Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 gennaio 2017, n. 1528

Riscossione - Cartella di pagamento - Termine di decadenza

 

Svolgimento del giudizio e motivi della decisione.

 

Par. 1. L'agenzia delle entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza 204, 09/10/12 dep- 22 ottobre 2012 con la quale la commissione tributaria regionale della Puglia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittima la cartella di pagamento per Invim 1990 notificata in proprio all'avv. P. G. R..

In particolare, ha rilevato la commissione tributaria regionale l'avvenuta decadenza dell'amministrazione finanziaria ex articolo 76, 2A co., lett.b) d.P.R. 131/86; essendo stata la cartella in oggetto dal concessionario notificata (8 ottobre 2005) oltre il termine triennale dal passaggio in giudicato (28 aprile 1999) della sentenza CTP Taranto che aveva definitivamente respinto l'opposizione all'avviso di liquidazione proposta dal R..

Quest'ultimo resiste con controricorso, formulando anche un motivo di ricorso incidentale.

L'agenzia delle entrate ha depositato controricorso a ricorso incidentale.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Par. 2. Con il motivo di ricorso principale l'agenzia delle entrate lamenta - ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione o falsa applicazione degli articoli 76 co. 2 lett. b) e 78 d.P.R. 131/86; per avere la commissione tributaria regionale ritenuto nella specie applicabile il termine triennale di decadenza di cui alla prima disposizione, nonostante che - trattandosi di cartella di pagamento conseguente a sentenza passata in giudicato - rilevasse unicamente il termine decennale di prescrizione di cui alla seconda disposizione.

Con il motivo di ricorso incidentale, il contribuente deduce il mancato rilievo, da parte della commissione tributaria regionale (avanti alla quale egli non si era costituito) dell'inammissibilità dell'appello proposto dall'agenzia delle entrate; in quanto notificato non presso i suoi difensori, ma a mani proprie.

Par. 3.1 Va preliminarmente respinto il motivo di ricorso incidentale.

Lo stesso R. afferma che l'atto di appello gli venne notificato, il 12 febbraio 2007, "a mani proprie" dall'agenzia delle entrate; ciò basta ad affermare la ritualità di tale notificazione e la conseguente inconsistenza della presente censura.

Va infatti considerato che il processo tributario ha un regime di notificazione degli atti suo proprio, cosi come risultante dagli articoli 16 e 17 d.lgs. 546/92, i quali ammettono in ogni caso la consegna dell'atto a mani proprie del contribuente.

Deve pertanto farsi qui applicazione del principio secondo cui: "nel processo tributario, con riguardo al luogo delle notificazioni, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17, fa in ogni caso salva la "consegna in mani proprie", per cui una notificazione eseguita in tal modo deve considerarsi valida anche in presenza di una elezione di domicilio. La norma citata, inoltre, facendo riferimento non alla notifica in mani proprie, bensì alla "consegna in mani proprie", deve intendersi nel senso che venga fatta salva non solo la notificazione eseguita ai sensi dell'art. 138 cod. proc. civ., ma anche tutte le altre notificazioni (ex art. 140 cod. proc. civ., o a mezzo del servizio postale), a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani del destinatario (Cass. n. 4274 del 2002, n. 10474 del 2003, n. 9381 del 2007)" (Cass. 3746/10; Cass. 16848/08 ed altre).

Par. 3.2 Sempre in via preliminare, deve poi respingersi l'eccezione del R. di inammissibilità del ricorso per cassazione a seguito di rinuncia al potere impositivo per comportamento concludente; individuato quest'ultimo nell'atto di sgravio 2 ottobre 2012.

