Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 dicembre 2017, n. 31038

Tributi - Imposte sui redditi - Esenzioni - Cooperative e loro consorzi - Somme destinate alle riserve indivisibili - Condizioni di mutualità - Statuto della cooperativa - Accertamento - Mancata acquisizione parere della Banca d’Italia - Illegittimità dell’atto di accertamento

 

Fatti di causa

 

1. Con avvisi di accertamento notificati in data 23/11/1988 l'Ufficio II.DD. di Avellino recuperava a tassazione, a fini Irpeg e Ilor, per gli anni 1984 e 1985 - oltre ad altri componenti di reddito non più in discussione in questa sede - le variazioni in diminuzione del reddito imponibile operate dalla Soc. Coop. a r.l. Cassa Rurale ed Artigiana ai sensi dell’art. 12, legge 16 dicembre 1977, n. 904, che tale beneficio prevede, a favore delle società cooperative e dei loro consorzi, per «le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell'ente che all'atto del suo scioglimento».

Riteneva, infatti, l'Ufficio che lo statuto della cooperativa non prevedesse le condizioni a tal fine richieste dall'art. 26 d.lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e in particolare quella, di cui al primo comma, lett. b), che richiede sia espressamente previsto il divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale.

Avverso tali avvisi la società cooperativa proponeva ricorsi che, nella parte in cui afferivano ai recuperi predetti, erano accolti dalla Commissione tributaria di primo grado di Avellino con sentenza confermata in grado d'appello dalla Commissione tributaria di secondo grado.

L'impugnazione successivamente proposta dall'Ufficio era però accolta, con la sentenza in epigrafe, dalla C.T.C., sezione di Napoli, che riteneva legittimo il recupero per il divisato contrasto tra la succitata previsione dell'art. 26 d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947 e l'art. 36 dello statuto della cooperativa.

2. Avverso tale decisione la società contribuente propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui resiste l'Agenzia delle entrate, depositando controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia violazione dell'art. 12 legge n. 904 del 1977, in combinato disposto con gli artt. 26 d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947 e 14 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, in relazione all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.C. omesso di rilevare - come invece fatto dal giudice di merito in grado d'appello - il vizio procedurale che inficiava di nullità l'atto di accertamento, rappresentato dalla mancata acquisizione del parere, obbligatorio anche se non vincolante, della Banca d'Italia, quale organo di vigilanza, richiesto dall'art. 14, comma 3, d.P.R. n. 601 del 1973.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia poi violazione dell'art. 26 d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947; dell'art. 29, comma 5, d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e dell'art. 20 r.d. 26 agosto 1937, n. 1706 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento delle Casse rurali e artigiane), ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., in relazione all'affermazione - posta a fondamento della decisione impugnata - secondo la quale «... non può riconoscersi il suesposto beneficio tributario ad una società cooperativa che prevede nello statuto, come nel caso di specie, l'utilizzazione degli utili dopo la distribuzione dei medesimi ai soci nella misura prevista nella lettera a) dell'art. 26 per finalità mutualistiche, anziché la loro patrimonializzazione per futuri scopi previsti nella lettera b) del citato art.».

La ricorrente contesta la fondatezza dell'assunto nel quale sembra risolversi tale affermazione, secondo cui l'art. 36 dello statuto (che consente di destinare a finalità mutualistiche una parte residuale dell'utile netto) sarebbe contrario a quanto prescritto dall’art. 26 lett. b) d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947.

Rileva che la previsione statutaria regola la distribuzione dei dividendi e non delle riserve; che pertanto l'unico riferimento pertinente è quello alla lett. a) della predetta disposizione, la cui previsione deve intendersi però nel caso di specie pienamente rispettata, ad essa conformandosi pienamente la norma statutaria, la quale anzi implica un'accentuazione delle finalità mutualistiche, riducendo ulteriormente gli spazi per eventuali attività lucrative.

