Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 agosto 2016, n. 16217

Licenziamento disciplinare - Attività di vigilanza - Violazione delle disposizioni di servizio - Gravità dell’addebito - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza resa pubblica il 15/1/2015 confermava la decisione del Tribunale della stessa sede, con la quale erano state respinte le domande proposte da De V. G. nei confronti della s.r.l. La L., intese a conseguire pronuncia dichiarativa della illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli in data 2/8/2013, e di condanna della società alla reintegra nel posto di lavoro, con gli ulteriori effetti risarcitori sanciti dall'art. 18 l. 300/70 nella versione di testo applicabile ratione temporis.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale, per quanto in questa sede rileva, osservava che l'attività istruttoria espletata in prime cure - articolata sul piano testimoniale e documentale, oltre che integrata da supporti video - aveva consentito di acclarare che il ricorrente, nella notte fra il 28 e il 29 giugno 2013 non aveva provveduto alla attività di vigilanza da svolgere ad intervalli di 90 minuti secondo le disposizioni di servizio (mediante cd. punzonatura), nell'arco temporale compreso fra le ore 00,00 e le ore 4,30; che nel corso di esso, intorno alle ore 2.10, era stato perpetrato un furto nei locali delta società N.L.S. presso il quale detto servizio di vigilanza veniva espletato; che era stato manomesso il sistema di controllo della postazione cui era addetto il ricorrente, e di conseguenza, alterata la striscia attestante le intervenute ispezioni. Escludeva, quindi, la Corte di merito, ogni sproporzione fra sanzione irrogata e mancanze contestate, sul rilievo che l'accertato inadempimento fosse di gravità tale da minare in radice il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, attenendo all'essenza della obbligazione lavorativa posta a carico del dipendente.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il De V. con due motivi. Resiste con controricorso la società intimata.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 112 c.p.c. e 5 l. 604/56. Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto comprovati gli addebiti ascritti al dipendente, benché i dati emersi alla stregua della espletata attività istruttoria escludessero ogni sua responsabilità in ordine ai fatti oggetto di contestazione.

Si fa leva, in particolare, su alcuni dati obiettivi emersi in istruttoria, ed integrati dallo scostamento di sei minuti fra orario dell'orologio marcatempo, da cui scaturiva la striscia delle punzonature, e quello del sistema di video-sorveglianza della N.L.S., che inficerebbero la dinamica degli eventi prodromici al licenziamento, come ricostruiti dalla Corte territoriale.

2. Il motivo va disatteso.

Non può infatti sottacersi che, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente tende a pervenire, inammissibilmente, ad una rinnovata considerazione, nel merito, della valutazione dei fatti di causa elaborata dai giudici del gravame.

Va in proposito considerato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma dì legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito.

Il discrimine tra l'una e l’altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi Cass. 16 luglio 2010 n. 16698, cui adde Cass. 18 novembre 2011 n. 24253). Nella specie, ricorre siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa, che non appare congruamente sussumibile sotto il profilo del vizio denunciato, bensì del vizio di motivazione, non specificamente dedotto in questa sede.

3. Sulla medesima linea interpretativa, va rimarcato come la giurisprudenza di questa Corte sia costante nel ritenere - con riferimento alla funzione di esegesi del materiale probatorio - che la violazione dei canoni codicistici che presiedono allo svolgimento di detta funzione è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360, primo comma n. 5), cod. proc. civ. (v., fra le altre, Cass. 10 settembre 2011 n. 17977) e, quanto a quest'ultimo, nella versione di testo applicabile ratione temporis, che il controllo sulla motivazione è limitato a quello della esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e della coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta (vedi Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), dovendo leggersi la disposizione in un'ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Nello specifico, si impone, quindi, l'evidenza della inammissibilità del motivo laddove tende a pervenire ad una rinnovata valutazione degli elementi fattuali sottesi alla pretesa azionata, non consentita in questa sede di legittimità (vedi, ex piurimis, Cass. 23 febbraio 2015 n. 3535).

4. Esigenze di completezza espositiva inducono a rilevare come la Corte distrettuale- diversamente da quanto argomentato dall'odierno ricorrente - abbia ritenuto sussistente la prova della giusta causa di licenziamento, sulla scorta dei dati obiettivi desumibili dalla articolata attività istruttoria.

