Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 febbraio 2018, n. 3217

Pubblico impiego - Avvocati dipendenti dell'Inps - Calcolo dei trattamenti di previdenza integrativa e di quiescenza - Media degli onorari percepiti nell'ultimo triennio antecedente al collocamento in quiescenza

 

Fatti di causa

 

Si tratta di decidere se ai fini del calcolo dei trattamenti di previdenza integrativa e di quiescenza fruibili da parte degli avvocati dipendenti dell'Inps debba farsi riferimento alla quota onorari percepita durante l'ultimo anno di servizio ovvero a quella risultante dalla media degli onorari percepiti nell'ultimo triennio antecedente al collocamento in quiescenza.

Il Tribunale di Catania, pronunciando sul ricorso proposto da L.P.A. nei confronti dell'Inps, accolse la domanda volta alla condanna dell'ente di previdenza alla riliquidazione della pensione integrativa e dell'indennità di buonuscita attraverso l'inserimento nella base contributiva della quota mensile degli onorari percepiti negli ultimi dodici mesi.

La Corte d'appello di Catania (sentenza pubblicata il 22.6.2011), investita dall'impugnazione dell'Inps, riformò parzialmente la gravata decisione limitatamente al pagamento degli accessori di legge, stabilendo che gli interessi legali erano dovuti solo dal primo giorno del secondo mese successivo alla cessazione dal servizio, per quel che concerneva la pensione, e dal centoventesimo giorno dalla cessazione dal servizio, per quel che riguardava l'indennità di buonuscita.

Per la cassazione della sentenza ricorre l'Inps con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso L.P.A..

 

Ragioni della decisione

 

1. Col primo motivo l'Inps denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 14 della legge 20 marzo 1975 n. 70, dell'art. 2121 cod. civ., dell'art. 2129 cod. civ., degli artt. 5, 27 e 34 del Regolamento di previdenza e di quiescenza del personale dell'Inps, nonché dell'art. 30, comma 2, del D.P.R. n. 411/1976, il tutto in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.

In pratica, l'Inps contesta quanto affermato dalla Corte d'appello di Catania secondo la quale l'unico criterio che può ricavarsi dal regolamento relativamente al calcolo della quota onorari sulla quale commisurare il trattamento di previdenza e quiescenza è quello della retribuzione fissa e continuativa degli ultimi dodici mesi. Obietta, invece, la difesa del ricorrente che il criterio corretto è quello adottato nella delibera n. 99/1982 del Consiglio di amministrazione dell'istituto che, in ossequio alla sentenza del Consiglio di Stato n. 120/1980, fa riferimento alla media degli importi erogati nel triennio precedente alla cessazione dal servizio.

Invero, si fa osservare, da parte ricorrente, che il Consiglio di Stato, nella successiva decisione n. 78/1982, oltre a sancire la rilevanza ai fini della quiescenza della quota degli onorari, ha chiarito che il metodo pratico da seguire ai fini della determinazione dei trattamenti in esame è quello della media degli ultimi tre anni, secondo quanto stabilito dall'art. 2121 cod. civ. Inoltre, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2181/1986, ha avallato la legittimità della modalità di determinazione della quota onorari all'interno del complessivo trattamento pensionistico e di fine rapporto come operata dal Consiglio di amministrazione dell'Inps con la delibera del 30.4.1982, in quanto il riferimento alla media rapportata a mese delle quote di onorari erogate nell'ultimo triennio risulta coerente con la regola generale rinvenibile per analogia nell'art. 2121 cod. civ., essendo tali onorari assimilabili ai premi di produzione o alle partecipazioni agli utili disciplinati da tale norma codicistica. La difesa dell'ente evidenzia, inoltre, che nella pronunzia n. 7280 del 2003 il Consiglio di Stato aveva, peraltro, sottolineato la ragionevolezza del criterio che prende a riferimento gli ultimi tre anni, anziché l'ultimo anno, del rapporto lavorativo, in considerazione della compensazione, nel più ampio arco temporale di riferimento, di oscillazioni dovute al carattere variabile dell'emolumento, così come nella sentenza n. 2181 del 2006 dello stesso giudice amministrativo si è chiarito che il riferimento degli artt. 27 e 34 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale dell'Inps all'ultima retribuzione spettante al dipendente non esclude affatto che la base di calcolo possa essere variabile e, quindi, che la quota onorari spettante sia quella individuata, con criterio logico, in base alla media dell'ultimo triennio. Al riguardo, il ricorrente rileva che la Corte d'appello di Catania, nel richiamare il principio di sussidiarietà, non menziona alcuna norma speciale che dovrebbe assumersi a parametro per la valutazione della fattispecie ed a preferenza di quella dettata dal codice civile; nel contempo la stessa difesa fa notare che la normativa speciale del Regolamento detta norme specifiche per il calcolo della base quiescibile relativamente alla pensione diretta, ma nulla dispone per quanto riguarda la modalità di calcolo della quota onorari, per cui, in assenza di una specifica disciplina di calcolo, la normativa regolamentare deve ritenersi supplita, contrariamente a quanto ritenuto nell'impugnata sentenza, dal ricorso al criterio generale di cui all'art. 2121, comma 2, cod. civ.

