Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 luglio 2017, n. 37827

Reati tributari - Elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale - Fatture per operazioni inesistenti - Imputazione - Amministratore unico della società

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con sentenza dell'8 luglio 2016, la Corte d'appello di Ancona ha - per quanto qui rileva - confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro del 3 marzo 2015, con la quale l'imputato odierno ricorrente era stato condannato, per il reato di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, in qualità di amministratore unico di una società, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale relativa al 2008, ai fini di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di una fattura per operazioni inesistenti del 31 marzo 2008, per un imponibile di euro 238.850,00, oltre Iva al 20%, emessa da tale L.E. s.r.l.

2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deducono la violazione della disposizione incriminatrice nonché vizi della motivazione in relazione alla ritenuta fittizietà della fattura in contestazione. Si lamenta che la Corte d'appello si sarebbe limitata a richiamare quanto già ritenuto dal giudice di primo grado in relazione all'esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in tal senso. La difesa ricorda che gli indizi sono i seguenti: A) l'indicazione sulla fattura del pagamento come rimessa diretta, nonostante il notevole importo; B) il fatto che gli unici pagamenti tracciati sui conti della società dell'imputato sono relativi a euro 15.000,00, portati da quattro assegni bancari; C) la circostanza che due di tali assegni non sono stati incassati dalla società venditrice; D) la genericità dell'oggetto della fattura, in quanto vi è un elenco di macchinari, senza indicazione di numeri di matricola; E) la mancanza dell'indicazione del vettore e della targa dell'automezzo utilizzato per il trasporto nei documenti di trasporto allegati alla fattura; F) la redazione della fattura a mano su moduli prestampati, senza il timbro della società venditrice mentre le fatture della stessa società rinvenute presso altri clienti sono stampate al computer; G) l'incompatibilità della numerazione della fattura, in base alla data indicata, con le altre fatture emesse dalla società venditrice nei confronti di altri clienti; h) il fatto che la contabilità della società venditrice sia stata distrutta o, comunque, sottratta. Secondo la prospettazione difensiva, talune circostanze ritenute quali indizi riguardavano strettamente la venditrice, e avrebbero dovuto essere valutate come elementi neutri, come ad esempio la mancanza della contabilità di tale società, la irregolarità della numerazione della fattura, la redazione della stessa a mano. Non sarebbero indizi gravi neanche la mancata indicazione dei numeri di matricola dei macchinari e degli estremi del trasporto degli stessi. Le modalità di pagamento, infine, dovrebbero essere ritenute quale elemento neutro, anche perché sarebbe stata rinvenuta dalla Guardia di Finanza la lettera di trasmissione di titoli di credito in pagamento della fattura. Quanto alla circostanza che due degli assegni non sarebbero stati incassati dalla società venditrice, la stessa non appare probante, perché tali assegni sono stati incassati dal legale rappresentante della società stessa, e tale modo di procedere potrebbe essere al più sintomatico di una indebita appropriazione a lui imputabile.

2.2. - Si deducono, in secondo luogo, vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del coimputato T., legale rappresentante della società venditrice. La Corte d'appello avrebbe ritenuto inutilizzabili le sue dichiarazioni, perché egli si era sottratto all'esame dibattimentale, ma successivamente si sarebbe richiamata a tali dichiarazioni, quale elemento di conferma della prospettazione accusatoria. Il soggetto era poi successivamente deceduto, ma tale decesso non rendeva utilizzabili le sue dichiarazioni perché successivo alla sua libera scelta di sottrarsi all'esame testimoniale dibattimentale.

2.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si deducono vizi della motivazione, in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo quanto alla dichiarazione Irpeg. Si rileva che registro dei beni ammortizzabili indicati nella fattura, persi a causa di un incendio senza mai essere stati ammortizzati, era stato acquisito dalla Guardia di Finanza. E la fattura riguardava l'acquisto di beni strumentali oggetto di ammortamento, con la conseguenza - secondo la difesa - che la detrazione del costo era frazionata e tale costo non avrebbe mai concorso a determinare l'imponibile societario, tanto che non era stato indicato nella dichiarazione presentata ai fini delle imposte dirette.

2.4. - La difesa deduce, in quarto luogo, l'erronea applicazione della disposizione incriminatrice, sul rilievo che sarebbe configurabile al più la fattispecie di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000. Si sostiene che i periti sentiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale avevano riferito che erano state rinvenute le carcasse di ferro dei beni strumentali indicati in fattura, cosicché la fattura avrebbe al più potuto essere considerata "gonfiata", ma non relativa a operazioni inesistenti.

2.5. - Con un quinto motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione circa la ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo, in relazione al quale la Corte d'appello avrebbe fatto riferimento soltanto al notevole importo degli elementi passivi fittizi. Si tratterebbe, in realtà, di somme modeste. In ogni caso, l'emissione della fattura e la sua utilizzazione da parte della società dell'imputato sarebbero stati determinati non dal fine di evasione, ma dal fine di truffare l'assicurazione, per ottenere il risarcimento dei danni da incendio dell'opificio.

