Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 ottobre 2016, n. 19915

Licenziamento disciplinare - Appropriazione di somme di denaro - Sussistenza dell’addebito - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Grosseto S. S., dipendente della U. T. presso il negozio di Bagno di Gavorrano, con qualifica di impiegata addetta al servizio Depositi e Prestiti, impugnava il licenziamento disciplinare intimatole con raccomandata dell'11 agosto 2006 per essersi appropriata di ingenti somme prelevandole dai conti dei coniugi P. V. e M. I., chiedendo accertarsene l'illegittimità per insussistenza dell'addebito.

Si costituiva U. T. proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno cagionato dalla condotta della lavoratrice, quantificato in € 57.254.11 per somme restituite alle persone offese ed € 25.000 per danni non patrimoniali, morali e all'immagine.

Il Tribunale di Grosseto, con sentenza del 21-22.12.2010 (nr. 497/2010), rigettava la domanda principale ed, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava S. S. al risarcimento del danno patrimoniale, in misura di € 57.254.11 oltre accessori.

La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 4.10-16.10.2012 (nr. 1016/2012), rigettava l'appello della lavoratrice.

La Corte territoriale osservava che l'istruttoria orale ed i documenti attestavano che la S., approfittando della sua mansione di addetta allo sportello del servizio depositi a risparmio, si era appropriata tra il 2003 ed il 2006 delle somme di denaro contestate prelevandole dai libretti di deposito a risparmio intestati a V. P. e I. M.

In primo luogo i libretti in questione portavano scritturazioni a penna, contrariamente alla prassi ed alle regole di tenuta di siffatti documenti di deposito.

La P., sentita come teste, aveva dichiarato di avere sempre trattato con la S., alla quale portava i libretti, circostanza confermata dalla teste M. e denunziata nell'esposto del 6.2.2006 dei due interessati, il che induceva ad individuare nella S. l'autrice delle scritturazioni sul libretti, dirette a mascherare la sottrazione delle somme.

Né l'istruttoria aveva individuato motivi per cui la P. avrebbe avuto interesse ad indicare la S. come persona con cui abitualmente trattava allo sportello.

Inoltre la mattina del 3.2.2006 quando, attraverso la stampa del duplicato dei libretti, era stato accertato l'ammanco la S., assente per malattia ed avvisata del fatto, si era presentata in negozio rassicurando la P. e la nipote M. che "tutto sarebbe stato sistemato", circostanza riferita dalle predetti testi.

Non vi era motivo di dubitare, poi, della attendibilità del fatto, denunziato dalla P. nella immediatezza, che la S. le aveva telefonato a casa la domenica 5 febbraio 2006 per tranquillizzarla ulteriormente e chiederle di non coinvolgere altre persone nella vicenda.

Le indagini svolte da U. T. si fondavano non soltanto sul fatto che le operazioni irregolari - per la massima parte delle quali non vi erano ricevute, neppure apocrife - erano state fatte con l'account della S. ma anche sulla verifica delle giornate di presenza.

Vi erano poi una serie di operazioni (in date 30.10.2003, 3.11.2003, 5.5.2004, 11.5.2004) eseguite dalla S. - non disconosciute né giustificate - dalle quali si desumeva che ella aveva utilizzato alcuni conti di appoggio sui quali aveva la firma (personali, del marito, del suocero, di un conoscente), per ristabilire provvisoriamente l'equilibrio di cassa.

Per la Cassazione della sentenza ricorre S. S., articolando due motivi illustrati con memoria.

Resiste con controricorso U. T.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia - ai sensi dell'articolo 360 co. l nr 3 cpc. - violazione degli articoli 244 e 416 co. 3 c.p.c. nonché vizio della motivazione.

Espone che la Corte d'appello aveva omesso di pronunziarsi sullo specifico motivo di gravame con cui ella aveva censurato la illegittimità della ammissione delle prove testimoniali e la intempestività delle produzioni documentali, incorrendo così nel vizio di motivazione.

La prova per testi non avrebbe potuto essere ammessa in quanto la capitolazione dei fatti da provare era avvenuta soltanto con la memoria depositata alla udienza del 30 ottobre 2007 e non in memoria di costituzione, dove la prova richiesta non era stata articolata per capitoli separati. Né avrebbero dovuto essere acquisiti i documenti - (dal numero 25 al numero 30) - allegati alla stessa memoria.

Il motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

Quanto al vizio della motivazione, nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi dell'art. 54, co. 3 dl 83/2012) il nuovo testo dell’art. 360 co. l nr. 5 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all'11 settembre 2012 sicché il vizio è deducibile soltanto in termini di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Nella fattispecie di causa la censura, per come proposta, è inammissibile, poiché non è denunziato l'omesso esame di un fatto storico ma la violazione delle regole del processo. Quanto alla assunta violazione delle norme che presiedono alla ammissione della prova testimonaile, il motivo è infondato.

