Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 gennaio 2017, n. 476

Rapporto di lavoro - Sanzione disciplinare - Licenziamento per giusta causa - Marcatura del badge ad opera di altri dipendenti - Interpretazione del codice disciplinare

 

Svolgimento del processo

 

La Corte di Appello di Milano, con sentenza depositata il 1/2/2013, respingeva il gravame proposto da A. S.p.A. (Azienda Milanese Servizi Ambientali) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, a sua volta, aveva respinto il ricorso proposto dalla stessa società diretto ad ottenere la dichiarazione di legittimità della sanzione disciplinare inflitta a F.G., con lettera del 28/11/2008, con la quale l’A. S.p.A. aveva intimato al lavoratore il licenziamento per giusta causa.

Per la cassazione della sentenza l’A. propone ricorso articolato in tre motivi ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.

Il F. resiste con controricorso ed ha altresì depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, e l’erronea interpretazione del disposto di cui al paragrafo 12.3 del codice disciplinare, lamentando l’errore compiuto dal Tribunale di Milano nell’interpretare il contenuto della previsione disciplinare posta a fondamento della pronunzia giudiziale.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, comma 1, 1363 e 1367 c.c. in relazione alla proposta interpretazione del codice disciplinare, non avendo la Corte di Appello tenuto conto che per l’ipotesi di marcatura del badge ad opera di altri, non vi è la necessità di una recidiva specifica ai fini della irrogazione della massima sanzione espulsiva, a differenza dell’ipotesi prevista dal comma che la precede, ove si utilizza esplicitamente tale espressione.

3. Con il terzo mezzo di gravame la società censura vizio di contraddittoria motivazione con riferimento ad un fatto decisivo della controversia per non avere la Corte di merito valutato gli ulteriori ed aggravanti elementi presenti nella fattispecie, tali da escludere la sussunzione della medesima nell’ipotesi disciplinata alla prima parte del secondo comma del punto 12.3 del codice disciplinare aziendale.

1.1 Il primo motivo è inammissibile, poiché tale motivo viene formulato dalla società sul presupposto che, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. sono ammissibili nuove argomentazioni volte a prospettare una diversa qualificazione giuridica del diritto della parte. Ma, nella fattispecie, si è verificata una radicale modifica del fatto costitutivo della pretesa legittimità del licenziamento, poiché, mentre nella fase di merito di primo grado il thema decidendum era incentrato sulla sussistenza o meno del fatto della recidiva specifica, in questa sede il fatto nuovo dedotto è incentrato sulla recidiva generica. Tale modifica comporta altresì la vanificazione delle previsioni di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c..

Al riguardo, è ineccepibile l’iter argomentativo della Corte milanese, laddove afferma che, una volta ricondotto il fatto contestato al F. ad un specifica disposizione del codice disciplinare, che legittima il ricorso ad una sanzione espulsiva solo in caso di recidiva specifica, il licenziamento irrogato dalla società deve ritenersi illegittimo, essendo irrilevanti ai fini della configurabilità di tale tipo di recidiva, da un lato, le "false timbrature" e, dall'altro, la recidiva contestata con la lettera del novembre 2008, poiché relativa ad addebiti di specie diversa e quindi generica.

2.2; 3.3 Parimenti da respingere sono il secondo ed il terzo motivo. Il secondo per gli stessi motivi del primo mezzo di gravame.

Quanto al vizio di motivazione si osserva che, anche prescindendo dalla genericità la stessa, così come formulata, è inammissibile.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata il I febbraio 2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza "così radicale da comportare" in linea con "quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione".

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr. tra le tante molte, Cass. n. 25229 del 2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue.

Quanto sin qui detto conduce al rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; condanna PA. S.p.A. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi oltre accessori.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.