2.6. - In sesto luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla commisurazione della pena, avendo la Corte d'appello richiamato, sul punto, solo le capziose modalità di realizzazione dell'illecito, senza ulteriori specificazioni.

 

Considerato in diritto

 

3. - Il ricorso è inammissibile.

3.1. - Il primo motivo di censura - sostanzialmente riferito alla ritenuta fittizietà della fattura in contestazione - è manifestamente infondato ed è comunque inammissibile, perché costituisce la pedissequa riproduzione di rilievi già esaminati e motivatamente disattesi dai giudici primo e secondo grado. La stessa difesa richiama una serie di indizi che appaiono ictu oculi gravi precisi e concordanti, senza contestarli in punto di fatto, e non prospetta alcun concreto elemento dal quale possa desumersi la non fittizietà dell'operazione svolta. Da tale complesso di indizi (sopra analiticamente riportati sub 2.1.), particolarmente cospicuo, emerge che sia la società pretesa venditrice sia la società pretesa acquirente agivano in un regime di grave illegalità, sostanzialmente diretto ad occultare la reale natura delle attività svolte. Tale illegalità emerge con evidenza dalla singolare circostanza della distruzione delle scritture contabili della venditrice, oltre che dalla totale mancanza di prova dell'effettivo trasporto di macchinari asseritamente acquistati e del pagamento degli stessi, noché dalle anomale modalità di confezionamento della fattura.

3.2. - Del tutto generico è il secondo motivo di doglianza, riferito a pretesi vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del coimputato T., legale rappresentante della società venditrice. A fronte di un compendio indiziario cosi solido, le vicende relative a tali dichiarazioni risultano del tutto irrilevanti, non essendo necessario alcun ulteriore riscontro rispetto alla evidentissima illiceità dell'operazione svolta. Né la difesa ha prospettato concrete ragioni di segno contrario.

3.3. - Irrilevanti sono, analogamente, le doglianze relative alla valutazione della dichiarazione Irpeg e alla determinazione dell'ammontare di tale tributo. Dalla semplice lettura dell'imputazione, emerge, infatti che la contestazione ha per oggetto il fine di evadere, in via anche alternativa, le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Ed è del tutto pacifica la finalità di evasione dell'Iva da parte dell'imputato. E ciò, a prescindere dalla manifesta infondatezza delle affermazioni difensive secondo cui, poiché la detrazione del costo ai fini dell'imposta sul reddito era frazionata, tale costo non avrebbe concorso a determinare l'imponibile societario; affermazione basata sull'assunto - evidentemente erronea - che il frazionamento di una detrazione negli anni equivalga a mancanza assoluta di detrazione per ciascun anno.

3.4. - Parimenti generico è il quarto motivo di doglianza, con cui si deduce l'erronea applicazione della disposizione incriminatrice, sul rilievo che sarebbe configurabile al più la fattispecie di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000. La difesa si limita, infatti, ad asserire - senza puntualmente richiamare gli atti di causa rilevanti a tal fine e senza formulare puntuali critiche alla motivazione della sentenza impugnata - che i periti sentiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale avrebbero riferito che erano state rinvenute le carcasse di ferro dei beni strumentali indicati in fattura.

3.5. - Inammissibile - perché generico e, comunque, meramente ripetitivo di doglianze di merito già disattese dalla Corte d'appello - è il quinto motivo di doglianze, con cui, si lamentano vizi della motivazione circa la ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo. Come evidenziato dai giudici di primo secondo grado - i quali hanno correttamente valorizzato sul punto la gravità e il numero dei convergenti indizi, nonché la totale mancanza di elementi a discarico - la sussistenza dell'elemento soggettivo emerge, non solo dal notevole importo della frode, ma anche dalle spregiudicate modalità di commissione della stessa, che evidenziano il contesto di generale illegalità nel quale le due società coinvolte operavano.

Del tutto generica risulta, poi, l'affermazione secondo cui l'emissione della fattura e la sua utilizzazione da parte della società dell'imputato sarebbero stati determinati non dal fine di evasione, ma dal fine di truffare l'assicurazione, per ottenere il risarcimento dei danni da incendio dell'opificio. Risulta infatti evidente - sul piano logico ancor prima che sul piano fattuale - che la circostanza che la frode fosse diretta a truffare l'assicurazione non esclude che la stessa fosse diretta anche a fini di evasione fiscale.

3.6. - La personalità dell'imputato, gravato da precedenti e il complessivo quadro probatorio, dal quale emergono modalità esecutive particolarmente insidiose oltre a un totale dispregio della legalità, ha correttamente indotto i giudici di secondo grado a negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche e a non rideterminare in diminuzione il trattamento sanzionatorio, peraltro generosamente fissato in primo grado in misura non lontana dal minimo edittale.

Ne deriva inammissibilità anche del sesto motivo di ricorso, perché fondato su mere indimostrate asserzioni di segno contrario e del tutto privo di riferimenti critici alla motivazione della sentenza impugnata.

4. - Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.