Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 novembre 2017, n. 26823

Professionisti - Dottore commercialista - Responsabilità professionale per negligenza nello svolgimento dell’incarico - Risarcimento danni in favore del cliente per la sanzione subita

 

Fatti di causa

 

G. P. ha ottenuto decreto ingiuntivo per l'importo di € 94.320,00 nei confronti della società C. S.r.l., in favore della quale aveva fornito prestazioni professionali quale commercialista.

La società, nel proporre opposizione, ha contestato le ragioni di credito poste a base del ricorso monitorio ed ha chiesto il risarcimento del danno subito in conseguenza dell'inadempimento del professionista ricorrente nello svolgimento del suo incarico.

Il Tribunale di Milano ha rigettato l'opposizione della C. S.r.l., ma ha condannato il P. al pagamento di € 75.612,77 in favore di quest'ultima, a titolo risarcitorio.

La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, rigettando il gravame proposto da entrambe le parti.

Ricorre il P., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso C. S.r.l..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3; nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.. Nella specie: violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2, c.c. e 112 c.p.c., error in procedendo ed extra petita».

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Il P. aveva dedotto che non poteva essere chiamato a rispondere dell'intera sanzione posta a carico della società in conseguenza della sua negligenza professionale (sanzione pari al 30% dei tributi originariamente non versati), in quanto essa avrebbe potuto contenerne la misura nei limiti del 10% dei suddetti importi, pagando entro 30 giorni dal ricevimento dell'avviso bonario con la comunicazione dell'irregolarità.

La corte di appello ha qualificato tale difesa come eccezione di aggravamento del danno per fatto colposo del creditore, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., e la ha rigettata, ritenendo mancante la prova della effettiva ricezione dell'avviso bonario da parte della società.

Il ricorrente non censura specificamente tale qualificazione e non indica espressamente una eventuale qualificazione giuridica alternativa delle proprie difese, che avrebbe potuto portare ad un diverso esito della controversia.

Si limita a denunciare la mancata proposizione della relativa eccezione (che costituisce pacificamente eccezione in senso stretto), che sarebbe stata quindi indebitamente esaminata dai giudici di merito (anche se rigettata).

Ma, sotto questo profilo, egli non ha alcun interesse all'impugnazione della decisione, in quanto l'errore che assume commesso dai giudici del merito (e cioè prendere in considerazione una eccezione che a suo dire egli non aveva proposto) non gli ha causato alcun pregiudizio, anzi avrebbe potuto attribuirgli esclusivamente un vantaggio.

In ogni caso, è opportuno osservare che la qualificazione giuridica operata dalla corte di appello è del tutto corretta, in quanto il fatto dedotto dal P. a fondamento della contestazione della domanda della società è certamente inquadrabile nella fattispecie di cui all'art. 1227, comma 2, c.c.

2. Con il secondo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3: nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.. Nella specie: violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2. c.c., art. 2697 c.c.: artt. 112, 115 e 116 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione del d.las. n. 462/1997, del d.P.R. 600/73, artt. 36 bis e 36 ter e del d.P.R. 633/1972, art. 54bis: omessa ed erronea valutazione della prova documentale - per essersi raggiunta la conclusione di cui al precedente motivo non essendo stata esaminata la documentazione allegata a prova della ricezione dell'avviso bonario, che è stato seguito dalla cartella esattoriale n. 06820090090696189 dell'1.12.2009; omessa motivazione sul punto».

Anche questo motivo è inammissibile.

Il ricorrente deduce che, in realtà - diversamente da quanto ritenuto dalla corte di appello - sussisteva la prova della ricezione dell'avviso bonario di pagamento da parte della società (che le avrebbe consentito di accedere al pagamento ridotto della cessione), desumibile dai documenti acquisiti agli atti di causa, a suo avviso non adeguatamente valutati.

Si tratta di una censura non ammissibile in sede di legittimità, in quanto sostanzialmente diretta a contestare un accertamento di fatto operato dai giudici del merito - fondato sulla valutazione di tutti i fatti storici rilevanti e adeguatamente argomentato (con motivazione non apparente e non insanabilmente contraddittoria sul piano logico) - che mira ad ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove.

