Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 ottobre 2017, n. 24515

Fallimento - Società di fatto - Coniugi - Reclamo - Dichiarazione di fallimento - Tardiva notificazione

 

Ragioni della decisione

 

Con sentenza del 19 febbraio 2014 la Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto da C. E. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che estendeva allo stesso il fallimento della moglie D. G. M., sul presupposto dell’esistenza di una società di fatto tra i coniugi.

La Corte territoriale riteneva pienamente condivisibile la valutazione del giudice di prime cure circa la sussistenza di una rilevante, diretta e personale compartecipazione del C. alla conduzione dell’attività imprenditoriale formalmente intestata alla moglie e avente ad oggetto la confezione di articoli di abbigliamento, non potendo tale compartecipazione considerarsi riconducibile a mera solidarietà familiare. Invero, dall’istruttoria (documentale e orale) svolta in primo grado emergeva che il C.: intratteneva rapporti diretti sia con i fornitori, effettuando ordinativi di merci e ritirando la merce ordinata, sia con la clientela; dirigeva il personale dipendente, cui pagava le retribuzioni; operava in maniera frequente sul libretto di deposito intestato alla moglie e relativo alla ditta fallita. Non convincente, invece, l’assunto del reclamante secondo cui il suo ruolo assunto nell’azienda della coniuge doveva ricondursi non già a una compartecipazione di fatto, bensì all’attività di ispettore tecnico di produzione e consulente svolta per oltre un decennio per il gruppo Camomilla S.r.l., attività che lo portava a seguire le fasi produttive relative alla realizzazione dei prodotti presso tutte le aziende terziste, fra le quali, appunto, vi era l’impresa della moglie.

Avverso suddetta pronuncia ricorre per cassazione C. E., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la Curatela del fallimento di C. E., che eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per tardività, in quanto la sentenza d’appello era stata notificata d’ufficio al reclamante dalla Cancelleria, tramite posta elettronica certificata, il giorno 26/03/2014 e la notifica del ricorso avveniva il giorno 26/05/2014, ovvero oltre il termine di trenta giorni ex art. 18 l.f.

Nel primo motivo deduce il ricorrente che la Corte d’appello:

a) non si è attenuta al principio di diritto, espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte, in base a cui in caso di società di fatto che si assuma intercorrente tra consanguinei o coniugi la prova della esteriorizzazione del vincolo debba essere particolarmente rigorosa e fondata su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere ricondotto a mera affectio familiaris;

b) ha ingiustamente disatteso, al pari del Tribunale, le richieste istruttorie formulate, basando il proprio convincimento unicamente sulle insufficienti risultanze acquisite nel corso del fallimento della ditta della moglie e sulla inammissibile documentazione depositata dalla Curatela avente ad oggetto dichiarazioni "spontanee" rese da quattro dipendenti, la cui attendibilità non è stata dimostrata e su cui non vi è stato contraddittorio tra le parti;

c) non ha considerato che i compiti svolti presso la ditta della moglie fossero semplicemente espressione delle attività da lui stesso normalmente espletata nell’esercizio della propria qualifica di "ispettore di produzione";

d) ha omesso di considerare che le operazioni bancarie concernenti il libretto di deposito relativo alla ditta fallita venivano da lui svolte saltuariamente e solo su delega specifica della moglie.

Nel secondo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo l’art. 360, 1° c., nr. 5, c.p.c., in quanto la Corte d’appello, in assenza di una prova certa e rigorosa dell’affectio societatis, non ha esaminato l’incidenza dell’attività lavorativa espletata dal ricorrente in termini di aiuti prestati alla coniuge fallita, nel cui ambito devono farsi rientrare gli ordinativi di merci ai fornitori.

Il ricorso è inammissibile in quanto tardivamente notificato alla curatela, oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 18, commi 13 e 14, l.f. E’ stato accertato che la sentenza è stata notificata dalla cancelleria, a mezzo p.e.c., il 26 marzo 2014, mentre il ricorso per cassazione veniva notificato solo il 26 maggio 2014. Sull’idoneità della notificazione della sentenza, effettuata dalla cancelleria tramite p.e.c., a far decorrere il termine breve di impugnazione, deve darsi continuità all’orientamento espresso da Cass. n. 10525 del 20/05/2016, così massimata: "La notifica del testo integrale della sentenza reiettiva del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata ai sensi dell'art. 18, comma 13, l.f all, dal cancelliere mediante posta elettronica certificata (PEC), ex art. 16, comma 4, del d.l n. 179 del 2012, conv., con modif dalla l. n. 221 del 2012, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnatone in cassazione ex art. 18, comma 14, l.f all., non ostandovi il nuovo testo dell'art. 133, comma 2, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla l. n. 114 del 2014, secondo il quale la comunicatone del testo integrale della sentenza da parte del cancelliere non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 c.p.c.".

Alla dichiarazione d’inammissibilità segue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in euro 3000 per compensi, 100 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.