Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 febbraio 2018, n. 2828

Pubblico impiego - Enti locali - Direttore generale - Diritto alla "indennità di buonuscita"

 

Fatti di causa

 

1. D.A. agiva per il riconoscimento del diritto all'emolumento denominato "indennità di buonuscita", previsto dall'art. 6, comma 4, dei contratti individuali di lavoro stipulati con il Comune di Pescara in data 25 settembre 2003 e 22 maggio 2008, con i quali era stato conferito al ricorrente l'incarico di Direttore Generale. In entrambi i contratti era presente la clausola secondo cui, alla data di cessazione del rapporto, alla scadenza prevista dall'art. 1 dei medesimi contratti, sarebbe spettata al Direttore Generale un'indennità di buonuscita in misura pari ad un dodicesimo del compenso previsto dall'art. 3 per ogni anno o frazione superiore a sei mesi di servizio prestato.

2. Il Tribunale di Pescara, in accoglimento della domanda, condannava il Comune convenuto a corrispondere al ricorrente la complessiva somma di Euro 67.837,61 per il titolo rivendicato, in relazione all'incarico di Direttore Generale ricoperto nel periodo 15 settembre 2003-5 febbraio 2009, oltre interessi legali.

3. La Corte di appello dell'Aquila respingeva l'appello proposto dall'Ente locale e confermava la pronuncia di primo grado, sulla base - in sintesi - delle seguenti considerazioni:

- tale indennità, al di là del nomen utilizzato dalla parti contraenti, costituisce un compenso aggiuntivo, determinato in modo convenzionale; essa è del tutto compatibile con le prestazioni a carico dell'Inpdap; pertanto, è errato l'assunto del Comune di Pescara secondo cui tale l'indennità sarebbe spettata al ricorrente soltanto alla data di cessazione dal servizio, ai sensi del d.P.R. 1032 del 1973;

- non può indurre ad una soluzione diversa la norma di cui al comma 2 dell'art. 6, avente oggetto la clausola di recesso in caso di cessazione anticipata del mandato del sindaco, poiché la mancata riproposizione di tale clausola nel contratto del 2008 costituisce espressione di una consapevole rivalutazione che le parti contraenti avevano effettuato circa gli interessi sottesi alla fattispecie negoziale e comunque essa non interferisce con la qualificazioni dell'indennità in questione come distinta da quella, di natura previdenziale, regolata dall 'art. 3 dei contratti individuali;

- neppure rileva l'obiezione di nullità della clausola in quanto prevedente un corrispettivo per un'attività lavorativa non svolta dal dipendente: la ratio della previsione va rinvenuta nella natura dell'incarico, di indubbia complessità, sotto il profilo delle relative responsabilità e al contempo connotata dalla temporaneità;

- infine, è da rilevare che il conferimento dell'incarico era avvenuto in base a provvedimenti della Giunta comunale dichiarati esecutivi ai sensi dell'art. 134 D. Lgs. n. 267 del 2000, con apposizione del prescritto visto di regolarità contabile di cui al successivo art. 151.

4. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Pescara ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Resiste D.A. con controricorso.

5. Il Comune di Pescara ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il Comune di Pescara, dopo avere trascritto il contenuto dei due contratti individuali di lavoro stipulati con il D. nel 2003 e nel 2008, espone che il rapporto lavorativo si protrasse sino al 5 maggio 2009, quando cessò in dipendenza delle dimissioni presentate dal Sindaco in carica, ristretto agli arresti domiciliari per provvedimento dell'autorità giudiziaria, con conseguente anticipato scioglimento del Consiglio Comunale onde far luogo a nuove elezioni, cosicché il D. riprese servizio presso la Prefettura di Bologna avanzando contestualmente la richiesta tesa a ottenere l'indennità di cui all'art. 6, comma 3 del contratto individuale di lavoro. Tanto premesso, l'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di interpretare la casistica prevista in caso di cessazione del rapporto di lavoro instaurato dal Direttore Generale, atteso che l'art. 6, al primo comma, disciplina l'esercizio della facoltà di revoca da parte del sindaco del rapporto fiduciario, mentre al terzo comma prevede la corrispondente facoltà di recesso dell'incaricato e, al quarto comma, contempla l'ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto. Rileva che, nel primo contratto, stipulato il 25 settembre 2003, era stata inserita una clausola (il secondo comma) che si riferiva all'ipotesi della cessazione anticipata del mandato del sindaco, riconoscendo al Direttore generale, in tale eventualità, il diritto all'indennità correlata al tempo residuo per il quale il rapporto lavorativo avrebbe dovuto continuare; in tal caso, sarebbe spettata al Direttore Generale un'indennità pari ad una mensilità per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi residuale rispetto alla scadenza del contratto prevista dall'art. 1 del medesimo contratto; al sesto comma, invece, si riconosceva il diritto del Direttore Generale a conseguire l'indennità di buonuscita allorquando il rapporto fosse proseguito sino alla scadenza naturale.