Deve darsi in questa sede continuità al principio, già affermato da questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 17/04/2003, n. 6214), secondo cui poiché nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi affinché le richieste probatorie rispondano al requisito di specificità è sufficiente indicare come mezzi di prova i fatti allegati a fondamento delle pretese iniziali, senza necessità di riformularli separatamente come capi di prova.

Peraltro questa Corte ha altresì ripetutamente affermato (Cassazione civile, sez. lav., 28 luglio 2010 n. 17649; 20/01/2005, n. 1130; 21/08/2004, n. 16529) che il giudice di merito nell’esercizio dei poteri di cui all'art. 421 cod. proc. civ. può assegnare alle parti un termine per porre rimedio alla irregolarità riscontrata nella indicazione dei capitoli di prova, con l'invito ad una nuova formulazione degli stessi e che ciò comporta, in applicazione della particolare disciplina del quinto e sesto comma dell'art. 420 cod.proc.civ., la decadenza della parte dal diritto di assumere la prova soltanto nell'ipotesi di mancata ottemperanza a tale invito nel termine fissato.

Il motivo è inammissibile, per mancanza di specificità del ricorso, in ordine alta dedotta illegittimità della acquisizione documentale.

La parte ricorrente non ha neppure indicato il contenuto dei documenti che sarebbero stati tardivamente prodotti, identificandoli con la sola numerazione con cui sono stati affollati (documenti da 25 a 30) - laddove l'onere di specificità imponeva la loro riproduzione in ricorso.

Sulla base di quanto dedotto questa Corte non è in grado di verificare né se la acquisizione dei documenti sia avvenuta nel legittimo esercizio del potere-dovere del giudice di merito - ex articolo 421 c.p.c. - di approfondire eventuali elementi di indagine già in atti né, comunque,se la censura proposta abbia o meno carattere di decisività, per essere stati i documenti utilizzati come base del convincimento del giudice dell'appello.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente denunzia - ai sensi dell'articolo 360 nrr. 3 - 4-5 - violazione degli articoli 2727, 2729, 2697 cc. nonché degli articoli 115, 116, 132 c.p.c. e 118 da c.p.c.

Lamenta che nessuno dei dati di fatto indicati come certi dal giudice dell'appello era tale in quanto:

La S. non era l'unica addetta allo sportello del servizio Depositi e Prestiti (teste R.: udienza 14.3.2008);

- L'account della S. era utilizzato anche da altri dipendenti quando ella era assente per ferie malattia o in missione (testi R., M. e C.);

- Il fatto che i libretti portassero scritturazioni a penna era privo di valore probatorio e comunque il ctu nominato nel primo grado aveva escluso che risalissero alla S. le sigle apposte in corrispondenza delle annotazioni numeriche manuali;

Le dichiarazioni della teste P. (confermata dalla M.) quanto al fatto di avere trattato esclusivamente con la S. era inattendibile;

La dichiarazione della S., nella immediatezza della scoperta dei fatti, secondo cui "tutto sarebbe stato sistemato" , riferita de relato dalle testi M. e P., non poteva esser letta disgiuntamente dal fatto che la S., come riferito dalla teste M., aveva invitato le due testi a tornare il giorno successivo per parlare con il responsabile;

- La P., sentita come teste, non confermava il contenuto della lettera con cui denunziava di essere stata contattata dalla S. nella giornata del 5.2.2006;

Le indagini della U. non fornivano dati certi, visti l'uso delle credenziali della S. da parte di terzi , la registrazione di operazioni contestate anche in periodi di assenza della S., la annotazione di presenza della S. anche in giornate in cui era distaccata in altri negozi , la testimonianza del teste M.;

- Le operazioni eseguite sui conti indicati in sentenza come conti "di appoggio" costituivano un cambio di assegni e non vi era alcuna necessità di ristabilire l'equilibrio di cassa.

Il motivo è inammissibile.

Per costante giurisprudenza di legittimità l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, I1 esame e la valutazione operata dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. - applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata - ha poi introdotto nell’ordinamento un vizio specifico, che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo, previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Nella fattispecie di causa la ricorrente non allega un fatto storico potenzialmente decisivo il cui esame sarebbe stato omesso ma si duole dell'omesso esame di elementi istruttori (dichiarazioni dei testi R., M., C., M.) e della lettura delle prove operata dal giudice dei merito; con ciò demanda a questa Corte un non consentito esame di merito e non di legittimità.

Neppure sussiste un vizio della motivazione denunziabile come violazione di legge.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881 ; Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053) la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 83/ 2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata ed a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.

Il ricorso deve esser pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente ai 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 DPR 115/2002) - della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per esborsi ed € 3.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.