Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 settembre 2016, n. 17778

Rapporto di lavoro - Lettera di assunzione - Retribuzione - Bonus annuo - Fissazione del valore degli obiettivi

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 190 del 2011, la Corte d'appello di Cagliari, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, condannava T. s.p.a. a corrispondere a M.U. la somma di euro 28.734,26, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a titolo di bonus riferito al raggiungimento degli obiettivi per gli anni 2001 e 2003 e differenza dovuta allo stesso titolo con riferimento all'anno 2002. La Corte premetteva in fatto che nella lettera di assunzione dell'U., T. s.p.a. si era impegnata a corrispondere, oltre alla retribuzione mensile, un bonus annuo pari a lire 25 milioni lordi riferiti al raggiungimento degli obiettivi che sarebbero stati assegnati sulla base dei seguenti parametri: numero dei contratti attivati al 31/12 di ogni anno, fatturato di traffico telefonico al 31/12 di ogni anno ed aderenza ai valori aziendali; si precisava altresì che i valori degli obiettivi sarebbero stati indicati con comunicazione successiva. La quantificazione dei valori degli obiettivi era stata tuttavia effettuata da T. solo con riferimento all'anno 2000, mentre ciò non era avvenuto per gli anni successivi e per l'anno 2002 era stato corrisposto il bonus in questione nella misura ridotta di € 10.000,00. La Corte argomentava che benché fosse mancata dopo il 2000 la fissazione degli obiettivi, la corresponsione del bonus non era lasciata alla discrezionalità del datore di lavoro, né condizionata alla fissazione del valore degli obiettivi, costituendo un elemento integrante della retribuzione: non avrebbe avuto spiegazione diversamente l’erogazione per l'anno 2002, sebbene in misura ridotta. L'insindacabilità delle decisioni datoriali poteva quindi incidere sulla misura dell'obiettivo predeterminato, ma non sulla scelta di fissarlo o meno e di corrispondere la retribuzione stabilita in contratto.

Per la cassazione della sentenza T. s.p.a. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c. M.U.

 

Motivi della decisione

 

1. Preliminarmente, nel controricorso la difesa di U. eccepisce l’inammissibilità del ricorso, che sarebbe stato notificato oltre il termine di 60 giorni previsto dall'articolo 325 c.p.c. Riferisce che la sentenza è stata notificata presso il procuratore costituito il 15 luglio 2011 ed il ricorso per cassazione è stato ricevuto solo il 15 settembre 2011.

1.1. L'eccezione è infondata.

A seguito della sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale - secondo cui la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della consegna del medesimo all'ufficiale giudiziario - per la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione è sufficiente la consegna della copia del ricorso per la notifica nel termine perentorio di legge (v. ex plurimis Cass. ord. n. 2320 del 01/02/2011). Nel caso, la consegna del plico per la notifica risulta effettuata il 13.9.2011 e quindi tempestivamente.

Inoltre, anche con riguardo alla data di ricezione il ricorso sarebbe tempestivo. Per il computo dei termini a mese o ad anno si osserva infatti il calendario comune, facendo riferimento al nome e al numero attribuiti, rispettivamente, a ciascun mese e giorno (Cass. Sez. L, n. 10785 del 12/08/2000, Cass. Sez. L, n. 23479 del 12/11/2007, Cass. Sez. L, n. 16485 del 18/07/2014); ne consegue, in particolare, che la scadenza del termine per l'impugnazione delle sentenze - nelle controversie, come quelle di lavoro, a cui non è applicabile la sospensione feriale dei termini - coincide con lo spirare del giorno avente la stessa denominazione, quanto a mese e numero, di quello in cui la sentenza è stata notificata.

2. Con l'unico motivo di ricorso, epigrafato come "violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1355 e 1359 c.c. - omessa o comunque insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il giudizio", il ricorrente lamenta da un lato che la Corte territoriale abbia ritenuto che l’erogazione del bonus fosse comunque la conseguenza di un obbligo assunto con il contratto di assunzione e, dall'altro, che abbia deciso sulla base di una ratio decidendi diversa da quella che era stata proposta dal ricorrente, laddove egli aveva inizialmente assunto la sussistenza di un diritto al pagamento invocando l’applicazione dell'articolo 1359 c.c. e sostenendo che la condizione cui ne era subordinata l'erogazione sarebbe mancata per causa imputabile al T. s.p.a.

2.1. Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha in più occasioni affermato che l'interpretazione del contratto, consistendo in un'operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un'indagine di fatto riservata ai giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche; per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (sentenze 27 marzo 2007, n. 7500, e 30 aprile 2010, n. 10554).

Analogamente, si è detto che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (sentenze 20 novembre 2009, n. 24539, 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016).

Nel caso che ci occupa, La Corte territoriale ha interpretato la clausola contrattuale prevedente il bonus in questione, sulla base sia della formulazione letterale del testo convenzionale, sia del comportamento successivo tenuto dalle parti, desumendone che detto bonus faceva parte della retribuzione pattuita e che la sua erogazione non era condizionata alla fissazione degli obiettivi.

Il ricorso propose una valutazione meramente contrappositiva a quella formulata dal giudice territoriale, senza neppure specificare in relazione a quali aspetti questo si sarebbe discostato dalle norme di ermeneutica contrattuale, per cui, in definitiva, è fondato sulla volontà della parte ricorrente di ottenere una diversa soluzione del merito della questione.

2.2. Sotto il secondo aspetto proposto, la Corte d'appello ha disatteso a pg. 10 della motivazione l'analoga doglianza formulata in quella sede dalla parte appellata, argomentando che la questione di cui trattasi risultava affrontata dall'U. fin dal ricorso di primo grado, sia nella parte espositiva che nella parte in diritto, laddove aveva dedotto che il proprio diritto a percepire la parte variabile della retribuzione nasceva dal contratto di assunzione. Tali argomentazioni non sono adeguatamente censurate con riferimento a disposizioni processuali violate in relazione all'interpretazione della domanda introduttiva del giudizio, limitandosi la ricorrente a censurare la motivazione del giudice di merito, che risulta però avere illustrato il percorso logico seguito, ed a riproporre le argomentazioni formulate in sede di merito e la soluzione (ritenuta condivisibile) adottata dal Tribunale.

3. In definitiva, il ricorso dev'essere rigettato.

4. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.