Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 febbraio 2018, n. 3196

Tributi - Imposta di registro - Agevolazioni fiscali in favore della piccola proprietà contadina - Condizioni - Revoca - Termine triennale

Fatti di causa

R.P. ha impugnato l'avviso di liquidazione emesso dal competente Ufficio finanziario, per il recupero della normale imposta di registro, a seguito di revoca dalle agevolazioni previste dalla L. n. 604 del 1954 in favore della piccola proprietà contadina, avuto riguardo al rogito di compravendita, registrato il 28/11/2005, atto con il quale il contribuente aveva acquistato, unitamente al fratello T, dal padre A, ciascuno per una quota pari alla metà dell'intero, la proprietà di alcuni terreni agricoli siti nel Comune di Bolzano.

A sostegno dell'originario ricorso deduceva la inesistenza, ovvero la nullità, della notificazione dell'avviso di liquidazione, la carenza di motivazione dell'atto impositivo in ordine alla mancata applicazione delle agevolazioni tributarie previste per i territori montani dal D.P.R. n. 601 del 1973, l'illegittimità della disposta revoca dell'agevolazione per la piccola proprietà contadina, l'inutilizzabilità in chiave antielusiva dell'atto di rettifica del 16/3/2006, con il quale era stata variata la misura delle quote di proprietà acquistate, e dei successivi atti di compravendita, questi ultimi stipulati con il fratello T., in forza dei quali venivano alla fine ripristinate le iniziali quote paritarie, che l'Ufficio sosteneva essere stati posti in essere per creare i presupposti per ottenere le più favorevoli agevolazioni tributarie previste per i territori montani.

Nei due gradi del giudizio di merito le Commissioni tributarie adite, dapprima accoglievano, e poi negavano il diritto vantato dal contribuente.

Il Giudice di appello, accogliendo il gravame erariale e respingendo quello incidentale del contribuente, osservava che la nullità della notificazione dell'avviso di liquidazione non può essere pronunciata stante l'effetto sanante della tempestiva presentazione dell'originario ricorso da parte del P., che l'atto di rettifica del 16/3/2006, nel quale si precisava che al contribuente era stata venduta una quota di proprietà pari ad un ottavo, essendo stati attribuiti i residui sette ottavi al fratello T., conteneva espressa rinuncia alle agevolazioni richieste con l'atto di compravendita registrato il 28/11/2005, e che il gravame incidentale conteneva la mera riproposizione delle medesime argomentazioni ritenute "completamente infondate (...) già dal Giudice di prime cure".

Ricorre per la cassazione della sentenza il contribuente con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati con memoria, cui resiste l'Agenzia delle Entrate con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo d'impugnazione il ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 112 c.p.c., ed al principio del doppio grado di giurisdizione, la nullità della sentenza, per avere il Giudice di appello omesso di pronunciarsi sui motivi d'impugnazione, rimasti assorbiti nella decisione di primo grado e riproposti col gravame incidentale, concernenti il difetto assoluto di motivazione dell'avviso di liquidazione, in relazione ai benefici per i territori montani, e la violazione del principio secondo cui, in presenza di operazioni elusive, deve essere ristabilita la situazione che sarebbe esistita senza tali operazioni.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5 e n. 3, c.p.c., omesso esame circa un fatto (inesistenza della notifica) decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 148, 156 c.p.c., 60, D.P.R. n. 600 del 1973, 7 e 14, L. n. 890 del 1982, per avere il Giudice di appello ritenuto sanato il vizio di nullità della notificazione dell'avviso impugnato, senza affrontare la questione della dedotta inesistenza della notificazione dell'atto impositivo, vizio che non ammette alcuna forma di sanatoria, pur difettando all'evidenza i requisiti minimi per essere la stessa qualificata come giuridicamente esistente, stante la necessità che l'agente notificatore attesti l'eseguita notificazione mediante relazione, da lui redatta e sottoscritta, apposta in calce all'originale o alle copie dell'atto.