2. Col secondo motivo l'Inps deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1372 e 2123 cod. civ., dolendosi della parte della sentenza impugnata nella quale è stata disapplicata la disciplina negoziale contenuta nella delibera dell'ente n. 99/1982. Al riguardo si fa osservare che a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, il Regolamento aveva perduto la sua originaria natura di atto amministrativo per assumere, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3, la qualità di atto negoziale di natura privatistica quale contratto normativo da collocare nell’ambito degli atti di previdenza volontaria ed operando, quindi, con l'efficacia propria del contratto al pari di ogni altro atto di gestione del rapporto di lavoro; con la conseguenza che l'individuazione del criterio di computo triennale, a suo tempo adottato dall'Istituto, doveva considerarsi non solo applicazione dei criterio normativamente previsto dall'art. 2121 c.c., ma altresì quale atto di autonomia privata, essendo stata recepita nel contratto individuale di lavoro dei dipendenti.

3. Col terzo motivo, proposto per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., l'Inps pone in evidenza che la Corte di merito omette di riferire quale sarebbe stata la disciplina speciale in concreto applicabile, limitandosi ad esprimere un principio generale senza allegare i concreti presupposti e senza menzionare le norme di settore che renderebbero operativo il disposto di cui all'art. 2129 cod. civ. in forza del principio di sussidiarietà, con conseguente carenza del percorso logico seguito nel pervenire alla decisione impugnata. Il ricorrente lamenta, inoltre, l’inconferenza dei richiami effettuati alla giurisprudenza di questa Corte in tema di lavoro straordinario, assumendo che la natura propria della quota onorari è quella di provvigione o, in senso, lato, di partecipazione agli utili che derivano dalla riscossione delle eventuali e imprevedibili spese di lite liquidate nei vari giudizi, o comunque ad esse assimilabile, non trattandosi di una voce fissa e continuativa dello stipendio degli avvocati dell’Inps, ma piuttosto di un elemento incerto nell'an e nel quantum.

4. Con riferimento al primo motivo del ricorso, si osserva che in relazione all'individuazione della normativa applicabile agli istituti (pensione integrativa - indennità di buonuscita) oggetto della domanda di riliquidazione va considerato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno differenziato la disciplina dei due istituti rilevando che l'esame del tenore delle disposizioni della legge n. 70 del 1975 evidenzia chiaramente che il legislatore, rispettivamente con gli artt. 13 e 14 di quest'ultima legge, ha valutato in maniera differente le discipline dei regolamenti dei singoli enti in materia, da un lato, di trattamento di quiescenza o fine rapporto e, dall'altro, di trattamenti integrativi di previdenza.

