Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 maggio 2017, n. 10698

Contratto di lavoro domestico - Mansioni di badante - Permesso di soggiorno - Accertamento della subordinazione - Differenze retributive

 

Fatti di causa

 

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza in data 6/10/2011, ha confermato la decisione del Tribunale in data 27/11/2007, con cui si rigettava il ricorso di Z.C., alle dipendenze di C.G. dal 10/10/2001 al 25/4/2004 con mansioni di badante per assistere il marito invalido, regolarmente solo dal 2003, una volta ottenuto il permesso di soggiorno con contratto di lavoro domestico. La Corte territoriale ha confermato la pronuncia di prime cure circa l'insussistenza del diritto della ricorrente alle differenze retributive rivendicate e ha confermato altresì la condanna inflitta dal primo giudice per lite temeraria, per non aver la ricorrente fatto cenno né nel ricorso introduttivo del giudizio né in seguito, del fatto di aver percepito a titolo retributivo le somme concordate con la convenuta attraverso l'associazione Culturale C.I.U.

Per la cassazione della sentenza ricorre Z.C. con un unico articolato motivo di ricorso.

Il datore di lavoro rimane intimato.

 

Ragioni della decisione

 

La sentenza d'Appello è censurata con un unico motivo di ricorso, per errore in procedendo, nella parte in cui ha rigettato la domanda di accertamento della subordinazione, ritenendola pacificamente incontestata; per vizio di motivazione per quanto attiene alla condanna per lite temeraria, che non sarebbe stata provata ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ.

Quanto alla ricostruzione della posizione creditoria della ricorrente da parte della Corte d'Appello, quest'ultima avrebbe omesso di motivare su circostanze ritenute decisive ai fini del giudizio, quali in particolare quella dell'intervenuta decurtazione di somme percepite risultanti dal conteggio depositato e quella concernente la base di calcolo adottata per la determinazione del residuo dovuto a titolo di ferie, tredicesima, differenze retributive e preavviso, inferiore a quella spettante.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Con l'unico motivo d'impugnazione parte ricorrente si duole contemporaneamente e sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e impropriamente combinati dell'esito della controversia, censurando liberamente le conclusioni cui il giudice del merito è pervenuto e rinnovando più che altro le doglianze già formulate per censurare il provvedimento gravato.

Giova in proposito richiamare l'orientamento di codesta Corte secondo cui un siffatto modo di articolare la censura nei confronti della decisione impugnata (nel difetto di un qualsivoglia coordinamento, con le fattispecie di vizio tassativamente previste dall'art. 360 cod. proc. civ.) non appare rispettoso del sistema processuale vigente, in relazione alla formula prevista per il ricorso ex art. 360 cod. proc. civ. (Cass. n. 19959/2014).

Quello per Cassazione è un giudizio a critica vincolata, pertanto, "...La tassatività e specificità del motivo di censura esigono ... una precisa formulazione, in modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito" (Cass. n. 18202/2008).

Un motivo d'impugnazione tanto confuso e generico non ha la capacità di incidere sulla decisione gravata, la quale mette ordine in una vicenda lavorativa caratterizzata da periodi d'informalità, per un permesso di soggiorno intervenuto solo dopo alcuni anni dall'instaurazione del rapporto. La Corte d'Appello valuta l'assestamento contrattuale della lavoratrice nel passaggio dalla condizione d'irregolarità a quella di subordinazione regolare, prendendo a riferimento l'accordo sottoscritto dalle contraenti presso l'Associazione C.I.U., dai cui conteggi, uniti alle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio, si desume la legittimità delle detrazioni applicate dalla datrice per compensazione, avendo ricevuto, la lavoratrice, somme maggiori di quelle effettivamente dovute.

Il puntuale percorso argomentativo della Corte territoriale, da cui si evince l'insussistenza del diritto della ricorrente a percepire differenze retributive e spettanze ad altro titolo resta valido, dando conto in modo congruo e coerente delle condizioni materiali del rapporto dall'inizio fino al suo scioglimento.

Neanche quanto alla condanna per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ., la sentenza gravata è suscettibile di censura, essendo nei poteri del giudice del merito applicare d'ufficio la misura equitativa, quale sanzione per un comportamento omissivo rivolto a rallentare il rapido e regolare svolgimento del processo.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nessuna statuizione deve essere assunta sulle spese, poiché il datore di lavoro non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.