Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 febbraio 2018, n. 3755

Rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato - Mansioni di responsabile amministrativa di primo livello - Retribuzioni non corrisposte e differenze retributive per le mansioni superiori espletate

Svolgimento del processo

 

A.S. aveva proposto ricorso nei confronti della Cooperativa Sociale C.P.S a r.l. diretto ad ottenere la dichiarazione della sussistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 1/10/2001 al 12/1/2004 -assumendo che il rapporto era stato regolarizzato solo a partire dal 7/1/2002, nonché il riconoscimento delle mansioni di responsabile amministrativa di primo livello sin dal 1/10/2001 e, per l'effetto, la condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni non corrisposte e delle differenze retributive per le mansioni superiori espletate.

Il Tribunale di Caltagirone, con sentenza non definitiva depositata in data 7/2/2008, accoglieva le domande, rimettendo la causa sul ruolo per la determinazione degli importi dovuti a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio.

Con sentenza definitiva resa in data 15/12/2009, il Tribunale condannava la datrice di lavoro al pagamento della somma di Euro 20.455,49, per i titoli sopra specificati.

La Corte territoriale di Catania, con sentenza depositata l'11/6/2014, respingeva l'appello della società.

Per la cassazione della sentenza la Cooperativa Sociale C.P.S. a r.l. propone ricorso articolato in due motivi.

La A. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e lamenta che la Corte di merito sarebbe incorsa in un errore logico-argomentativo nella esposizione della sentenza oggetto del giudizio di legittimità, poiché non ha posto la società appellante nella condizione di articolare le proprie difese, avendo negato alla stessa la possibilità di depositare la propria consulenza e di fare i rilievi del caso all'elaborato peritale di ufficio.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione, in riferimento all'art. 360, primo comma. n. 3, c.p.c., degli artt. 194 e 201, secondo comma, c.p.c., a causa della cagionata mancata "fattiva partecipazione al giudizio dell'ausiliario" della società.

1.1. Il primo motivo è inammissibile.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile-, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione); per l'altro verso, è stato introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico. principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali. che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, in data 11/6/2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall'art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare, criticando solo genericamente il mancato esame della c.t.p. da parte dei giudici di merito (con citazioni di pronunzie della Corte di legittimità del 2003 e del 2007 che, all'evidenza, si riferiscono alla vecchia formulazione del n. 5 dell'art. 360 del codice di rito); né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza "così radicale da comportare - in linea con "quanto previsto dall'art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione".

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue in ordine al fatto che, in difetto di una specifica contestazione della c.t.u. in grado di appello, il mancato esame, da parte del Tribunale, della c.t.p. non è idoneo a fondare una eventuale riforma della sentenza.

2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Come, infatti, correttamente osservato dalla Corte di Appello sulla base della documentazione esaminata e posta a base della decisione, la società ricorrente ha censurato la c.t.u. non per vizi di calcolo o di impostazione metodologica, ma solo in quanto fondata sulle statuizioni della sentenza non definitiva del 2008, asseritamente errata, senza che sia stata fatta riserva di impugnazione di quella sentenza che, come riferito in narrativa, ha accertato - ormai con efficacia di giudicato - l'unicità del rapporto di lavoro intercorso tra le parti e le mansioni superiori svolte dalla A., riconducibili al I livello del CCNL di categoria.

3. Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.