Giurisprudenza - TRIBUNALE DI BRESCIA - Ordinanza 08 febbraio 2016

Previdenza - Pensioni - Perequazione automatica per gli anni 2012-2013 e per gli anni 2014, 2015 e 2016 - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 25, novellato dall'art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2015, n. 109; legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)"), art. 1, comma 483.

 

Premesso in fatto che:

con ricorso depositato il 23 giugno 2014, il L. ha sollecitato la rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge 75 n. 201/2011, per contrasto con gli articoli 3, 36 comma 1, 38 comma 2, nonché con il combinato disposto degli art. 3, 36 e 38, Cost.. ed altresì della questione di legittimità costituzionale sulla base dei medesimi parametri dell'art. 1 comma 483 della legge 27 dicembre 2013 n. 147 al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del reiterato blocco della perequazione automatica della sua pensione che assumeva essere stato operato al di là di ogni canone di ragionevolezza e proporzionalità e per poter ottenere così la condanna dell'INPS a provvedere alla perequazione del suo trattamento pensionistico ex legge n. 388 del 23 dicembre 2000 art. 69 con decorrenza dal gennaio 2012 oltre interessi e rivalutazione monetaria sugli arretrati sino all'effettivo soddisfo;

che il L. ha riferito di essere stato assunto in data 4 ottobre 1956 dall'allora Credito Agrario Bresciano presso il quale aveva ininterrottamente lavorato sino alla data in cui era maturato il suo diritto alla pensione di anzianità e cioè sin al 1° giugno 1996;

che il trattamento pensionistico era stato dal 2002 pari ad € 3.990,35 e quindi per effetto di successive rivalutazioni e per accumulo di contributi versati nella gestione sperata INPS ad € 4.842,98 sino al 1° gennaio 2012 ;

che dal 1° gennaio 2012, a motivo della disposizione di legge di cui denunciava la incostituzionalità, non era stato rivalutato;

che dal gennaio 2014 aveva ricevuto in incremento di € 17,83 mensili pari al 40 per cento dell'incremento del costo della vita sui primi € 2.972,48 euro di pensione, a loro volta equivalenti a sei volte il trattamento minimo INPS e nessun incremento per la parte rimanente;

ritualmente instauratosi il contraddittorio, l'istituto convenuto ha domandato, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità del ricorso affermando di essersi limitato ad applicare la normativa vigente che il ricorrente reputava essere incostituzionale, ma in relazione alla quale non poteva chiedere la rimessione alla Corte costituzionale in quanto la stessa poteva pronunciarsi solo in via incidentale, e, nel merito, il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti stante l'inequivoco dettato legislativo;

con intervento adesivo dipendente l'Associazione sindacale indicata in epigrafe ha sostenuto la fondatezza della richiesta del ricorrente ed a sua volta ha insistito per la rimessione alla Corte costituzionale;

Osserva che è del tutto infondata (e persino poco comprensibile) l'eccezione preliminare sollevata dall'INPS circa l'inammissibilità del ricorso sul presupposto che il pensionato non avrebbe la possibilità di sollecitare la rimessione alla Corte costituzionale delle norme, se correttamente applicate dall'Istituto: al contrario proprio dalla circostanza che l'INPS ha applicato correttamente la vigente disciplina che, ad avviso della parte ricorrente sarebbe viziata di incostituzionalità, discende la necessita/opportunità di sottoporre la questione al giudice delle leggi una volta che il giudice di merito ne riconosca la non manifesta infondatezza e la rilevanza per la decisione che è chiamato a dare;

che va subito affermato che la questione sollevata nel presente giudizio è certamente rilevante in quanto il L. invoca la perequazione della sua pensione con la conseguente riliquidazione ed il pagamento di una differenza sul trattamento pensionistico pregresso che non gli può essere concessa né dall'INPS né da questo Giudice proprio in applicazione della normativa di cui si contesta la costituzionalità.

