Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MILANO - Sentenza 03 gennaio 2017, n. 2

Tributi - Accertamento a tavolino - Contraddittorio - Ammissibilità

 

Fatto e svolgimento del processo

 

Con il questionario n. Q00134/2014 l’Agenzia delle Entrate, Ufficio Controlli della Direzione Provinciale di Lodi, richiedeva al contribuente (...) la produzione di documentazione contabile relativa all’annualità 2009, essendo emerso un eccessivo scostamento tra il reddito dallo stesso dichiarato per l’anno di riferimento nell’esercizio dell’attività di bar e caffè e le spese sostenute.

Sulla base della documentazione consegnata dal contribuente, l’Ufficio ricostruiva i ricavi relativi all’attività di bar, ai sensi dell’art. 39 comma primo, lettere c) e d) del D.P.R. 600/1973, in base, agli acquisti documentati, distinti per categorie merceologiche, emettendo l’avviso di accertamento n. T9R01N100697/2014 a mezzo del quale venivano accertati maggiori ricavi per Euro 28.932,50, rispetto alla perdita dichiarata di Euro 18.260,00, e quindi un maggior imponibile ai fini IRPEF, IRAP, IVA, ed un maggior reddito ai fini previdenziali con conseguenti maggiori imposte richieste.

Dopo una tentativo di mediazione conclusosi con la sola riduzione delle sanzioni, il Contribuente ha proposto ricorso eccependo nullità dell’avviso di accertamento per:

- violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione e dell'art. 12, comma 7, L. 212/2000 per il fatto che l’atto impositivo non era stato preceduto da P.V.C.;

- violazione dell’art. 24 della L. 4/1929 per insussistenza del processo verbale di constatazione a corredo dell’accertamento fiscale;

- violazione degli artt. 7 L. 212/2000, 3 L. 241/1990 e 2697 c.c. in tema di accertamento e prova degli elementi costitutivi a fondamento della pretesa impositiva;

- violazione dell’art. 97 della Costituzione in combinato disposto con l’art. 10, co. 1 dello Statuto del Contribuente;

- insussistenza di valide ragioni giuridiche per l’adozione del metodo di accertamento induttivo ex art. 39 D.P.R. 600/1973.

Si è costituito in giudizio l’Ufficio ribadendo la legittimità della pretesa tributaria per inesistenza di un obbligo generale al contraddittorio preventivo e conseguentemente di adozione del P.V.C. a tutela del contribuente.

Con successiva memoria del 21/05/2015, il Contribuente ha eccepito il vizio di nullità insanabile dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto da dirigente decaduto per effetto della nota sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale.

La CTP di Lodi, con sentenza n. 180/2015, ha accolto il ricorso del contribuente così essenzialmente motivando: "...osserva il Collegio che l’eccezione di inesistenza dell’atto impugnato, in quanto promanante da soggetto privo della necessaria qualifica per la sua emissione, è questione rilevabile d’ufficio e come tale non soggetta alle preclusioni imposte dal rito alle eccezioni di parte...alla richiamata pronuncia della Corte Costituzionale (n. 37/2015) consegue la decadenza dell'incarico dirigenziale con effetto retroattivo di tutti coloro che sono stati nominati a tale ufficio in forza delle norme dichiarate come incostituzionali. A norma dell’art. 21 septies della L. 241/90 il provvedimento amministrativo viziato da difetto assoluto di attribuzione è nullo e conseguentemente nessuna efficacia giuridica può esservi collegata, onde gli atti successivi adottati, riconducibili all’esercizio della funzione attivata in mancanza dell’inerente potere, devono intendersi affetti da nullità. Va poi rilevato che, a norma dell’art. 42, comma 1 e 3 del DPR 600/1973 e dell’art. 56 del DPR 633/1972, allorché l’avviso di accertamento non sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro funzionario della carriera direttiva da lui validamente delegato, consegue la sanzione della nullità insanabile dell’atto stesso, principio costantemente affermato dalla Corte di Cassazione".

