbliche per chiedere il trattamento di pensione di vecchiaia, ed in base al combinato disposto degli articoli 2 e 5 del decreto legislativo n. 503/1992, che fissa in venti anni il requisito di anzianità assicurativa e contributiva minimo per la detta pensione - aveva già maturato il diritto di chiedere il trattamento pensionistico di vecchiaia.

 Avendo quindi già maturato i detti requisiti, doveva appunto essere collocata a riposo d'ufficio al raggiungimento del 65° anno di età in virtù di quanto previsto dall'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973, non trovando applicazione le disposizioni di cui all'art. 24, commi 3 e 6 lettera c) del decreto-legge n. 201/2011, disposizioni secondo cui appunto dal 1° gennaio 2012 il diritto alla pensione di vecchiaia si acquista al raggiungimento del 66° anno di età.

 Il comma 6 dell'art. 24 citato, prevede, infatti, che «Relativamente ai soggetti di cui al comma 5», cioè coloro che a decorrere dal 1° gennaio 2012 maturano i requisiti per il pensionamento secondo la nuova legge, «al fine di conseguire una convergenza verso un requisito uniforme per il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia tra uomini e donne e tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, a decorrere dal 1° gennaio 2012 i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione di vecchiaia sono ridefiniti nei termini di seguito indicati:

 [...]

 c) per i lavoratori dipendenti e per le lavoratrici dipendenti di cui all'art. 22-ter, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni e integrazioni [norma, si rammenta, dettata per adeguare l'ordinamento italiano al divieto di discriminazioni nei termini indicati dalla Corte di giustizia con la sentenza del 13 novembre 2008], la cui pensione è liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima il requisito anagrafico di sessantacinque anni per l'accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema misto e il requisito anagrafico di sessantacinque anni di cui all'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, è determinato in 66 anni».

 Il limite di sessantasei anni è poi aumentato a sessantasei anni e tre mesi dal 1° gennaio 2013 ed a sessantasei anni e sette mesi dal 1° gennaio 2016, per effetto, rispettivamente, dei decreti direttoriali 6 dicembre 2011 e 16 dicembre 2014 del Ministero dell'economia e delle finanze, emanati in virtù dell'art. 12, comma 12-bis, decreto-legge n. 78/2010 secondo cui «In attuazione dell'art. 22-ter, comma 2, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, concernente l'adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita, e tenuto anche conto delle esigenze di coordinamento degli istituti pensionistici e delle relative procedure di adeguamento dei parametri connessi agli andamenti demografici, a decorrere dal 1° gennaio 2013 i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, i requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il requisito anagrafico di cui all'art. 22-ter, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, il requisito anagrafico di 65 anni di cui all'art. 1, comma 20, e all'art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, e il requisito contributivo ai fini del conseguimento del diritto all'accesso al pensionamento indipendentemente dall'età anagrafica devono essere aggiornati a cadenza triennale con decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare almeno dodici mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento. La mancata emanazione del predetto decreto direttoriale comporta responsabilità erariale. Il predetto aggiornamento è effettuato sulla base del procedimento di cui al comma 12-ter».

 7. - Il sistema normativo sopra indicato appare tale da giustificare dubbio di legittimità costituzionale per contrasto con le disposizioni di cui agli articoli 3, 11, 37 e 117 Cost.

 Invero, premesso che la disposizione contenuta nell'art. 2, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, impone di interpretare l'art. 24, comma 3 del decreto-legge necessariamente nel senso che i dipendenti delle pubbliche amministrazioni che abbiano acquisito un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011, devono essere collocati a riposo entro il limite di età stabilito dalle disposizioni previgenti, anche se lo raggiungano quando è ormai in vigore il limite generale di 66 anni, si è venuta a creare una situazione di disparità di trattamento e di discriminazione tra uomini e donne rispetto alle condizioni di lavoro ed alla retribuzione.

 Se, infatti, si ipotizza la posizione di un lavoratore che abbia la medesima età anagrafica della ricorrente e la medesima anzianità contributiva, ebbene questi, non avendo maturato, entro il 31 dicembre 2011, alcun diritto a pensione, in quanto uomo, non sarebbe collocato a riposo d'ufficio al raggiungimento del 65° anno di età, come la C., bensì solo al compimento dell'età di 66 anni e tre mesi secondo la previsione vigente nel febbraio 2015 (epoca del collocamento a riposo della ricorrente) ovvero al compimento dell'età di 66 anni e sette mesi a seguito dell'ulteriore incremento di ulteriori quattro mesi in vigore dal 1° gennaio 2016.

 La posizione della lavoratrice appare quindi deteriore rispetto a quella di un lavoratore che si trovi nelle medesime condizioni di età e di anzianità assicurativa e contributiva.

 Il lavoratore, infatti, potrà rimanere in servizio per un anno e tre mesi/sette mesi in più rispetto alla lavoratrice, continuando a percepire la retribuzione anziché il trattamento pensionistico, solitamente inferiore, vedendo incrementata la propria posizione contributiva ed aumentata l'anzianità di servizio con conseguente miglioramento del trattamento pensionistico spettante, oltre a percepire, al termine dell'attività, un trattamento di fine rapporto maggiore avendo potuto lavorare più a lungo, senza trascurare peraltro i possibili sviluppi di carriera nell'arco di tempo intercorrente tra il compimento del sessantacinquesimo anno dì età ed il collocamento a riposo.

