Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 ottobre 2017, n. 23382

Accertamento fiscale - D.P.R. n. 600 del 1973 - Maggiori imposte ai fini IVA, IRAP imputate per trasparenza ai soci ai fini IRPEF

 

Premesso

 

- che la s.a.s P. di I.P. & C. ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza n. 56 del 4 giugno 2012 con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla predetta società contribuente, rideterminava in diminuzione l'importo dell'imponibile accertato ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, posto a base dell'avviso di accertamento emesso dall'amministrazione finanziaria per maggiori imposte ai fini IVA, IRAP, imputate per trasparenza ai soci ai fini IRPEF, dovute con riferimento all'anno 2005 sulla scorta delle risultanze della verifica fiscale effettuata dalla G.d.F. nei confronti della predetta società contribuente che non aveva comunicato all'anagrafe tributaria l'apertura di una nuova unità locale per l'esercizio dell'attività di «servizi di saloni di barbiere e di parrucchiere»;

- che i giudici di appello sostenevano che il ricorso era stato proposto sia dalla società che dalla socia accomandante in proprio e che era irrilevante la partecipazione dell'altro socio, in quanto lo stesso aveva definito la propria posizione fiscale mediante adesione alla definizione agevolata di cui all'art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, e nel merito, sul rilievo che l'avviso di accertamento aveva trovato origine dalla ricostruzione del volume d'affari sulla base della quantità delle ore produttive rese dal personale dipendente, del tempo necessario per effettuare le diverse prestazioni e del compenso orario, riteneva che «l'inserimento nel conteggio operato dai verificatori dei tempi morti dedicati all'insegnamento degli apprendisti, comporta la riduzione di euro 16.972,11 delle maggiori materie imponibili accertate»;

- che al ricorso della società contribuente non replica con atto scritto l'Agenzia delle entrate, la quale si limita a depositare «atto di costituzione» contenente mera istanza di partecipazione all'udienza pubblica di discussione;

- che P.I., socia accomandataria della predetta s.a.s P. di I.P. & C., ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, cui replica l'Agenzia delle entrate con controricorso, avverso la sentenza n. 111 del 20 luglio 2012 con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia dichiarava la nullità del giudizio di primo grado per difetto di integrità del contraddittorio e, conseguentemente, rinviava la causa alla Commissione tributaria provinciale di Milano per la celebrazione di un nuovo giudizio nei contraddittorio della s.a.s. P. di I.P. & C. s.a.s. e del socio accomandante G.M., vertendosi in materia di accertamento di un maggior reddito d'impresa imputato per trasparenza ai soci ai fini IRPEF con riferimento all'anno d'imposta 2005;

- che la ricorrente in data 12/06/2014 ha depositato memoria di nomina di nuovo difensore ex art. 83, terzo comma, cod. proc. civ., con allegata procura speciale all'uopo conferita;

 

Considerato

 

- che i due ricorsi, proposti in controversie aventi ad oggetto avviso di accertamento ai fini IVA, IRAP e sanzioni, per l'anno d'imposta 2005, emesso nei confronti della società, nonché avviso di accertamento emesso nei confronti della socia P.I. per i redditi di partecipazione nella società contribuente, vanno necessariamente trattati congiuntamente, così disponendosi la riunione del ricorso n. 6963/13 R.G. a quello di precedente iscrizione, n. 2957/13 R.G.;

- che con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 14 d.lgs. n. 546 del 1992 nonché 295 cod. proc. civ., per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci della s.a.s., litisconsorti necessari, stante l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica della dichiarazione dei redditi della società di persone e dei soci della medesima, cui quei redditi sono imputati per trasparenza;

- che con il secondo motivo la ricorrente lamenta che la CTR, in violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, «ha omesso di indicare gli elementi di fatto disponibili ed ha omesso di esplicitare la sussistenza di tali eventuali caratteri e la conclusione, circa la sussistenza, o insussistenza, della possibilità logica di fondare la tesi del fisco sugli elementi sopra esposti»;

- che con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata perché i giudici di appello, senza procedere «a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva», non avevano considerato né la regolarità della tenuta delle scritture contabili da parte della società, che si avvaleva della contabilità ordinaria, avente un'efficacia probatoria superiore di quella semplificata, né degli elementi presi in esame nel ricorso di primo grado, né delle circostanze addotte in ordine alla «incidenza della materia prima e fattore personale, della percentuale dei tempi morti di lavorazione (arbitrariamente applicata dall'Ufficio), alla produttività per addetto»;

-  che la socia I. con il primo motivo di ricorso deduce sostanzialmente la medesima questione posta dalla società con il primo motivo (come sopra sunteggiato), ovvero la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, 14 d.lgs. n. 546 del 1992 e 295 cod. proc. civ., precisando che la violazione del contraddittorio tra soci e società - litisconsorti necessari, stante l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica della dichiarazione dei redditi della società di persone e dei soci della medesima - si era consumata solo in grado di appello, ove i ricorsi erano stati decisi in separati giudizi e da differenti sezioni della commissione tributaria regionale lombarda, e trattati in udienze diverse, mentre in primo grado i separati ricorsi promossi dalla società e dai soci nei confronti dei diversi avvisi di accertamento erano stati trattati tutti alla medesima udienza (del 9/02/2011) e decisi dalla medesima Commissione provinciale (Sezione 41^ della CTP di Milano);