Tant'è vero che una delle due disposizioni di cui il ricorrente ha dubitato essere conformi a Costituzione è stata oggetto di pronuncia di incostituzionalità con la sentenza n. 70 del 2015 del 1° marzo 2015 (pubblicata in data 30 aprile 2015 nella Gazzetta Ufficiale) in fattispecie del tutto analoga;

che nelle more del giudizio non solo è intervenuta la citata pronuncia che avrebbe consentito al ricorrente di ottenere la perequazione per il biennio 2012-2013, bensì anche decreto-legge 21 maggio 2015 (convertito in legge 17 luglio 2015 n. 109) con il quale il legislatore ha modificato la norma questa volta inserendo un blocco di perequazione solo in relazione alle pensioni superiori a sei volte il complessivo trattamento minimo INPS, impedendo la perequazione della pensione del ricorrente (titolare di un trattamento superiore a sei volte il trattamento minimo) e riproponendo (seppure elevando il limite dei trattamenti da incidere) una norma che si presta alle medesime censure di quella ante modifica ed in relazione alla quale il L. ha chiesto comunque la rimessione alla Corte costituzionale;

che di conseguenza il ricorrente, titolare di una pensione di € 4.842,98 non si vedrà corrispondere nulla per il biennio 2012 e 2013 e per il periodo successivo e segnatamente per l'anno 2014 percepirà una perequazione parziale (sino all'importo corrispondente a sei volte il trattamento minimo INPS) estremamente ridotta;

che, ad avviso di questo giudice, inoltre, la questione appare non manifestamente infondata.

Com'è noto nella scelta del meccanismo perequativo da utilizzare, il legislatore gode di una certa discrezionalità, atteso che il combinato disposto dell'art. 36 e 38 Cost. impone il raggiungimento del fine (l'adeguamento delle pensioni all'incremento del costo della vita), senza imporre una particolare modalità attuativa del principio indicato.

E' stato correttamente osservato, nelle ordinanze di remissione dei giudici sulla norma in questione prima della modifica introdotta, che sebbene non esista un principio costituzionale che possa garantire l'adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell'attività di servizio corrispondente, il legislatore è tenuto ad individuare meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita.

Tale principio ha portato più volte la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimità di disposizioni che non contenevano alcuna previsione volta ad assicurare nel tempo la conservazione del valore delle prestazioni erogate.

In particolare proprio nella sentenza n. 70/2015 la Corte costituzionale ha nuovamente ribadito che "8. - Dall'analisi dell'evoluzione normativa in subiecta materia, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost. tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita tra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013).

Per le sue caratteristiche di neutralità e obiettività e per la sua strumentalità rispetto all'attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalità, sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario. Un tale intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalità che perseguono.

La ragionevolezza di tali finalità consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell'art. 3, secondo comma, Cost. così da evitare disparità di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici. Nell'applicare al trattamento di quiescenza, configurabile quale retribuzione differita, il criterio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36, primo comma, Cost.) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.), questa Corte ha tracciato un percorso coerente per il legislatore, con l'intento di inibire l'adozione di misure disomogenee e irragionevoli (fra le altre, sentenze n. 208 del 2014 e n. 316 del 2010. Il rispetto dei parametri citati si fa tanto più pressante per il legislatore, quanto più si allunga la speranza di vita e con essa l'aspettativa, diffusa fra quanti beneficiano di trattamenti pensionistici, a condurre un'esistenza libera e dignitosa, secondo il dettato dell'art. 36 Cost.

Non a caso fin dalla sentenza n. 26 del 1980, questa Corte ha proposto una lettura sistematica degli articoli 36 e 38 Cost., con la finalità di offrire "una particolare protezione per il lavoratore".

Essa ha affermato che proporzionalità e adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, "ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta", senza che ciò comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiché è riservata al legislatore una sfera di discrezionalità per l'attuazione, anche graduale, dei termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n. 106 del 1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del 1979; n. 176 del 1975; ordinanza n. 383 del 2004).