Avverso tale sentenza l’Ufficio ha proposto appello per i seguenti motivi:

- nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 21, 24 e 57 D.Lgs. 546/1992 in quanto la questione circa l’illegittimità dell’atto di accertamento poteva essere proposta solo con il ricorso in primo grado;

- nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 septies della L.241/1990, in quanto, come sancito dalle sentenze della CTR Lombardia nn. 3534 e 3535 del 2015, né la sentenza della Corte Costituzionale, né l’eventuale annullamento degli incarichi di funzioni dirigenziali, potevano comportare l’automatica invalidità degli atti sottoscritti dagli incaricati, in ossequio al principio di continuità dell’azione amministrativa e a quello per cui è irrilevante verso i terzi il rapporto tra la pubblica amministrazione e la persona fisica dell’organo che agisce;

- nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, commi 1 e 3 del DPR 600/1973 e 56, comma 1, del DRP 633/1972, in quanto l’art. 42 prevede soltanto che l’atto sia sottoscritto dal Capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere la qualifica dirigenziale né dell’uno né dell’altro.

Circa l’omessa instaurazione del contraddittorio preventivo e l’omessa notifica del P.V.C., l’Ufficio ha sostenuto che le garanzie procedurali di cui all’art. 12 della L.212/2000 operano esclusivamente nel procedimento di accertamento in senso stretto con accessi, ispezioni e verifiche e non anche nei c.d. "accertamenti a tavolino"; inoltre il Contribuente non si era nemmeno avvalso della facoltà di presentare istanza di accertamento con adesione, il che avrebbe consentito l’instaurarsi del contraddittorio; quanto poi al presunto difetto di motivazione in ordine alla inattendibilità dei dati desunti dall’Ufficio relativi alle prescrizioni dello studio di settore modello UG37U, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che l’accertamento si fondava su dati reali dell’attività indicati nello studio di settore dallo stesso contribuente e sulle fatture prodotte e contabilizzate.

Il contribuente (...) si è costituito in giudizio chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato e riproponendo i motivi addotti in primo grado salvo rinunciare all’eccezione di nullità del provvedimento amministrativo in quanto sottoscritto da funzionario non avente la qualifica di dirigente.

 

Motivazione

 

La Commissione ritiene di respingere l’appello proposto dall'Ufficio e di confermare la sentenza di prime cure sia pur per i motivi di seguito indicati.

Devesi infatti dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento impugnato dal contribuente (...) non per il fatto che, come sostenuto dai Giudici di prime cure, l’atto sia da qualificare inesistente in quanto sottoscritto da soggetto privo della necessaria qualifica per la sua emissione, quanto piuttosto per il fatto che lo stesso è stato adottato dall’Ufficio senza che quest’ultimo abbia previamente instaurato il necessario contradditorio endoprocedimentale con il contribuente prima della sua emanazione.

L’eccezione di nullità dell’avviso per difetto di sottoscrizione sollevata dalla parte contribuente è infatti da disattendere atteso che essa si palesa tardiva in quanto fatta valere per la prima volta con la memoria del 21/05/2015 presentata successivamente rispetto al deposito del ricorso introduttivo, senza sottacere che basta a far ritenere legittimo l’avviso di accertamento la circostanza che l’atto sia stato sottoscritto da funzionario appartenente alla carriera direttiva all’uopo espressamente delegato dal Capo dell’Ufficio e non necessariamente da un funzionario dotato della qualifica dirigenziale: di tali elementi ha fatto tesoro lo stesso contribuente che, del tutto condivisibilmente, ha rinunciato alla relativa eccezione.

Al contrario coglie nel segno la difesa del contribuente nella misura in cui ha evidenziato la nullità dell’avviso gravato per violazione, ad opera dell’Ufficio, del principio del contradditorio endoprocedimentale che questa Commissione ritiene immanente nell’ordinamento giuridico a presidio di valori costituzionalmente tutelati oltre che espressione di civiltà giuridica.

Il principio del contraddittorio è posto a garanzia e tutela del contribuente ed è da ritenersi elemento essenziale e imprescindibile ai fini della regolarità della condotta dell’Amministrazione, come sancito in numerose pronunce della Cassazione (si vedano le sentenze della Suprema Corte di Cassazione n. 26635 del 2009, n. 18906 del 2011 e n. 14026 del 2012): la giurisprudenza comunitaria ha esaltato l'importanza del rispetto, ad opera dei pubblici poteri, del principio di garanzia del contraddittorio endoprocedimentale al fine di consentire al soggetto potenzialmente inciso da qualsivoglia atto pregiudizievole, previo invito a dare chiarimenti ed a esporre le ragioni in merito ad una certa operazione potenzialmente ritenuta abusiva, di potere addurre le proprie ragioni prima dell'adozione del provvedimento finale, come si desume dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea C-349/07/2009 (sentenza Sopropè) laddove si è affermato che "la regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l'autorità competente in grado di tenere conto di tutti gli elementi del caso. AI fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a queste ultime di correggere un errore o far valere elementi relativi alla loro situazione personale tali da far si che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro. In tale contesto, il rispetto dei diritti della difesa implica, perché possa ritenersi che il beneficiario di tali diritti sia stato messo in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista, che l'amministrazione esamini, con tutta l'attenzione necessaria, le osservazioni della persona o dell'impresa coinvolta. Spetta unicamente al giudice nazionale verificare se, tenuto conto del periodo intercorso tra il momento in cui l'amministrazione interessata ha ricevuto le osservazioni e la data in cui ha assunto la propria decisione, sia possibile o meno ritenere che essa abbia tenuto debitamente conto delle osservazioni che le sono state trasmesse".

