Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 ottobre 2017, n. 23581

Fallimento - Crediti chirografari e privilegiati - Contratto di appalto

 

Fatti di causa

 

1. - Con decreto del 15 maggio 2012 il Tribunale di Roma ha respinto l'opposizione allo stato passivo proposta da A.C. S.p.A. nei confronti del Fallimento E.D.A. S.p.A. in conseguenza del diniego di ammissione al passivo fallimentare del credito del complessivo importo di € 187.200,00, in chirografo per la sorte ed in privilegio per l'iva, quale corrispettivo maturato in conseguenza dell'esecuzione, in veste di appaltatrice, di un contratto di appalto di servizi stipulato con l'appaltante E.D.A. E. S.p.A., società affittuaria dell'azienda della società poi fallita, alla quale ultima l'azienda medesima era stata infine retrocessa all'esito del fallimento ed a seguito di recesso del Curatore dal contratto.

A fondamento della decisione il Tribunale ha osservato che il debito era stato contratto dall'affittuaria e non dalla concedente, ed aveva ad oggetto prestazioni interamente rese a favore della prima, non potendo in proposito configurarsi alcuna responsabilità di E.D.A. S.p.A. ai sensi del secondo comma dell'articolo 2560 c.c., non essendo l'ipotesi in questione riconducibile ad alcuna delle vicende traslative in relazione alle quali la norma è posta, secondo quanto affermato da questa Corte con sentenza numero 3027 del 1981.

2. - Per la cassazione della sentenza A.C. S.p.A. ha proposto ricorso affidato ad un solo motivo.

Il Fallimento E.D.A. S.p.A. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. - Il ricorso contiene un solo motivo con cui la società ricorrente ha denunciato: «Violazione dell'articolo 2560, comma secondo, c.c., anche alla luce dell'articolo 104 bis, ultimo comma, legge fallimentare (articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c.)», censurando la sentenza impugnata per aver escluso l'applicabilità del secondo comma dell'articolo 2560 c.c. all'ipotesi di retrocessione al concedente dell'azienda in precedenza affittata, ove si verta in ipotesi di debiti in sé soli considerati, ossia non ricollegati a posizioni contrattuali non ancora definite.

2. - Il motivo è fondato.

L'articolo 2558 c.c. stabilisce che «se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale». Il che vuol dire che i contratti strumentali all'esercizio dell'azienda transitano automaticamente in capo al cessionario, in deroga all'articolo 1406 c.c., secondo cui un contraente può sostituire a sé un terzo nei rapporti negoziali purché l'altra parte vi consenta. Secondo l'articolo 2560 c.c., poi, «l'alienante non è liberato dai debiti, inerenti l'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito», con la precisazione dettata dal secondo comma secondo cui «nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori».

Dal combinato disposto delle due norme emerge che la successione nei contratti di cui all'articolo 2558 c.c. trova applicazione in caso di negozi a prestazioni corrispettive non integralmente eseguiti da entrambe le parti al momento del trasferimento dell'azienda, mentre, ove il terzo contraente abbia già eseguito la propria prestazione, residua un mero debito la cui sorte è regolata dall'articolo 2560. È dunque principio condiviso (in questo senso espressamente Cass. 16 giugno 2004, n. 11318), quello in forza del quale il congegno stabilito dall'articolo 2560, secondo comma, c.c., con riferimento ai debiti relativi all'azienda ceduta, è destinato ad essere applicato quando si tratti di debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma dell'articolo 2558 (Cass. 20 luglio 1991, n. 8121; Cass. 8 maggio 1981, n. 3027), posizioni, queste, che seguono la sorte del contratto.

La previsione dettata dal primo comma dell'articolo 2560 c.c., concernente la permanente responsabilità dell'alienante ordine ai debiti inerenti l'esercizio dell'azienda maturati anteriormente al trasferimento, è completata nel secondo comma, che cumula alla responsabilità del cedente anche quella del cessionario, sempre che il debito risulti dai libri contabili obbligatori. Si realizza in tal modo una responsabilità del cessionario sotto forma di accollo cumulativo ex lege, con conseguente solidarietà tra cedente e cessionario dell'azienda commerciale, solidarietà peraltro sui generis, dal momento che, nei rapporti tra loro, il debito rimane a carico del cedente, senza che questi possa ripetere dal secondo, neppure in parte, quanto versato al terzo creditore (Cass. 3 marzo 1994, n. 2108; Cass. 25 febbraio 1987, n. 1990; Cass. 4 ottobre 2010, n. 20577).

Ne discende, sul piano della ratio della norma, che la solidarietà del cessionario dell'azienda per i debiti concernenti l'esercizio dell'azienda ceduta è posta a tutela dei creditori di questa, e non dell'alienante: per questo essa non determina alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale, secondo l'indirizzo giurisprudenziale di cui si è appena dato conto. Perseguendo una finalità di tutela dei creditori aziendali, la norma è perciò dalla dottrina giudicata inderogabile in conformità ad un accordo fra alienante e acquirente, mentre si riconosce ammissibile l'esclusione della sua operatività in forza di un accordo fra acquirente e terzi creditori.

Tale essendo il quadro complessivo della disciplina da applicarsi, questa Corte ha già avuto modo di osservare che la norma dettata dall'articolo 2558 c.c., in tema di subentro dell'affittuario dell'azienda nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale, trova applicazione anche con riguardo agli aspetti collegati alla restituzione dell'azienda dall'affittuario al concedente a seguito di cessazione dell'affitto (Cass. 16 giugno 2004, n. 11318).

Con quest'ultima decisione, sulla scia di Cass. 7 novembre 2003, n. 16724, questa Corte ha stabilito, per i fini dell'applicazione dell'articolo 2558 c.c., che la cessazione dell'affitto e la conseguente retrocessione dell'azienda devono ricollegarsi direttamente alla volontà contrattuale delle parti o ad un fatto da queste espressamente previsto nel contratto precedentemente stipulato; ma ha precisato che, mentre il congegno di successione nei rapporti contrattuali, quale disciplinato dall'articolo 2558 c.c., presuppone che il trasferimento dell'azienda sia il prodotto della volontà contrattuale, la successione nei rapporti di credito (articolo 2559 c.c.) e di debito (articolo 2560 c.c.) nonché nei rapporti di lavoro subordinato (articolo 2112 c.c.) relativi alla stessa azienda, costituisce «conseguenza necessaria ed ineliminabile del trasferimento di questa», intendendo come si è detto la nozione di trasferimento come riferita alla restituzione dell'azienda dall'affittuario al concedente a seguito di cessazione dell'affitto.

Tale lettura dell'articolo 2560 c.c. trova indiretta conferma nell'ultimo comma dell'articolo 104 bis della legge fallimentare, il quale stabilisce oggi che la retrocessione al fallimento di aziende o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 e 2560 c.c.: il che vai quanto dire, per l'appunto, che, pur nell'ipotesi di affitto di azienda attuato nell'ambito della procedura concorsuale, in mancanza di detta norma di contenuto derogatorio, si applicherebbe l'articolo 2560 c.c. il quale determinerebbe, all'esito della retrocessione dell'azienda affittata, la responsabilità della procedura per i debiti sorti a carico dell'affittuario.

Va da sé che il Tribunale, nel denegare l'ammissione del credito insinuato da A.C. S.p.A. è incorso in violazione dei principi appena esposti, sicché il decreto impugnato va cassato e rinviato anche per le spese al Tribunale di Roma in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese al Tribunale di Roma in diversa composizione.