Nondimeno, dal canone dell'art. 36 Cost. "consegue l'esigenza di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo" (sentenza n. 501 del 1988; fra le altre, negli stessi termini, sentenza n. 30 del 2004).

Il legislatore, sulla base di ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali deve "dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona" (sentenza n. 316 del 2010). Per scongiurare il verificarsi di "un non sopportabile scostamento" fra l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il legislatore non può eludere il limite della ragionevolezza (sentenza n. 226 del 1993)" Omissis.

"Pertanto, il criterio di ragionevolezza, così come delineato dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti negli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive la discrezionalità del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali.

9. - Nel vagliare la dedotta illegittimità dell'azzeramento del meccanismo perequativo per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte il minimo INPS per l'anno 2008 (art. 1, comma 19 della già citata legge n. 247 del 2007), questa Corte ha ricostruito la ratio della norma censurata, consistente nell'esigenza di reperire risorse necessarie "a compensare l'eliminazione dell'innalzamento repentino a sessanta anni a decorrere dal 1° gennaio 2008, dell'età minima già prevista per l'accesso alla pensione di anzianità in base all'art. 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004, n. 243", con "lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle pensioni di anzianità, contestualmente adottati con l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge" (sentenza n. 316 del 2010).

In quell'occasione questa Corte non ha ritenuto che fossero stati violati i parametri di cui agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. Le pensioni incise per un solo anno dalla norma allora impugnata, di importo piuttosto elevato, presentavano "margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo".

L'esigenza di una rivalutazione costante del correlativo valore monetario è apparsa per esse meno pressante.

Questa Corte ha ritenuto, inoltre, non violato il principio di eguaglianza, poiché il blocco della perequazione automatica per l'anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d'importo di sicura rilevanza, realizzava "un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle, non incise dalla norma impugnata, dei titolari di pensioni più modeste". La previsione generale della perequazione automatica è definita da questa Corte "a regime", proprio perché "prevede una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta il valore della prestazione". La scelta del legislatore in quel caso era sostenuta da una ratio redistributiva del sacrificio imposto, a conferma di un principio solidaristico, che affianca l'introduzione di più rigorosi criteri di accesso al trattamento di quiescenza. Non si viola il principio di eguaglianza, proprio perché si muove dalla ricognizione di situazioni disomogenee.

La norma, allora oggetto d'impugnazione, ha anche superato le censure di palese irragionevolezza, poiché si è ritenuto che non vi fosse riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento ma solo rallentamento della dinamica perequativa delle pensioni di valore più cospicuo. Le esigenze di bilancio, affiancate al dovere di solidarietà, hanno fornito una giustificazione ragionevole alla soppressione della rivalutazione automatica annuale per i trattamenti di importo otto volte superiore al trattamento minimo INPS, "di sicura rilevanza", secondo questa Corte, e, quindi, meno esposte al rischio di inflazione.

La richiamata pronuncia ha inteso segnalare che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, "esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità", poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni. Omissis.

Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato.

10.- La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con "irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività" (sentenza n. 349 del 1985).

Ebbene la norma recentemente introdotta ha nuovamente escluso la perequazione per gli anni 2012 e 2013, per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore sino a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi (ved. lettera c) del comma 25 del decreto-legge n. 201/11 come novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65 del 2015 conv. con legge n. 109 del 17 luglio 2015).

In tal modo è stato reiterato il blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici per un biennio innalzandone la soglia e quindi in concreto contravvenendo proprio alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale e sopra analiticamente richiamate e ciò in quanto la somma corrispondente a sei volte il trattamento minimo INPS, cioè € 2972,58 non appare trattamento di sicura rilevanza come, invece, è stato riconosciuto essere il trattamento di importo "otto volte superiore al trattamento minimo INPS" dalla Corte costituzionale quando peraltro l'esclusione dalla perequazione di tali trattamenti era stato previsto con riferimento ad un solo anno (2008).