Nel caso di specie è accaduto che, una volta ricevuta la documentazione ad opera del contribuente (...) l’Ufficio ha provveduto ad emettere ravviso di accertamento n. T9R0IN100697/2014 senza averlo previamente notiziato a seguito dell’adozione di apposito P.V.C. e/o senza avere preannunciato l’adozione di un provvedimento incisivo della sfera giuridica soggettiva sostanziale del contribuente: la violazione del principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale perpetrata nel caso in esame basta a consentire l'annullamento dell'atto, determinandone la nullità, posto che il contribuente (...) non è stato messo nelle condizioni di interloquire con l'amministrazione finanziaria procedente ed esporre prima della definitiva adozione dell'atto finale le ragioni del proprio operato che avrebbero potuto indurre l’Ufficio a non emettere l'avviso in esame.

Il principio del necessario contraddittorio endoprocedimentale rileva infatti non soltanto nel caso di contestazione di fattispecie elusive a carico dei contribuenti, ma anche nel caso dei cosiddetti accertamenti a tavolino: su tale ultimo punto la Commissione non condivide le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24823 del 2015 che ha limitato l’operatività del suddetto principio unicamente ai tributi armonizzati escludendone la portata con riguardo agli accertamenti a tavolino come quello che ha interessato l’odierno contribuente appellato.

L'amministrazione finanziaria che intende contestare fattispecie elusive, anche se non riconducibili alle ipotesi contemplate dall'art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, è tenuta, a pena di nullità dell'atto impositivo, a richiedere chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di sessanta giorni, prima di emettere l'avviso di accertamento, il quale dovrà essere specificamente motivato anche con riguardo alle osservazioni, ai chiarimenti ed alle giustificazioni, eventualmente fomiti dal contribuente (si vedano le sentenze della Suprema Corte di Cassazione, Quinta Sezione Civile, 14 gennaio 2015 n. 406 e 5 dicembre 2014 n. 25759).

Tale conclusione si collega idealmente, rappresentandone l'evoluzione, a precedenti decisioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le quali è stato riconosciuto che l'inosservanza da parte dell'amministrazione del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, posto a garanzia del diritto di difesa del contribuente, determina la nullità dell'atto di accertamento emesso ante tempus anche in mancanza di un'espressa comminatoria, salvo che non ricorrano specifiche ragioni di urgenza che devono essere adeguatamente motivate (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 29 luglio 2013 n. 18184); analogo principio è stato riconosciuto in materia di iscrizione ipotecaria prevista dall'art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), avendo statuito i Supremi Giudici che l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio fondamentale immanente nell'ordinamento, operante anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa, a pena di nullità dell'atto finale del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione dell'interessato al procedimento stesso (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 18 settembre 2014 n. 19667).

Recentemente la Corte Costituzionale ha ulteriormente confermato tale orientamento e, con sentenza 7 luglio 2015 n. 132, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 bis, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973 sollevata dalla Corte di Cassazione in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione asserendo che la sanzione prevista dalla norma censurata non è posta a presidio di un mero requisito di forma del procedimento, estraneo alla sostanza del contraddittorio, ma costituisce invece strumento efficace ed adeguato di garanzia dell'effettività del contraddittorio stesso e di tutela delle ragioni del contribuente che deve essere messo nelle condizioni di interloquire con l'amministrazione procedente ben prima dell'adozione dell'atto impositivo, pena, in mancanza, la radicale nullità di quest'ultimo con coevo obbligo di annullamento in radice dell'avviso di accertamento emanato prematuramente in assenza del rispetto delle garanzie procedimentali a presidio del contribuente.