3. Con il terzo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3: nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1. n. 5, c.p.c.. Nella specie: violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2, c.c., art. 2697 c.c., nonché dei principi e norme in tema di onere della prova; artt. 112, 115 e 116 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 462/1997, del d.P.R. 600/73, artt. 36 bis e 36 ter e del d.P.R. 633/1972, art. 54bis e della L 212/2000, art. 6; erronea interpretazione delle prove offerte, erronea attribuzione dell'onere della prova esclusivamente in capo al dr. P. circa il ricevimento o meno dell'avviso bonario; omessa motivazione sul punto».

Il motivo è infondato.

Afferma il ricorrente che la corte di appello avrebbe violato le disposizioni in tema di onere della prova, ponendo a suo carico quello (che assume impossibile) di fornire la dimostrazione che la società danneggiata aveva effettivamente ricevuto l'avviso bonario che le avrebbe consentito di pagare la sanzione in misura ridotta, e che, comunque, non avrebbe fatto corretta applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c., dal momento che, se pure l'avviso in questione non le fosse stato notificato, in base alla disciplina tributaria essa avrebbe potuto impugnare la cartella di pagamento denunciando tale omissione.

La decisione, con riguardo alla distribuzione dell'onere della prova, risulta del tutto conforme all'orientamento consolidato di questa Corte (che il ricorso non contiene motivi idonei a rivedere), secondo il quale «in tema di concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall'art. 1227, comma 2, c.c., al giudice del merito è consentito svolgere l'indagine in ordine all'omesso uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore solo se sul punto vi sia stata espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento che la legge esige dal creditore costituisce autonomo dovere giuridico, espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede; il debitore deve inoltre fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento, usando l'ordinaria diligenza» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15750 del 27/7/2015, Rv. 636176 - 01; nel medesimo senso: Sez. 1, Sentenza n. 20324 del 15/10/2004, Rv. 577722 - 01; cfr. anche: Sez. 3, Sentenza n. 14853 del 27/6/2007, Rv. 597845 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 27123 del 19/12/2006, Rv. 594115 - 01; Sez. L, Sentenza n. 5024 del 08/4/2002, Rv. 553587 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7025 del 23/5/2001, Rv. 546917 - 01).

D'altra parte, sempre secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «in tema di risarcimento dei danni, l'accertamento dei presupposti per l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 1227, comma 2, c.c., che esclude il risarcimento con riguardo ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, integra un'indagine di fatto, riservata al giudice di merito, che rimane sottratta al sindacato di legittimità se assistita da congrua motivazione» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 12348 del 28/5/2007, Rv. 596972 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 15231 del 05/7/2007, Rv. 598302 - 01), mentre, con riguardo all'ulteriore questione della possibile impugnazione della cartella per mancata ricezione dell'avviso bonario, è principio consolidato quello secondo il quale «l'onere di diligenza imposto al creditore dall'art. 1227, comma 2, c.c., non si spinge fino al punto di obbligare quest'ultimo a compiere una attività gravosa o rischiosa, quale la introduzione di un processo» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14853 del 27/6/2007 (Rv. 597844 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 19139 del 29/9/2005, Rv. 587268 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 7618 del 14/8/1997, Rv. 506789 - 01).

Va infine osservato, per completezza espositiva, che non possono in alcun modo ritenersi fondate le osservazioni del ricorrente, secondo il quale l'onere di provare l'omessa notificazione dell'avviso bonario avrebbe dovuto essere posto a carico della società danneggiata, essendo per lui impossibile adempiervi. Ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di dimostrare i fatti estintivi, modificati, impeditivi spetta a chi li deduca a fondamento della propria eccezione, e certamente non sarebbe possibile addossare al danneggiato l'onere della prova di un fatto negativo (quale l'omessa ricezione della notifica di un atto, prova questa sì impossibile da fornire in concreto) il quale, in positivo, costituisce invece elemento della fattispecie posta dal danneggiale a fondamento della propria eccezione.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall'art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

- rigetta il ricorso;

- condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi € 6.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.