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5 e n. 3, c.p.c., omesso esame circa un fatto (l'Agenzia delle Entrate era decaduta dal potere di accertamento prima dell'evento sanante) decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 160 c.p.c., 60, D.P.R. n. 600 del 1973, 14 L. n. 890 del 1982, per avere il Giudice di appello ritenuto sanato il vizio di nullità della notificazione dell'avviso impugnato senza considerare che l'atto era stato notificato in luogo diverso da quello di residenza del contribuente, a mani di persona non convivente, né addetta alla casa, e che allorquando (22/1/2009) il P. aveva presentato il ricorso introduttivo del giudizio, innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, il termine triennale di decadenza concernente l'esercizio del potere di accertamento dell'Ufficio era irrimediabilmente decorso, essendo stato l'atto di compravendita registrato il 28/11/2005, dovendosi quindi escludersi qualsivoglia effetto sanante.

Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5 e n. 3, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione del principio secondo cui, in presenza di operazioni elusive, deve essere stabilità la situazione che sarebbe esistita senza tali operazioni, nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 112 c.p.c., per avere il Giudice di appello ritenuto risolutiva la circostanza che nell'atto di rettifica del 16/3/2006 il contribuente aveva confermato la richiesta agevolazione per i territori montani e non quella per la piccola proprietà contadina, benché il P. si fosse limitato a dichiarare, in relazione a tale atto, che "non vengono più richieste le agevolazioni per la proprietà contadina", visto che le stesse erano già state applicate al momento della registrazione del rogito di compravendita registrato il 28/11/2005, agevolazioni poi revocate dall'Ufficio per carenza dei requisiti previsti dalla L. n. 604 del 1954.

Il primo motivo d'impugnazione è inammissibile per violazione del criterio dell'autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), correlato alla estraneità del giudizio di legittimità all'accertamento del fatto.

Il ricorrente assume di aver dichiarato nel rogito di compravendita registrato il 28/11/2005 di voler fruire delle agevolazioni tributarie previste per i territori montani, riferisce di aver consegnato all'Agenzia delle Entrate la certificazione provvisoria per usufruire delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina (cfr. ricorso per cassazione pag. 2), e si duole del fatto che sulla richiesta l'Ufficio non si è pronunciato, ma nel motivo di censura, per come formulato nel ricorso per cassazione, il contribuente omette di riportare il passo del documento contrattuale contenente siffatta richiesta, che controparte contesta (cfr. controricorso pag. 2), sicché senza l'esame di quel documento la comprensione e valutazione della doglianza risulta impossibile, dovendosi altrimenti procedere all'esame dei fascicoli d'ufficio e di parte, facoltà riconosciuta al giudice di legittimità soltanto ove sia denunciato un "error in procedendo".

Il secondo motivo d'impugnazione va disatteso perché, diversamente da quanto esposto dal ricorrente, la pronuncia della CT di secondo grado, nel ritenere la notifica dell'avviso di liquidazione oggetto di nullità suscettibile di sanatoria, si basa sul presupposto implicito che la relata, pur in bianco (cfr. ricorso per cassazione pag. 12), sia riferibile ad agente notificatore abilitato, e che l'atto sia stato consegnato a persona, A.P., padre del destinatario, abitante in appartamento che si trova nello stesso condominio in cui è posta l'abitazione del contribuente (cfr. ricorso per cassazione pagg. 15 e 16), e dunque a persona non priva di riferimento o collegamento con il destinatario dell'atto.

La decisione è, pertanto, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, in tema di notificazioni, secondo cui l'inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, tra cui, in particolare, i vizi relativi all'individuazione del luogo di esecuzione, nella categoria della nullità, sanabile con efficacia "ex tunc" per raggiungimento dello scopo (Cass. S.U. n. 14916/2016; n. 14917/2016; n. 21865/2016).

Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1360/2016), non sussiste il vizio di omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, allorché il giudicante abbia anche implicitamente pronunciato, rigettandola, sull'eccezione proposta dalla parte, nella fattispecie, quella reiterata dal contribuente come motivo dell'appello incidentale. Il terzo motivo d'impugnazione va disatteso perché il Giudice di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui la sanatoria di cui all'art. 156, comma 3, c.p.c., trova applicazione anche in relazione alla nullità della notifica di atti non processuali quali, appunto, gli atti impositivi dell'Amministrazione finanziaria, con l'unico limite che non sia intervenuta decadenza dall'esercizio del potere di impositivo (Cass. S.U. n. 19854/2004; n. 24962/2005; n. 2272/2011; n. 12007/2011; n. 8374/2014; n. 14601/2016; n. 17198/2017).

Alcuna decadenza si è nella specie verificata, avendo l'Agenzia delle Entrate notificato in data 27/11/2008 l'impugnato avviso di liquidazione, atto con il quale veniva revocata l'agevolazione, e l'art. 4, comma 3, L. n. 604 del 1954, dispone che "l'azione dell'Amministrazione finanziaria per il recupero delle imposte ordinarie si prescrive col decorso di tre anni dalla scadenza del termine stabilito dal comma precedente", termine che è quello di tre anni, a decorrere dalla registrazione dell'atto, entro cui l'interessato deve presentare all'ufficio del registro il certificato definitivo attestante che i requisiti richiesti sussistevano fin dal momento della stipula dell'atto medesimo (Cass. n. 25438/2015).

E' appena il caso di osservare che la parte ricorrente ha potuto far valere pienamente le proprie difese con l'impugnativa ritualmente proposta dinanzi alla CT di primo grado, così dimostrando di avere avuto piena conoscenza del contenuto dell'atto impugnato, sicché il vizio della notificazione non poteva essere dichiarato dal giudice per l'intervenuto raggiungimento dello scopo dell'atto fiscale, la cui validità dipende dall'esistenza dei requisiti stabiliti dalla legge d'imposta e non dalla ritualità della sua notificazione, che integra un atto distinto e successivo, esclusivamente finalizzato a portare a conoscenza del contribuente la pretesa impositiva.

Il quarto motivo d'impugnazione va disatteso perché è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.

Nella sentenza di appello viene riportato il passo dell'atto di rettifica del 16/3/2006 nel quale i fratelli P., comparsi innanzi al notaio F., dichiarano che "non vengono più richieste le agevolazioni riguardanti la proprietà contadina" e si censura la decisione della Commissione Tributaria di secondo grado sotto il profilo del vizio di motivazione, risiedendo la ragione della revoca del domandato beneficio per la piccola proprietà contadina, di cui alla L. n. 604 del 1954, nella circostanza che il contribuente "non disponeva dei requisiti previsti dalla Legge" (cfr. ricorso per cassazione pag. 49), e non già nella rinuncia formulata nell'atto di rettifica del 16/3/2006.

La nuova formulazione del vizio di legittimità, introdotta dall'art. 54, co. 1, lett. b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012 (recante "Misure urgenti per la crescita del Paese"), che ha sostituito il n. 5 del comma dell'art. 360 c.p.c. (con riferimento alle impugnazioni - come quella in esame - proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell'11 settembre 2012), ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". Ne consegue che, al di fuori dell'indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost. ed individuato "in negativo" dalla consolidata giurisprudenza della Corte - formatasi in materia di ricorso straordinario - in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità" (Cass. n. 23940/2017).

Laddove, pertanto, non si contesti la inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un "fatto storico" controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia "decisivo" ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali - acquisiti al rilevante probatorio - ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. S. U. n. 8053/2014; Cass. S. U. n. 19881/2014; Cass. n. 11892/2016).

Orbene, non è dato comprende quale sia il "fatto storico" trascurato che, ove valutato, avrebbe comportato una decisione diversa su uno dei fatti costitutivi della domanda del contribuente, considerato che lo stesso ricorrente ha dedotto (cfr. ricorso per cassazione pag. 3) di aver consegnato solo in data 22/1/2009, all'Agenzia delle Entrate, la certificazione definitiva dell'Ufficio Provinciale Proprietà coltivatrice, circostanza di per sé sufficiente per escludere la spettanza delle agevolazioni, essendo inutilmente decorso il termine - decorrente dalla data (28/11/2005) di registrazione dell'atto - concesso al contribuente per la presentazione del certificato definitivo ed il P., come già detto, riferisce di aver consegnato all'Agenzia delle Entrate, al momento della registrazione, la certificazione provvisoria.