L'art. 14 ha infatti previsto, al comma 2, la conservazione dei fondi integrativi di previdenza in favore dei soli dipendenti già in servizio o già cessati dal servizio, mentre l'art. 13 ha previsto l'indennità di anzianità nella misura specificata nel comma 1 ("All'atto della cessazione dal servizio spetta al personale una indennità di anzianità, a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento, qualunque sia il numero di mensilità in cui esso è ripartito, quanti sono gli anni di servizio prestato").

In particolare, con la sentenza n. 7158/2010 (conf. Cass., n. 4749/2011), le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio: "In tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio; il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari ... e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell'Inail, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo".

5. Tale principio, applicabile per identità dei presupposti, anche al Regolamento dell'Inps, impone di riconoscere l'insussistenza - siccome abrogata in parte qua - della normativa regolamentare (in particolare l'art. 5 del Regolamento, nel testo conseguente alla sentenza del Consiglio di Stato n. 120/80).

Per ciò che invece attiene alla pensione integrativa, pure disciplinata dal medesimo Regolamento, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 7154/2010, hanno enunciato i seguenti principi: "In tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell'Inps, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell'ente, adottato con delibera del 12 giugno 1970 e successivamente modificato con deliberazione del 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall'ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l'espressa inclusione; non osta che l'elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto".

Tra l'altro, la quota onorari è stata riconosciuta ai funzionari Inps del ruolo professionale, effettivamente svolgenti attività legale, con l'art. 30 dell'accordo collettivo approvato con D.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, giusta la previsione normativa di cui alla L. n. 70 del 1975, art. 26, comma 4 - Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente ("Gli accordi sindacali prevederanno la misura percentuale della partecipazione degli appartenenti al ruolo professionale, per l'attività da essi svolta, alle competenze e agli onorari giudizialmente liquidati a favore dell'ente").

L'art. 5 del Regolamento (deliberazioni del 12.6.1970 e del 18.3.1971), prevedeva che "Agli effetti del presente Regolamento si intende per retribuzione la somma delle seguenti competenze: lo stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue; eventuali assegni ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia, che siano riconosciuti utili ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza con delibera del Consiglio di amministrazione approvata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale di concerto con quello del Tesoro".

6. Con la sentenza n. 120/1980 del 29.1.1980 il Consiglio di Stato ha, però, annullato tale disposizione "nella parte in cui subordina a delibera del consiglio di amministrazione, la selezione degli elementi utili agli effetti dei trattamenti di fine rapporto (indennità di buonuscita e pensione)", dichiarando che: "L'art. 5 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale dell'Inps, nella parte in cui subordina a deliberazione del consiglio di amministrazione dell'ente l'utilità degli assegni e delle altre competenze ivi indicati ai fini del trattamento anzidetto, confligge irrimediabilmente con la sostanzialità dell'indagine circa il carattere che tali competenze devono avere, ai sensi dell'art. 2121 cod. civ. e dei principi generali della materia, i quali prevedono che l'utilità di un certo assegno o competenza ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza derivi ex se dalle intrinseche ed obbiettive caratteristiche dell'emolumento in relazione alla normazione legislativa primaria, senza essere subordinata alla emanazione di un provvedimento dell’ente pubblico interessato"; "La quota di onorari spettanti agli avvocati e procuratori che prestano servizio alle dipendenze di enti pubblici ha carattere di elemento integrativo dello stipendio".

Pertanto, in base all'art. 5 del Regolamento, a seguito della decisione del Consiglio di Stato n. 120/80, per retribuzione si intende la somma dello "stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue" e di "eventuali assegni personali ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia"; connessi a tale previsione risultano gli artt. 27 (in tema di pensione integrativa) e 34 (in tema di indennità di buonuscita, denominata trattamento di quiescenza), che fanno rispettivamente riferimento all'ultima retribuzione spettante" e all’ "ultima retribuzione annua spettante".