Attualmente quindi le pensioni di importo superiore a sei volte il trattamento minimo complessivo INPS sono integralmente escluse dalla perequazione per il biennio 2012 e 2013 ed, inoltre, sui trattamenti nuovamente non perequati si innesta la disciplina della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 per il triennio successivo 2014-2016 che ha previsto il blocco di perequazione per l'anno 2014 sulla parte di pensione superiore a sei volte il trattamento minimo complessivo INPS e lasciando la perequazione del 40% sull'importo inferiore (ma non sul trattamento complessivo bensì solo fino a sei volte l'importo del trattamento minimo, nulla essendo previsto per l'eccedenza) e ciò senza che il legislatore abbia ben specificato le esigenze finanziarie a fronte delle quali si impone tale sacrificio ai soggetti incisi né la destinazione dei risparmi così ottenuti.

Conclusivamente, ad avviso di questo giudice, in relazione alla novella introdotta dalla legge del 2015 ed in relazione alla legge n. 147/2013 con riferimento al blocco afferente l'anno 2014 si assumono violati:

a) il principio di cui all'art. 38 comma 2, Cost., perché la mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza;

b) il principio di cui all'art. 36 comma 1, Cost., poiché la mancata rivalutazione viola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l'attività lavorativa;

c) il principio derivante dal combinato disposto degli articoli 36, 38, 3 Cost., perché la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati a cui non viene garantito il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale.

Ancora una volta "risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art 38., secondo comma, Cost.). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost." (così sentenza n. 70 del 2015 Corte costituzionale).

Inoltre solo con riferimento alla modifica legislativa introdotta con la legge n. 109 del 17 luglio 2015 in relazione alla reiterazione del blocco della rivalutazione per le annualità 2012 e 2013 per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore sino a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi (ved. lettera c) del comma 25 del decreto-legge n. 201/11 come novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65 del 2015 conv. con legge n. 109 del 17 luglio 2015) si assume violato l'art. 136 Costituzione:

a) in quanto il decreto-legge n. 65/15 e la successiva legge di conversione hanno violato il giudicato costituzionale in quanto hanno, di fatto, riproposto il blocco della rivalutazione per il 2012/2013 già dichiarato incostituzionale semplicemente alzando la soglia e, nel caso concreto, facendo venir meno per il ricorrente il diritto appena riconosciutogli dalla Corte costituzionale stessa. Si ricorda, in proposito, che la Corte costituzionale sin dal 1963 e da ultimo nella sentenza n. 169 del 2015 richiamando il suo indirizzo precedente (sentenza n. 88 del 1966) ha evidenziato che l'art. 136 C. sarebbe violato "non solo ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia", ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, "anche se indirettamente, lo stesso risultato").

Principi, questi, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; n. 223 del 1983)".

 

P.Q.M.

 

Visti gli articoli 134 C. e 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge dell'11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 36 comma 1, 38 comma 2, Cost., nonché con il combinato disposto degli artt. 3, 36 e 38, Cost. e per contrasto con l'art. 136 C. la questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, come novellato dall'art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015 n. 65 convertito con modificazioni in legge 17 luglio 2015 n. 109 nella parte in cui prevede che "la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34 comma 1 della legge 23 dicembre 1998 n. 448 , relativo agli anni 2012 e 2013.

Omissis.

e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi."; ed altresì dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 36 comma 1, 38 comma 2, Cost., nonché con il combinato disposto degli artt. 3, 36 e 38, Cost. la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 483 della legge n. 143 del 27 dicembre 2013 nella parte in cui prevede che "Per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta: Omissis.

e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014, non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS."

Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art. 23 della legge dell'11 marzo 1953, n. 87 (ex articoli 1 e 2 del regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956);

Sospende il presente giudizio.

Manda alla cancelleria per ogni adempimento di competenza.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 05 ottobre 2016, n. 40