Ed infatti, ai sensi della L. n. 604 del 1954, art. 3, l'acquirente, i permutanti e l'enfiteuta devono produrre, a pena di decadenza dal beneficio, al momento della registrazione dell'atto lo stato di famiglia ed un certificato dell'ispettorato  provinciale agrario che attesti la sussistenza dei requisiti di cui ai n. 1, 2, 3 dell'art. 2 della L. n. 604 del 1954, ovvero una attestazione provvisoria della pendenza degli accertamenti per il rilascio e, in questo caso, l'interessato è tenuto a presentare entro il termine perentorio di tre anni il certificato definitivo, senza il quale sono dovute le normali imposte di registro ed ipotecarie; il correlato disposto dell'art. 4, comma 3, dispone che "l'azione dell'Amministrazione finanziaria per il recupero delle imposte ordinarie si prescrive col decorso di tre anni dalla scadenza del termine stabilito dal comma precedente.

Quanto alla questione concernente la dedotta violazione del principio secondo cui, in presenza di operazioni elusive, deve essere ristabilita la situazione che sarebbe esistita senza tali operazioni, è appena il caso di osservare che il Giudice di appello ha ritenuto fondata la pretesa erariale sotto un profilo diverso da quello involgente l'attività riqualificatoria, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dell'atto presentato per la registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20).

Giova, infine, considerare che il ricorrente, con la memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., ha sollecitato alla Corte la liquidazione delle spese della procedura inibitoria, allegando che la Commissione tributaria di secondo grado, in accoglimento dell'istanza del contribuente, con ordinanza in data 8/3/2013 ha disposto la sospensione della sentenza di appello impugnata con ricorso per cassazione, subordinandola, al fine di garantire le aspettative dell'erario per l'ipotesi di reiezione di tale ricorso, alla prestazione di fidejussione bancaria, come da documentazione versata in atti.

Orbene, l'ordinanza in questione, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, non costituisce un provvedimento abnorme, ma va considerata legittima, anche in riferimento alla normativa anteriore al 2016, e ciò "in linea con varie pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 217 del 2010; ordinanza n. 254 e sentenza n. 109 del 2012; ordinanza n. 25 del 2014) che hanno prospettato la possibilità di interpretare il comma 1 dell'art. 49 del D.Lgs. n. 546 del 1992 nel senso che esso non impedisce al giudice di sospendere l'esecuzione delle sentenze tributarie d'appello ai sensi dell'art. 373 c.p.c." (Cass. n. 15004/2017), per cui è applicabile nella esaminata fattispecie - non regolata dall'art. 62-bis, D.Lgs. n. 546 del 1992 - il principio secondo cui "Al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all'art. 373 c.p.c., primo comma, secondo periodo, giusta la quale il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione" (Cass. n. 2845 del 2012). Il legislatore, infatti, proprio prendendo atto di tale orientamento giurisprudenziale ha introdotto, a far data dal 10 gennaio 2016, il sopra citato art. 62-bis, D.Lgs. n. 546 del 1992, "che espressamente consente la sospensione dell'esecuzione della sentenza d'appello nel processo tributario, in modo analogo (anche se non identico) a quello previsto dall'art. 373 c. p. c." . (Cass. n. 15004/2017 citata).

Va osservato, inoltre, che la liquidazione delle spese della procedura inibitoria è effettuata dalla Corte di Cassazione, posto che solo all'esito del giudizio di legittimità è possibile accertare l'effettiva soccombenza di una delle parti (Cass. n. 17584/2005; n. 16/2004; n. 7520/2001; vedi più di recente Cass. n. 19544/2015; n. 7248/2009), e che pertanto l'istanza del ricorrente non può trovare accoglimento.

Alla reiezione del ricorso segue, secondo soccombenza, la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, liquidate in complessi Euro 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — Legge di stabilità 2013), dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.