 8. - La situazione penalizzante per la lavoratrice appare in contrasto in primo luogo con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, non apparendo ragioni sufficienti a giustificare un trattamento per le donne deteriore rispetto a quello riservato agli uomini, giacché non possono certo reputarsi idonei a giustificare tale disparità i possibili vantaggi per la finanza pubblica connessi ad una riduzione del personale femminile collocato a riposo prima di quello maschile, con riconoscimento di trattamento pensionistico inferiore.

 9. - In secondo luogo, si segnala il contrasto con il principio di cui all'art. 37, comma 1, Cost., esplicazione di quello generale dell'art. 3, poiché - tenuto conto anche della interpretazione data dalla Corte di giustizia nella citata sentenza del 13 novembre 2008 - il trattamento pensionistico spettante ai dipendenti dello Stato ha carattere «professionale» e quindi è sottoposto al principio sulla parità di trattamento retributivo senza discriminazioni di sesso.

Invero, le donne che abbiano maturato i requisiti per poter fruire di pensione raggiungendo il 61° anno di età entro il 31 dicembre 2011, si trovano in posizione deteriore rispetto agli uomini che abbiano raggiunto la medesima età entro lo stesso termine, non potendo continuare a lavorare per almeno altri quindici mesi e perdendo quindi la relativa retribuzione con quanto ne consegue.

 10. - Apparendo poi contrasto con disposizioni primarie e derivate dall'Unione europea, si prospetta conflitto indiretto con le disposizioni di cui agli articoli 11 e 117 Cost.

 Innanzi tutto, il trattamento deteriore spettante alle lavoratrici è in contrasto con il principio sancito dall'art. 141 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130, secondo il cui primo comma, «Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore».

 Inoltre, collide con l'art. 21 della Carta europea dei diritti fondamentali, pubblicata in GUCE 2000/C 364/01 il 18 dicembre 2000, secondo cui «E' vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali».

 L'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ha conferito alla detta Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea lo stesso valore giuridico dei trattati.

 Appare inoltre contrasto con la direttiva 5 luglio 2006, n. 54 (attuata con decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5) volta ad «assicurare l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego», posto che l'art. 2 di tale direttiva ravvisa «discriminazione diretta» allorquando sussista una «situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un'altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga». Come detto, un impiegato che si fosse trovato nelle medesime condizioni di età e di posizione assicurativa e contributiva della ricorrente non sarebbe stato collocato a riposo ed avrebbe potuto continuare a lavorare almeno per altri quindici mesi.

 Il denunciato contrasto con principi fondamentali dell'ordinamento europeo si traduce in contrasto con l'art. 11 Cost. poiché la normativa italiana appare impedire o pregiudicare l'osservanza del Trattato in uno dei suoi principi essenziali, quale quello di non discriminazione per ragioni di sesso.

 In ultimo, il contrasto con la direttiva 5 luglio 2006, n. 54, si traduce in contrasto con l'art. 117, comma 1 Cost. secondo cui la potestà legislativa si deve esplicare nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.

 11. - In definitiva, posto che la questione di legittimità costituzionale è certamente rilevante poiché la domanda sulla quale si deve giudicare trova ostacolo proprio della normativa che impone il collocamento a riposo ad età inferiore a quella stabilita per gli uomini, si rende necessario sottoporre al vaglio del Giudice delle Leggi la detta questione concernente il prospettato contrasto con le disposizioni costituzionali di cui agli articoli 3, 11, 37, comma 1, e 117, comma 1, del combinato disposto degli articoli 24, comma 3, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, come interpretato dall'art. 2, comma 4, decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125, e 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato da ultimo dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, nella misura in cui detto combinato disposto impone il collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età delle impiegate che abbiano maturato i requisiti per il conseguimento della pensione con il raggiungimento del 61° anno di età e di venti anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 2011, laddove gli impiegati, che si trovino nella medesima condizione lavorativa, sono collocati a riposo al raggiungimento dell'età di 66 anni e tre mesi/sette mesi.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale, visti l'art. 134 Cost. e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, così provvede:

 1. - dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento alle disposizioni costituzionali di cui agli articoli 3, 11, 37, comma 1, e 117, comma 1, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 24, comma 3, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, come interpretato dall'art. 2, comma 4, decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125, e 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n 335, come modificato da ultimo dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, nella misura in cui detto combinato disposto impone il collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età delle impiegate che abbiano maturato i requisiti per il conseguimento della pensione con il raggiungimento del 61° anno di età e di venti anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 2011, laddove gli impiegati, che si trovino nella medesima condizione lavorativa, sono collocati a riposo al raggiungimento dell'età di 66 anni e tre mesi/sette mesi;

 2. - dispone la sospensione del presente giudizio;

 3. - ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza - che viene letta in udienza - sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri;

 4. - ordina, altresì, che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;

 5. - dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 19 ottobre 2016, n. 42