Rimarca inoltre che la norma statutaria costituisce la pedissequa, testuale, riproduzione dell’art. 20, comma 1, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento delle Casse rurali e artigiane, nella versione applicabile ratione temporis, risultando pertanto radicalmente escluso l'asserito contrasto con l'art. 26 d.lgs. C.P.S. cit., alla luce della norma di cui all'art. 29, comma 5, d.l. n. 69 del 1989, la quale dispone che «gli enti cooperativi i cui statuti prevedono l’osservanza dei requisiti stabiliti dall'articolo 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e la destinabilità degli utili residui a fini di mutualità e beneficenza conformemente a specifiche disposizioni di legge, godono delle agevolazioni fiscali previste dalle leggi vigenti, secondo il disposto di cui al primo comma dell'articolo 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601. La presente disposizione deve intendersi interpretazione autentica del predetto articolo 14 e delle altre disposizioni tributarie che subordinano il godimento di agevolazioni alla sussistenza dei requisiti della mutualità di cui all'articolo 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni».

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce inoltre violazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. e, in genere, dei canoni legali di ermeneutica, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.C. attribuito all'art. 36 dello statuto della banca un contenuto che non trova fondamento nel testo della disposizione ed è smentito dalle altre previsioni statutarie (quali in particolare l'art. 11 che, in conformità a quanto prescritto dalla lett. b del citato art. 26, pone il divieto di distribuzione di riserve tra i soci durante la vita sociale e l'art. 37 che contiene la prescrizioni di cui alla lett. c della medesima disposizione).

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in subordine, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.C. offerto una giustificazione del tutto inidonea e apodittica dell'espresso convincimento, in contrasto con quanto affermato dai precedenti giudici.

5. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento degli altri.

Non v'è, invero, motivo di discostarsi dal principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative, la conformità degli statuti ai principi legislativi in materia di mutualità comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni o esenzioni tributarie, sicché il procedimento di verifica dei «presupposti di applicabilità» di cui all'art. 14 d.P.R. n. 601 del 1973, che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli casi in cui detta presunzione legale non operi, salva la facoltà dell’amministrazione di disconoscere le agevolazioni, per ogni singolo periodo d'imposta, sulla base di dati concreti, atti a dimostrare che la veste mutualistica funge da copertura ad una normale attività imprenditoriale. In tale ottica, il parere preventivo degli organi di vigilanza riguarda i soli requisiti soggettivi della società cooperativa, mentre l'ordinario potere di accertamento degli uffici finanziari ha ad oggetto la natura e le modalità di svolgimento dell'attività produttiva della cooperativa stessa (v. ex multis Cass. 10544/2006; Cass. 1797/2005; 13280/2005; in argomento, di recente anche Cass. 10/12/2015, n. 4300, e Cass. 24/2/2012, n. 2849/2012, secondo la cui massima, «in tema di agevolazioni tributarie per la cooperazione, il procedimento di verifica dei "presupposti di applicabilità" di cui al D.Lgs. 29 settembre 1973, n. 601, art. 14, comma 3, che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli requisiti soggettivi dell'ente, ma non riguarda le condizioni, stabilite dal precedente art. 10, relative alla natura e alle modalità di svolgimento della sua attività produttiva, di modo che, sotto questo profilo, nessun limite incontra l'ordinario potere di accertamento spettante all'amministrazione finanziaria, la cui attività, al riguardo, va ritenuta legittima, indipendentemente dall'esistenza o meno del suddetto parere»).

Nel caso di specie è pacifico in causa che a fondamento del mancato riconoscimento del diritto alle agevolazioni fiscali è posto soltanto un rilievo di carattere formale, riguardante per l'appunto il possesso delle condizioni soggettive per goderne, quali rilevabili dallo statuto della cooperativa, la cui verifica pertanto non avrebbe potuto prescindere dall'acquisizione del preventivo parere del competente organo di vigilanza, ossia della Banca d'Italia.

6. La sentenza va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., con l'accoglimento del ricorso introduttivo.

Avuto riguardo allo svolgimento del processo, si ravvisano i presupposti per l'integrale compensazione delle spese dei vari gradi del giudizio di merito.

Il regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, segue il criterio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza; decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo.

Compensa integralmente le spese del giudizio di merito.

Condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese processuali liquidate in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.