Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 gennaio 2018, n. 6006

Minaccia di licenziamento - Firma quietanza prospetti paga in bianco o con importi superiori a quelli effettivamente corrisposti

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Potenza, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Lagonegro del 7 aprile 2014 solo con riguardo al trattamento sanzionatorio, confermava la responsabilità dei ricorrenti per i reati di estorsione loro contestati, per avere minacciato di licenziamento alcuni dipendenti della ditta Autotrasporti La B. s.a.s., a loro riconducibile, al fine di costringerli a firmare per quietanza prospetti paga in bianco o con importi superiori a quelli effettivamente corrisposti.

2. Ricorrono per cassazione N. E. La B. e C. F., a mezzo del loro comune difensore e con unico atto, deducendo:

1) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità degli imputati, cui la Corte sarebbe giunta travisando le prove e senza tenere in considerazione alcuni decisivi elementi a discarico, costituiti dal contenuto di testimonianze addotte dalla difesa, quelle di due operai (A. F. e C. G.) che avevano lavorato nella medesima ditta delle persone offese, i quali avevano sostenuto di non aver mai subito dai ricorrenti condotte estorsive nei termini di cui all'imputazione.

Tali testi, peraltro, avrebbero messo in luce la causale che avrebbe animato le accuse delle persone offese, consistente in una riduzione del lavoro dovuta a contingenze esterne, nonché il tentativo delle medesime persone offese di coinvolgerli capziosamente in una cordata contro i titolari della ditta, a dimostrazione della animosità e della falsità delle loro dichiarazioni, circostanze ulteriormente confermate dal figlio dei ricorrenti ed anche dal contenuto di conversazioni registrate dalle vittime.

I ricorrenti si dolgono anche del fatto che il Tribunale avrebbe inopinatamente ridotto la lista testi della difesa.

2) vizio di motivazione per travisamento della prova.

Assumono i ricorrenti che la Corte di Appello avrebbe fondato il giudizio di attendibilità delle persone offese su un decisivo riscontro alle loro dichiarazioni, costituito da una sorta di "contabilità in nero" ritrovata nel possesso degli imputati in sede di perquisizione effettuata dall'Ispettorato del Lavoro, attività investigativa sulla quale aveva deposto al dibattimento la teste di polizia giudiziaria B. M..

La Corte, secondo i ricorrenti, avrebbe travisato la testimonianza della B. ed il contenuto della documentazione acquisita, dalla quale, al contrario, ad una attenta lettura, sarebbe emerso che i dati contabili non erano relativi alla questione di interesse (differenza tra mensilità effettivamente corrisposte ai dipendenti con quanto risultante dalle buste paga) e, comunque, che le mensilità effettivamente corrisposte dagli imputati ai quattro operai persone offese, fossero state esattamente coincidenti agli importi riportati nelle buste paga;

3) vizio della motivazione per travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni delle persone offese, ritenute attendibili dalla Corte nonostante le incongruenze e contraddizioni segnalate dalla difesa e del tutto pretermesse nel giudizio dei giudizi di merito; dichiarazioni non corroborate da alcunché, sia per quanto precedentemente detto a proposito della "contabilità in nero", sia per quanto emergente da altra documentazione agli atti (assegni ai dipendenti di importo corrispondente alle buste-paga, assenza di fogli firmati in bianco), sia per la mancanza di valenza accusatoria delle registrazioni di conversazioni effettuate dalle stesse persone offese;

4) vizio della motivazione per travisamento della prova in ordine alle accuse formulate dalle vittime, non avendo la Corte valorizzato le contraddizioni in cui erano incorse tra il momento della denuncia e l'esame dibattimentale a proposito delle minacce subite, prima affermate e poi negate, con consequenziale elisione di un elemento costitutivo del reato contestato;

5) vizio della motivazione per travisamento della prova a proposito del ruolo della ricorrente F. C., coniuge del La B. N., cui la Corte avrebbe erroneamente attribuito la qualità di socio accomandatario della società gestita dal marito, nonché una funzione decisionale mai esplicatasi, erroneamente identificando la medesima ricorrente nella voce femminile risultante dalle registrazioni effettuate dalle persone offese, senza alcun ulteriore accertamento e senza tenere conto che tale voce poteva essere attribuibile alla figlia La B. M. Filomena, originaria coimputata assolta dal Tribunale per i medesimi fatti.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso è manifestamente infondato.

l. Deve premettersi che i ricorrenti sono stati condannati con giudizio conforme in entrambi i gradi di merito.