7. Successive pronunce del Consiglio di Stato confermarono che, secondo i principi desumibili dall'art. 2121 c.c., la quota di onorari spettanti agli avvocati e procuratori che prestano servizio alle dipendenze di enti pubblici aveva carattere di elemento integrativo dello stipendio e che andava pertanto computata nella determinazione dei trattamenti di quiescenza (indennità di buonuscita) e di previdenza (pensione del fondo speciale) dei dipendenti dell’Inps, in applicazione del ricordato art. 5 del Regolamento, "che include nel concetto di retribuzione tutti gli assegni che, a prescindere dalla loro variabilità, costituiscono la retribuzione normale della prestazione lavorativa" (cfr., ex plurimis, C.d.S, nn. 531/81; 78/82).

Con la ricordata sentenza n. 120/1980 il Consiglio di Stato aveva altresì indicato il metodo da seguire per il calcolo delle quote degli onorari da prendere in considerazione, facendo riferimento al criterio di cui all'art. 2121 cod. civ. (nel testo allora vigente) e, quindi, alla media di tali emolumenti degli ultimi tre anni. Con Delibera 30 aprile 1982, n. 99, avente ad oggetto la "Computabilità degli onorari legali agli effetti del trattamento di previdenza e quiescenza", il Consiglio di Amministrazione dell'Inps, richiamate le ricordate sentenze amministrative, deliberò, per quanto qui specificamente rileva, che: 1) "...la quota di onorari corrisposta ai funzionati del ruolo professionale - ramo legale è compresa nella "retribuzione" di cui all'art. 5 del vigente Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza, nel testo risultante a seguito dell'annullamento parziale disposto con la richiamata decisione n. 120 del 29 gennaio 1980"; 2) "Ai fini dell'attuazione di quanto stabilito al precedente punto 1, per la determinazione dei trattamenti previsti dal Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza e dei valori di riscatto, la quota di onorari legali è computata sulla base dell'importo mensile ottenuto rapportando a mese la media degli importi erogati nel triennio precedente la cessazione del servizio o la data di domanda di riscatto".

8. Deve allora convenirsi che legittimamente l'Inps ha tenuto conto di quanto previsto dalla suddetta delibera, stante la sua portata integrativa delle disposizioni regolamentari, che ne restano modificate in conformità.

D'altronde, è proprio grazie all’avvenuta emanazione di tale delibera - per quanto modificativa del Regolamento - che l'Inps ha potuto tener conto ai fini della liquidazione della pensione integrativa della quota onorari.

Da ultimo la Sezione lavoro di questa Corte (Sez. lav. n. 3775 del 9.3.2012) si è espressa nel senso che "in tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell'INPS, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell'ente, adottato con delibera del 12 giugno 1970 e successivamente modificato con deliberazione del 30 aprile 1982 del consiglio di amministrazione dell'ente, la quota di onorari corrisposta ai funzionari del ruolo professionale, ramo legale, è compresa nella retribuzione di riferimento ed è computata sulla base dell'importo mensile ottenuto rapportando a mese la media degli importi erogati nel triennio precedente la cessazione del servizio o la data della domanda di riscatto. Difatti, la delibera menzionata, la cui esecutività è conforme all'art. 8, comma 1, della legge 9 marzo 1989 n. 88, dev'essere riconosciuta idonea a integrare le citate disposizioni regolamentari, posto che la previsione di cui all'art. 14 della legge 20 marzo 1975 n. 70, di conservazione dei fondi integrativi previdenziali come quello istituito presso l'INPS, sta a indicare che detti fondi non avrebbero potuto essere soppressi o modificati in modo da sovvertirne il contenuto, ma non può essere letta, in assenza di specifiche disposizioni in tal senso, come impeditiva a qualsivoglia intervento, modificativo o integrativo, inerente ad aspetti applicativi delle norme regolamentari esistenti." (in senso conf. v. Sez. lav. n. 23619 del 18.11.2015)

9. Pertanto, in conformità a tale preciso orientamento, si ritiene che il primo motivo del ricorso è fondato e che va accolto, mentre rimane assorbito l'esame dei restanti motivi. Conseguentemente l'impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d'appello di Catania che, in diversa composizione, si atterrà ai suddetti principi e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Catania in diversa composizione.