L'orientamento liberale sopra esposto, assai sensibile alle ragioni del contribuente e teso a consentire a quest'ultimo la possibilità di esporre all'Ufficio le ragioni a fondamento di una condotta potenzialmente passibile di essere considerata abusiva prima che il medesimo Ufficio adotti il provvedimento finale, è stato di recente fatto proprio dalla CTR Lombardia con le sentenze n. 4403/2015 e n. 5383/2015 con cui è stato riconosciuto la generale operatività dell'obbligo di contraddittorio endoprocedimentale nel caso di contestazioni di abuso del diritto e nei casi di controlli a tavolino.

Di recente anche l'Agenzia delle Entrate si è mostrata sensibile al principio della obbligatorietà del contraddittorio nella fase endoprocedimentale atteso che, con la circolare n. 16/E del 28.04.2016 ha diramato agli uffici periferici nuove regole operative che pongono in primo piano l'obbligo di attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente prima di addivenire alla formulazione della pretesa impositiva tramite l'adozione di atti incisivi della sfera giuridica dei contribuenti, e ciò al fine di pervenire a decisioni partecipate e di ridurre il contenzioso avanti agli organi di giustizia tributaria: scopo della predetta circolare è in definitiva quello di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini al procedimento di accertamento impositivo e di valorizzare al massimo l'apporto che i contribuenti possono dare nella effettiva ricostruzione delle vicende poste alla base degli atti tributari.

Anche le recenti modifiche normative in tema di abuso del diritto muovono in tal senso.

L’art. 1 del D. Lgs. 128 del 5/08/2015, in ottemperanza alla raccomandazione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva, ha inserito l’art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente ed ha disciplinato l’abuso del diritto e l’elusione fiscale avendone attribuito portata generale per tutti i tributi, imposte sui redditi e imposte indirette, fatta salva la speciale disciplina vigente in materia doganale.

In sostanza, con il recente intervento normativo si è introdotta una norma generale antiabuso con la contestuale abrogazione dell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973 in precedenza applicabile solo per l’accertamento delle imposte sui redditi ad un numero chiuso di operazioni tassativamente indicate: il decreto elimina definitivamente qualsiasi incertezza interpretativa sul punto, prevedendo espressamente che per qualsivoglia tributo l’accertamento dell’abuso del diritto da parte dell’Amministrazione Finanziaria inizi con la richiesta di chiarimenti da parte dell’Ufficio, che, a seguito dell’inoltro della richiesta di chiarimenti il contribuente - ove ne ravvisi l’opportunità - fornisca entro 60 giorni dalla notifica della richiesta giustificazioni a supporto delle operazioni poste in essere, e che, soltanto all’esito della risposta del contribuente, l’Ufficio possa notificare l’atto impositivo a pena di nullità in caso di mancato rispetto del termine a difesa.

La nuova norma ha in definitiva cristallizzato un principio immanente nell’ordinamento già esistente sancendo viepiù l’obbligo della tutela endoprocedimentale a favore dei soggetti incisi da provvedimenti impositivi nella peculiare materia dell’elusione fiscale.

Se si applicano le considerazioni sopra esposte al caso in esame, la Commissione rileva che ove l’Ufficio avesse fatto precedere l’adozione dell’avviso gravato dal P.V.C. il contribuente odierno appellato avrebbe potuto informare l’amministrazione delle circostanze sopravvenute che hanno determinato una sensibile contrazione della clientela che beneficiava delle prestazioni dell’esercizio commerciale, vale a dire delle chiusure delle filiali di banca ubicate in prossimità del bar che hanno fatto calare la presenza di clienti e la erogazione di colazioni o di pranzi per la pausa lavorativa: tali elementi avrebbero sicuramente indotto l’Ufficio a valutare diversamente la posizione del contribuente e ad adottare un atto di diverso contenuto a quest’ultimo più favorevole.

Consegue in definitiva la nullità dell’avviso impugnato per violazione dell’art. 24 della legge n. 4 del 1929 nella misura in cui prescrive che "Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale", stante l’insussistenza del processo verbale di constatazione a corredo dell’accertamento fiscale, e per violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 in tema di tutela del contraddittorio, e la conferma del dispositivo della sentenza di primo grado. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate a carico dell’Ufficio in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.

 

Respinge l’appello e conferma la sentenza di primo grado con diversa motivazione.

Spese del grado secondo soccombenza.