- che con gli altri due motivi la ricorrente deduce le medesime censure proposte dalla società contribuente avverso la sentenza n. 56 del 4 giugno 2012;

- che il primo motivo di entrambi i ricorsi è fondato e va accolto;

- che al riguardo pare opportuno preliminarmente ricordare che è principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a partire dall'arresto di Cass., Sez. U., n. 14815 del 2008 e successivamente ribadito dalle sezioni semplici (cfr. Cass. n. 27337 del 2014; n. 11459 del 2009; n. 13073, n. 17925 e n. 23096 del 2012; n. 1047 del 2013; n. 25300 e 27337 del 2014; n. 2094 del 2015; n. 11727 e n. 13737 del 2016), quello secondo cui «in materia tributaria, l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci - salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi dei successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio»;

- che, seppur sia vero che l'accertamento a carico della società riguarda, oltre all'IRAP, anche l’IVA, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità è nel senso che l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso di impugnazione, la necessità del simultaneus processus nei confronti dei soci e, quindi, un litisconsorzio necessario, mancando un meccanismo analogo a quello previsto dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, di unicità di accertamento ed automatica imputazione dei redditi della società ai soci in proporzione alla partecipazione agli utili, con connessa comunanza di base imponibile tra i tributi a carico della società e dei soci, ma qualora l'Agenzia abbia contestualmente proceduto con un unico atto impositivo ad accertamenti per IVA e, come nel caso qui vagliato, anche per IRPEF ed IRAP a carico di una società di persone, fondati su elementi (anche in parte) comuni, il profilo dell'accertamento impugnato concernente l'imponibile IVA, ove non suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario del simuitaneus processus, attesa l’inscindibilità delle due situazioni (in termini, Cass. n. 12236 del 2010; conf. n. 11240 del 2011; n. 21340 del 2015; n. 16731 del 2016);

- che, con specifico riferimento al caso di specie, l'esigenza sostanziale del simuitaneus processus può ritenersi soddisfatta soltanto in primo grado (il che costituisce ragione di accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dalla socia I.), nella prospettiva affermata da questa Corte nella sentenza n. 3830 del 2010, secondo cui «nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione dei principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell'esistenza e del contenuto dell'atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a "causa petendi" dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici dei merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell'unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111, secondo comma, Cost. e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l'osservanza di formalità superflue, perché non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio»;

- che, infatti, in primo grado i separati giudizi promossi dalla società e dai soci vennero trattati tutti alla medesima udienza (del 9/02/2011) e decisi dalla medesima Commissione provinciale (Sezione 41), che, secondo il citato principio giurisprudenziale, sono circostanze che integrano presunzione di realizzazione di una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale (Cass. n. 12375 del 2016);

- che ad analoga conclusione non può, invece, pervenirsi con riferimento al secondo grado di giudizio (il che costituisce ragione di accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dalla società), non ricorrendo alcuna delle condizioni sopra indicate, posto che in appello - che, a differenza di quanto si legge nella sentenza n. 56/45/12 oggetto di impugnazione con il primo ricorso (n. 2957/13 R.G.), risulta essere stato promosso dalla I. solo quale legale rappresentate della s.a.s. P. di I.P. & C. e non anche in proprio - le controversie sono state trattate da Commissioni diverse (Sez. 45 per la società e Sez. 42 per la socia I.) e in diversa udienza (rispettivamente 14/05/2012 e 11/07/2012), mentre la posizione del socio M. è stata definita con decreto del 20/08/2012 di estinzione del giudizio conseguente ad adesione del medesimo alla definizione agevola della lite ex art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011;

- che dalle suesposte argomentazioni consegue l'accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal ricorrenti, con assorbimento degli ulteriori motivi, in quanto l’Intero rapporto processuale si è sviluppato in grado di appello in violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 14; quindi, le sentenze impugnate vanno cassate in quanto affette da nullità e la causa va rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, per la celebrazione del giudizio di secondo grado nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, provvedendo il giudice del rinvio a disporre l'integrazione del contraddittorio, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 14, a tal fine intendendosi demandato al giudice del rinvio la verifica della definitività del condono cui ha acceduto il socio G.M. al fine di valutare la posizione del medesimo e la necessità della sua partecipazione al giudizio, nonché a provvedere alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo di entrambi i ricorsi, assorbiti gli altri, dichiara la nullità dei giudizi di appello per difetto di integrità del contraddittorio, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo giudizio a contraddittorio integro, anche nei confronti del socio G.M., ove ritenuto necessario, e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.