La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2/\ n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. 3A, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).

Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna degli imputati, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dai ricorrenti.

E' affermazione costante, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine).

Fermo restando che ciò che può essere dedotto con il ricorso per cassazione può essere solo il vizio di travisamento della prova e non quello di travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).

2. Fatte queste necessarie premesse, occorre rilevare, in primo luogo, che il giudizio di responsabilità dei ricorrenti è stato raggiunto dai giudici di merito conferendo attendibilità al racconto delle persone offese.

Si era trattato di accuse che erano state formulate da quattro dipendenti degli imputati, riscontratesi a vicenda e non bisognevoli, pertanto, in linea di principio e secondo quanto correttamente affermato dalla Corte di Appello con il richiamo alla pacifica giurisprudenza di legittimità, di alcun riscontro esterno.

Dall'esame delle dichiarazioni delle persone offese - la cui trascrizione è stata allegata al ricorso per sostenere il supposto vizio di travisamento della prova - risulta, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti, che le vittime avevano ribadito al dibattimento le accuse che avevano formato oggetto delle iniziali denunce contro gli imputati, cosi come correttamente ritenuto dai giudici di merito.

Il riferimento è alla sussistenza della minaccia degli imputati consistente nel paventare il licenziamento per costringere i dipendenti ad accettare condizioni lavorative deteriori, come quella di uno stipendio inferiore a quanto risultante dalle buste paga.

Tanto emerge al fg. 57 della trascrizione dell'udienza del 2 marzo 2011, per quanto attiene alla persona offesa G. D.; ai fgg. 77 e 86, per quanto riguarda la persona offesa G. F.; ai fgg. 95, 99, 100 per quanto inerente alla persona offesa M. L. (la quarta vittima D'U. F. non era stata escussa al dibattimento).

Nessun travisamento della prova da parte dei giudici di merito si è, dunque, verificato in ordine a tale primo aspetto.

3. In secondo e decisivo luogo, sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno fondato il proprio convincimento in ordine alla attendibilità delle vittime e con superamento di ogni altra obiezione difensiva, tenuto conto dei riscontri provenienti dalla documentazione acquisita agli atti, sulla quale aveva deposto l'ispettore del lavoro B. M.; la quale documentazione dimostrava che i dipendenti persone offese avevano firmato lettere di dimissioni in bianco ed accettato stipendi inferiori agli importi risultanti dalle buste paga, come da "contabilità in nero".

Orbene, i riferimenti a presunte erronee interpretazioni del dato documentale da parte dei giudizi di merito non è censura che si rivela autosufficiente.

Infatti, questa Corte non dispone di tutta la documentazione agli atti, ma soltanto di un estratto di essa costituito da alcune annotazioni facenti parte dell'allegato 5 del ricorso, che non risultano esaustive alla luce di quanto risultante dal verbale di sequestro di documenti facente parte del medesimo allegato cinque del ricorso, con particolare riferimento ai punti 17 e 19, che ineriscono, tanto quanto il punto 18 cui si fa riferimento in ricorso, a conteggi con nominativi di dipendenti e importi indicati.