E' lo stesso ricorrente a riferire che tale sgravio venne eseguito con causale "Sent 482/04/06 TVP 3001053", a seguito ed in ottemperanza alla sentenza della commissione tributaria provinciale di Taranto che, in accoglimento del ricorso del contribuente, aveva ritenuto illegittima la cartella di pagamento in questione. Si trattava dunque di uno sgravio di mera ottemperanza alla sentenza, e finalizzato soltanto - in esercizio di autotutela - ad evitare che il contribuente potesse venire sottoposto ad esecuzione forzata in pendenza di giudizio. Né rileva che lo sgravio in oggetto non recasse clausola di riserva di appello, dal momento che - come risulta dalla cronologia degli atti riportata dallo stesso contribuente - quando esso intervenne, l'appello era già stato da tempo notificato a mani di quest'ultimo.

Deve, in definitiva, farsi applicazione del principio per cui: "l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione. (Nella specie, la S.C., in applicazione di detto principio, ha escluso che potesse costituire acquiescenza l'adozione, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di un provvedimento di sgravio relativo a somme iscritte a ruolo e oggetto di cartelle annullate dal giudice di primo grado, nelle more del giudizio di appello)" (Cass.Sez. 6-5, Ordinanza n. 11769 del 11/07/2012; in termini, Cass. 21385/12; 21590/15; 6334/16).

Par. 4. Venendo ora al motivo di ricorso principale, se ne riscontra la fondatezza.

Va infatti considerato che la cartella in oggetto si riferisce ad una pretesa impositiva divenuta definitiva non già per effetto dell'acquiescenza prestata dal contribuente in fase amministrativa, bensì a seguito di sentenza inoppugnabile resa a definizione del giudizio di opposizione all'avviso di liquidazione.

Il termine di decadenza di cui all'articolo 76 2A co. lett. b) d.P.R. 131/86, ravvisato dal giudice di merito, non è dunque qui applicabile; non perché quest'ultima disposizione non sia astrattamente riferibile anche all'Invim (al contrario, vale in proposito il richiamo operato dall'articolo 31 dpr 643/72), ma perché l'art.76 cit. si riferisce alla decadenza dell'amministrazione finanziaria nella fase di imposizione ed accertamento della pretesa tributaria, non già in quella di riscossione in forza di giudicato.

Ne consegue che il termine di perenzione - non di decadenza, ma di prescrizione - doveva essere qui individuato in quello decennale di cui all'articolo 78 d.P.R. 131/86; trattandosi di realizzazione - mediante riscossione esattoriale - di un credito che, in forza dell'accertamento giudiziale definitivo, era divenuto ormai certo, liquido ed esigibile.

Va dunque riaffermato l'orientamento di legittimità secondo cui: "in tema di imposta di registro, qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo ad oggetto un credito definitivamente accertato a seguito di contenzioso e, come tale, avente titolo nella sentenza, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dall'art. 78 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131; non trovando applicazione, nell'ipotesi, né il termine triennale di decadenza di cui all'art. 76 del medesimo d.P.R., che concerne, invece, l'esercizio del potere di imposizione, né il termine annuale di decadenza sancito dall'art. 17, lett. c), del d.P.R. n. 602 del 1973 (rilevante "pro tempore"), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell'ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell'atto impositivo che li contiene" (Cass. n. 8380/13; in termini, più di recente, Cass. 9597/16).

Vale, in particolare, anche nella fattispecie qui in esame l'osservazione posta a base di tale orientamento giurisprudenziale, secondo cui - in tal caso - il titolo della pretesa tributaria non è più l'atto impositivo, ma la sentenza che ne ha confermato la legittimità pronunciando sul rapporto; sicché è la sentenza, non l'atto, che viene ad avere successiva esecuzione.

Posto che tale termine è stato qui pacificamente osservato (notificazione della cartella 8 ottobre 2005, a seguito di passaggio in giudicato in data 28 aprile 1999 della sentenza CTP Taranto n. 258/05/1997), l'affermata perenzione va esclusa.

La sentenza della commissione tributaria regionale va dunque cassata in accoglimento del ricorso principale.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, né essendo state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante rigetto del ricorso introduttivo del contribuente; spese di legittimità e merito compensate, in ragione del consolidamento soltanto in corso di causa del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso incidentale;

- accoglie il ricorso principale;

- cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

- compensa le spese;

- v.to l'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

- dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.