Avvalendosi delle registrazioni provenienti da telecamera fissa sulla postazione 16 cui era adibito il De V., il giudice dell'impugnazione ha acclarato che nell'arco temporale compreso fra le ore 00.00 alle ore 4.42-4.46 nessuno si era avvicinato alla postazione per la rituale punzonatura; che alle ore 2.10 si vedevano due persone arrampicarsi sul muro del fabbricato oggetto di vigilanza; che lo scostamento di orario registrato fra la telecamera fissa e dell'orologio marcatempo indicato nella punzonatura (circa sei minuti), non era rilevante ai fini dello scrutinio circa la veridicità delle precedenti registrazioni visionate; che la punzonatura doveva ritenersi alterata, essendo emerso che il sistema di controllo della postazione n.16 era stato manomesso con l'asportazione della relativa chiavetta (per evitare il percorso, secondo quanto riferito dal De V. al teste P., responsabile del personale) e la punzonatura era stata svolta negli orari di rito ma da postazione diversa; che tali dati obiettivamente rilevabili, erano stati riscontrati anche dalle dichiarazioni rese dal lavoratore sia in sede di giustificazioni rese ex art. 7 L. 300/70, sia in sede di libero interrogatorio reso in fase sommaria.

5. La sentenza impugnata, per quello che riguarda il richiamato accertamento, è formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura n. r.g. 7315/2015 argomentativa, palesandosi del tutto congrua e completa, onde resiste alla censura - all'esame anche sotto il descritto profilo.

6. Con il secondo mezzo di impugnazione, è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 18 l. 300/70 e dell'art. 101 lett. C c.c.n.I. Vigilanza del 22/4/2013.

Si deduce che il giudice dell'impugnazione abbia ritenuto il provvedimento espulsivo proporzionato alle mancanze addebitate, benché le stesse potessero essere ricomprese nel novero delle condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo di settore. Si argomenta al riguardo, che la condotta integrata dal non aver punzonato alla postazione n.16 per sole tre volte (a fronte di 126 punzonature) nell'arco di un intero turno di lavoro compreso dalle ore 20.00 alle ore 6.00 è perfettamente sussumibile in una delle fattispecie astratte previste dall'art. 101 lett. C del richiamato c.c.n.I. per le quali è prevista la sanzione conservativa della sospensione della retribuzione e dal servizio, in relazione alla ipotesi in cui il lavoratore esegua con negligenza grave II lavoro affidatogli; ometta parzialmente di eseguire il servizio assegnato; si assenti per un giorno dal lavoro senza valida giustificazione.

7. Il motivo è privo di fondamento.

Va infatti rimarcato che oggetto di contestazione è stata una pluralità di fatti ognuno dei quali dotato dì peculiare rilievo disciplinare, ed integrati, come accennato nello storico di lite, dalla mancata esecuzione della attività di vigilanza (mediante cd. punzonatura), nell'arco temporale compreso fra le ore 00.00 e le ore 4.30 oltre che dalla alterazione il sistema di controllo della postazione cui era addetto il ricorrente, e di conseguenza, della "striscia" attestante le intervenute ispezioni.

Detti comportamenti sono stati oggetto di unitaria valutazione da parte del giudice dell'impugnazione il quale ha scrutinato la applicazione della clausola elastica di cui all'art. 2119 c.c., con apprezzamento del tutto congruo e conforme a diritto.

8. Sul presupposto implicito della mancata previsione espressa in sede contrattuale collettiva, nel novero delle sanzioni di tipo conservativo, delle mancanza ascritte al dipendente, la Corte distrettuale ha infatti ritenuto non significativa ai fini che qui rilevano, la previsione di cui all'art. 101 lett. C del c.c.n.I. Vigilanza che prevede la sanzione conservativa della sospensione se il lavoratore si assenta un giorno dal lavoro.

Tanto sul rilievo che gli addebiti contestati, la cui fondatezza aveva rinvenuto conferma all'esito della complessa attività istruttoria espletata, vulneravano in radice il rapporto fiduciario sotteso al vincolo lavorativo, contrastando "con il contenuto principale della prestazione lavorativa (controlli secondo percorsi e turni obbligati e con punzonature in postazioni esterne fisse)".

9. I giudici del gravame hanno quindi espresso un giudizio di proporzionalità della sanzione che, codificato dall'art. 2106 c.c., rimane principio di carattere generale, di portata ampia, che connatura e condiziona il potere disciplinare né è stato abrogato dalla riforma della legge n. 92/12 in particolare laddove - così come nella fattispecie in esame - la articolata condotta oggetto di contestazione, non rinvenga specifica previsione nel novero dei fatti per i quali è prevista dal contratto collettivo o dal codice disciplinare, l'applicazione di sanzione di tipo conservativo.

10. Nell'ottica descritta può farsi applicazione del principio già affermato da questa Corte e cha va qui ribadito, alla cui stregua il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass. 8 aprile 2016 n. 6898, Cass. 25 maggio 2012 n. 8293 del 2012).

La giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", è infatti, una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli "standards", conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (vedi Cass. 2 marzo 2011 n. 5095).

11. Nello specifico, la critica introdotta con detto secondo motivo di censura non è idonea ad inficiare i corretti approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito la quale, con apprezzamento del tutto congruo rispetto ai suddetti standards valutativi, ha ritenuto che il comportamento assunto dal lavoratore si poneva in insanabile contrasto con l'oggetto principale della prestazione.

12. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Il governo delle spese dei presente giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata, dandosi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.