Ne consegue che l'affermazione difensiva secondo la quale dalla contabilità in nero sarebbe emerso un parallelismo tra quanto corrisposto ai dipendenti e quanto indicato nelle buste paga - a smentire le dichiarazioni delle vittime ed annullare la valenza dirompente del riscontro esterno alle loro dichiarazioni, secondo quanto sostenuto dai giudici di merito - non risulta sufficientemente ancorata a dati processuali verificabili da questa Corte, che non è stata messa in condizioni di rilevare il dedotto travisamento della prova sotto il descritto profilo. Dovendosi, peraltro, sottolineare che il ricorso sorvola del tutto sulla esistenza di lettere di dimissioni firmate in bianco o in modo parziale dalle persone offese, così come affermato dai giudici di merito.

Sotto questo aspetto, il ricorso si rivela pure generico.

3.1. Quanto al dedotto vizio di travisamento della testimonianza dell'ispettore del lavoro B. M. - che aveva partecipato al sequestro dei documenti analizzandone i contenuti, come emerge dalla trascrizione allegata al ricorso - la censura è infondata.

A fg. 17 della trascrizione, risulta chiaramente che il controllo sulla documentazione effettuato dal teste qualificato di polizia giudiziaria, aveva rivelato l'esistenza di buste paga di importo superiore a quanto percepito dai dipendenti sulla base della "contabilità in nero", nonché, a fg. 25, l'esistenza di lettere di dimissioni in bianco o incomplete.

I giudici di merito, pertanto, non sono incorsi in nessun travisamento della prova testimoniale.

Ne rimangono travolte ed assorbite da quanto detto, le ulteriori censure difensive, che si rivelano di puro merito e non idonee ad ingenerare, a fronte della tenuta dei dati di riferimento salienti della decisione impugnata, alcun macroscopico vizio motivazionale per travisamento della prova rilevabile in questa sede.

Secondo la sempre efficace decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).

Né, a fronte di tale costrutto motivazionale, può dirsi che la Corte di Appello abbia "liquidato" gli argomenti difensivi, limitandosi a ritenerli, nella piena esplicazione del suo giudizio di merito, non idonei a scalfire le sottolineate e decisive emergenze, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, non sussistendo un obbligo da parte del giudice di secondo grado di esame particolareggiato di tutti i motivi di appello che si rivelano incompatibili (e inconsistenti) rispetto alle scelte adottate (argomenta da Sez. 1, n. 1778 del 21/12/1992, Zuncheddu, Rv. 194808).

4. Dalla sentenza impugnata risulta evanescente la valenza probatoria attribuita alle registrazioni di conversazioni effettuate dalle persone offese, essendosi basato il giudizio di condanna sugli elementi prima indicati.

Devono ritenersi irrilevanti, pertanto, le censure volte a privare tale elemento processuale di un significato accusatorio che gli era stato attribuito dai giudici di merito in modo assolutamente secondario.

5. La riduzione della lista testi della difesa da parte del Tribunale non aveva formato oggetto di alcuna richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulata con i motivi di appello, unica strada per valutare se la decisione di escludere i testi da parte del primo giudice poteva ritenersi giuridicamente corretta sotto il profilo della logicità della motivazione.

6. Quanto, infine, alle censure in favore della sola ricorrente F. C., i riferimenti alle conversazioni intercettate ed alla identificazione corretta della sua voce non avevano formato oggetto dei motivi di appello e non possono essere valutate in questa sede attenendo ad aspetti di merito sottratti al giudice naturalmente competente ad esaminarli.

Nella sentenza impugnata, al di là del ruolo ricoperto dalla ricorrente in seno alla società gestita dal marito La B., si fa perno sulla sua diretta ingerenza nelle dinamiche di interesse processuale, così come concordemente affermato da tutte le persone offese ritenute attendibili dalla Corte con giudizio, come si è visto, esente da censure (cfr. fg. 5 della sentenza impugnata).

Ciò rende irrilevante l'errore in cui era caduta la Corte nel ritenere che la donna fosse socio accomandatario della società, circostanza che non risulta dalla visura allegata al ricorso.

Ogni altro argomento difensivo risulta assorbito da quanto detto fin qui.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 ciascuno alla Cassa delle Ammende.