Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3752

Imprese di pulizia - Inquadramento - Mansioni - Differenze retributive

Rilevato che

 

La Corte d'Appello di Potenza, con sentenza depositata in data 16/2/2012 in riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva in parte la domanda proposta da N. T. nei confronti della s.p.a. E., dichiarando li diritto della ricorrente all'inquadramento nel VI livello c.c.n.I. Imprese di Pulizia e Servizi integrati/Multiservizi, del 25/4/2004 e condannando la società al pagamento delle consequenziali differenze retributive.

Argomentava la Corte di merito a fondamento del decisum, che il quadro probatorio di natura documentale e testimoniale definito in prime cure deponeva nel senso dello svolgimento da parte della ricorrente di mansioni riconducibili ai lavoratori che svolgevano un ruolo attivo non solo di natura operativa ma anche organizzativa. Detto accertamento consentiva il riconoscimento del livello immediatamente inferiore a quello di "quadro" rivendicato, oltre a quello alle differenze retributive, al quale non ostava né la prescrizione estintiva, non riproposta in grado di appello, né la prospettazione di una conciliazione intercorsa fra le parti, in quanto oggetto di eccezione tardivamente formulata dalla resistente.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. E. affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 437 c.p.c.e 2113 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma primo nn.3 e 5.

Viene rimarcato che la circostanza inerente alla intervenuta conciliazione inter partes del 29/10/2001 - avente ad oggetto competenze economiche connesse al periodo di lavoro pregresso - era stata tempestivamente allegata in primo grado in sede di memoria difensiva. Si deduce altresì che ¡a detta conciliazione era stata stipulata in sede giudiziale ai sensi dell'art. 411 c.p.c. valendo per la stessa il principio della indisponibilità, con il duplice effetto della validità del suo contenuto e della preclusione di ogni impugnazione in sede giudiziale.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., dell'art.10 c.c.n.l. Imprese di pulizia del 25/5/2001, nonché degli art.115-116 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma primo nn. 3 e 5.

Ci si duole - in sintesi - del malgoverno, da parte della Corte di merito, del materiale istruttorio, la cui retta esegesi avrebbe dovuto condurre alla reiezione della domanda attorea.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, vanno disattesi.

Non può sottacersi che il ricorso si palesa carente sotto plurimi e concorrenti profili.

Anche al di là di ogni considerazione in ordine alla formulazione promiscua dei motivi, per violazione di legge e vizio di motivazione - con la quale si prospetta una medesima questione sotto aspetti incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione - va rimarcato il difetto di specificità che connota, in particolare, la prima censura.

4. La ricorrente, invero, non si dà carico di riprodurre il tenore del verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale fra le parti in data 29/10/2001, che si deduce abbia ad oggetto competenze retributive inerenti al pregresso come all'attuale rapporto di lavoro.

Né si premura di riportare il tenore della memoria difensiva di primo grado e della documentazione ivi allegata sub.3 (vedi pag. 3 del presente ricorso), onde sostenere l'assunto - smentito dalla Corte territoriale - di una tempestiva allegazione sin dalla fase introduttiva del giudizio, della circostanza relativa alla intervenuta conciliazione fra le parti; tanto in violazione ai principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr, Cass. 30/7/2010 n. 17195, Cass. 3/1/2014 n.48).

Siffatti principi rimandano alla più generale considerazione che il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena d'inammissibilità del ricorso per cassazione, è funzionale alla completa e regolare instaurazione dei contraddittorio ed è soddisfatto laddove il contenuto dell'atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell'oggetto dell'impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti, sicché impone alla parte ricorrente, sempre che la sentenza gravata non impugna proprio per questa ragione in un'apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali manchevolezze della stessa decisione nell'individuare il fatto sostanziale e soprattutto processuale (vedi Cass.2/8/2016 n. 16103).

5. Sotto altro versante, non può tralasciarsi di considerare che anche la seconda critica palesa innegabili carenze.

Non può sottacersi che la doglianza, anche nella parte indirizzata alla contestazione di un retta interpretazione delle dichiarazioni testimoniali acquisite da parte della Corte distrettuale, palesa aspetti di inammissibilità giacché mira a pervenite, per il tramite della contestazione delle risultanze probatorie, ad una rivisitazione del merito della decisione non consentita nella presente sede di legittimità, ¡imitandosi la ricorrente ad esporre un'interpretazione del quadro istruttorio a sé favorevole al solo fine di indurre il convincimento che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato la reiezione della domanda attorea.

In base ai principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione., involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragion; del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi ex aliis, Cass.2/8/2016 n. 16056)

6. Nello specifico l'iter motivazionale percorso dai giudici del gravame appare congruo e completo essendo stato rimarcato che la riconducibilità delle mansioni svolte dalla lavoratrice al VI livello c.c.n.I. di settore, ben era desumibile dalla stessa documentazione prodotta dalla società quale - fra l'altro - il verbale di accordo sottoscritto dal Direttore Generale della società e dai Responsabile sviluppo e innovazione, nonché dai Coordinatori ed i Capi servizio dell'Ospedale San Cario di Potenza, in cui la dipendente era inquadrata quale "Coordinatrice Ospedale San Carlo Potenza"; il verbale d'intesa 24/5/1995, sottoscritto dalla lavoratrice in uno al Direttore tecnico, con l'Ospedale San Carlo; l'ordine d servizio 26/6/2000 in cui viene indicata dalla società quale coordinatore; l'organigramma aziendale in cui è inquadrata come coordinatrice per il Sud.

La prova per testi aveva poi confermato che la ricorrente non si limitava a svolgere compiti di vigilanza sulle squadre di operai, ma era la referente aziendale per i clienti dell'Ospedale San Carlo e del Comune di Potenza, coordinava il lavoro dei dipendenti e presiedeva le riunioni sindacali. In definitiva era emerso che la sua azione non si limitava ad un'attività di coordinamento interno quale caposquadra nel settore pulizie, ma si estendeva allo svolgimento di compiti complessi di organizzazione del lavoro nei limiti delle direttive ricevute, e di sviluppo dei rapporti con il cliente. Nell'ottica descritta, corretto era da ritenersi l'inquadramento nel livello sesto di impiegata di concetto super cui appartengono i lavoratori che svolgono funzioni di concetto inerenti attività complesse, che comportano elevata e consolidata preparazione, adeguata capacità professionale e gestionale nonché adegata esperienza e vengono svolte con facoltà di decisione ed autonomia di iniziativa nei limiti delle direttive generali impartite.

7. La pronuncia impugnata, per quanto sinora detto, resiste, quindi, alle censure all'esame. Il ricorso va pertanto respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.