Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 novembre 2017, n. 27170

Licenziamento per giusta causa - Grave insubordinazione ai superiori - Reintegrazione - Sentenza penale di condanna passata in giudicato - Inammissibilità del ricorso in Cassazione - Apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito - Fonte di prova con esclusione di altre - Unico limite di indicare le ragioni del proprio convincimento

Rilevato

 

che, con sentenza del 5 novembre 2015, la Corte di Appello di L’Aquila confermava la decisione del Tribunale di Avezzano di rigetto della domanda proposta da M.B. nei confronti del (...) s.p.a. (d’ora in avanti, C.) ed intesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 14 ottobre 2010 con conseguente condanna della società convenuta alla reintegrazione di esso ricorrente nel posto di lavoro ed al pagamento in suo favore delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra;

che ad avviso della Corte territoriale correttamente il primo giudice - attraverso una analitica ricostruzione dei fatti - aveva ritenuto provati gli addebiti mossi al lavoratore ("grave insubordinazione ai superiori", passibile di licenziamento ai sensi dell’art. 21, primo comma, CCNL per i dipendenti delle aziende del settore gas/acqua del 1° marzo 2002) alla cui gravità era proporzionata la sanzione irrogata; che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il B. affidato a due motivi cui il C. resiste con controricorso; che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;

 

Considerato

 

che:

- con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 27, secondo comma, Cost. in quanto per i fatti posti a fondamento del licenziamento non era ancora intervenuta una sentenza penale di condanna passata in giudicato (anzi, neppure era iniziato il giudizio penale) evidenziandosi, altresì, che la denuncia - querela era stata sporta da G.T. in proprio e non quale presidente del C. sicché i fatti addebitati erano riferibili ad un terzo e non al consorzio datore di lavoro e che il licenziamento era stato irrogato dopo un anno dalla presentazione della predetta denuncia - querela;

- con il secondo motivo viene denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione sia in primo che in secondo grado per non avere la Corte territoriale considerato: che il C. era del tutto estraneo al presunto reato ascritto al ricorrente in cui era coinvolto il T. in proprio e non quale legale rappresentate del consorzio; che la telefonata "minatoria-estorsiva" al T. era stata effettuata da un soggetto che aveva un accento pugliese-siculo (come riferito da coloro che avevano assistito alla telefonata) che non era proprio del B. e da un cellulare la cui scheda era intestata a tale B.R.;

che il primo motivo è inammissibile in quanto: a) non tiene conto della motivazione della impugnata in cui il giudice del gravame ha chiarito come l’operatività del principio di non colpevolezza va limitata all’ambito del processo penale mentre non esplica alcun rilievo decisivo nell’ambito del procedimento civile teso ad accertare la sussistenza della giusta causa di licenziamento", correttamente richiamando numerose pronunce di questa Corte in cui è stato affermato che "Il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, di cui all'art. 27, comma 2, Cost., concerne le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore suscettibile di integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, neppure nel caso in cui il c.c.n.l. preveda la più grave sanzione espulsiva solo in tale circostanza" (Cass. n. 18513 del 21/09/2016; Cass. n. 13955 del 19/06/2014; Cass. n. 7410 del 26/03/2010, ex multis); b) tende ad una rivisitazione del merito della controversia dal momento che l’impugnata sentenza ha evidenziato come le indagini eseguite dalla Polizia Giudiziaria avessero acclarato che le telefonate in cui erano state pronunciate le espressioni minatorie nei confronti del T. - all’epoca presidente del Consorzio - provenivano da un’utenza nella abituale disponibilità del B.; c) perché privo del requisito della autosufficienza non avendo indicato quando, nei precedenti gradi di giudizio, fosse stata sollevata la questione della tardività del licenziamento, precisazione indispensabile non essendovi alcun riferimento alla stessa nella impugnata sentenza;

che il secondo motivo è, del pari inammissibile, in quanto, pur con una intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b) d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134, in realtà, come il primo mezzo, tende ad ottenere una nuova valutazione del materiale di causa e nel chiedere un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità; invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003); peraltro, come già detto, nella impugnata sentenza vengono esposte le ragioni per le quali la Corte di appello (come, del resto il primo giudice) aveva ritenuto il B. autore delle telefonate minatorie nei confronti del T.;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio, seguono la soccombenza, e vengono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.