Soggiunge l'Ente ricorrente che la clausola di cui al secondo comma era stata soppressa in sede di stipulazione del secondo contratto individuale, avvenuta il 22 maggio 2008, e che di conseguenza il D. non poteva reclamare l'indennità connessa all'anticipata risoluzione del rapporto avvenuta per fatto oggettivo (cessazione del mandato elettorale del sindaco prima della scadenza naturale del contratto), mentre l'ultimo comma dell'art. 6 aveva continuato a riguardare l'ipotesi dell'incarico giunto a scadenza per fine mandato elettorale, tant'è che l'indennità ivi prevista era denominata "di buonuscita", a differenza di quella di cui al comma 2 del precedente contratto individuale, commisurata al lasso temporale in relazione al quale si era verificata l'impossibilità di continuare a rendere la prestazione.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 108 e 110 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (Testo Unico sulle leggi dell'ordinamento degli enti locali). Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme imperative contenute nell'art. 2 Legge n. 335 del 1995, dell'art. 157 dell'Accordo quadro nazionale in materia di trattamento di fine rapporto di previdenza complementare dei dipendenti pubblici del 29 luglio 1999, dell'art. 1 DPCM del dicembre 1999 relativo al trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione di pubblici dipendenti, nonché omesso rilievo della nullità della clausola di cui all'ultimo comma art. 6 dei contratti di lavoro stipulati 25 settembre 2003 e 2 maggio 2008, ai sensi degli articoli 1346, 1418 e 1419 c.c., ove interpretata come attributiva di un elemento retributivo ulteriore rispetto al compenso, determinato in misura complessiva, spettante al Direttore Generale nei termini regolati dall'art. 3 dei contratti individuali.

3. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1418, secondo comma, 1325 c.c. ovvero art. 1347 c.c. poiché, nei termini di cui all'interpretazione offerta dalla Corte territoriale, si sarebbe in presenza di un'erogazione priva di giustificazione causale e perciò tale da imporre una prestazione illecita a carico della Pubblica Amministrazione, in violazione dei principi costituzionali di buon andamento, efficienza e trasparenza della Pubblica Amministrazione.

4. Con il quinto punto, non avente ad oggetto un motivo di gravame, si denuncia carenza di fondamento della domanda giudiziale formulata in via subordinata in primo grado, volta al risarcimento del danno, il cui esame era rimasto assorbito nell'accoglimento della domanda principale.

5. Merita accoglimento il primo motivo, restando assorbito nel relativo accoglimento l'esame dei restanti.

6. La Corte di appello si è soffermata sull'interpretazione della relazione tra la regolamentazione contenuta nell'art. 3 dei contratti individuali, che disciplina il trattamento economico spettante al Direttore Generale (commi 1, 2 e 3) e il trattamento previdenziale ed assistenziale (comma 4), e quella contenuta nell'art. 6, che regola invece la facoltà di "revoca e recesso", nel cui contesto è disciplinata l'indennità di buonuscita" (comma 4), rivendicata dall'attuale resistente. La natura retributiva attribuita all'emolumento in questione lascia impregiudicata la questione relativa all'interpretazione sistematica tra le diverse clausole anche in relazione alla corretta individuazione dei presupposti giustificativi delle singole erogazioni, una volta ritenuto il carattere retributivo e non previdenziale delle indennità previste dall'art. 6.

7. In punto di fatto, risulta per implicito dalla sentenza (ma la circostanza è pacifica tra le parti) che l'incarico di Direttore Generale ebbe a cessare anticipatamente rispetto alla sua scadenza naturale, che era fissata, ai sensi dell'art. 1 di entrambi contratti individuali, alla "scadenza del mandato del Sindaco" e tale anticipata risoluzione avvenne a motivo delle dimissioni rassegnate dal Sindaco, colpito da provvedimento restrittivo della libertà personale. Atteso che nel primo contratto tale fattispecie era stata precisamente disciplinata dal comma 2 dell'art. 6, che contemplava una erogazione ad hoc commisurata al tempo residuo rispetto alla scadenza naturale del contratto, a sua volta stabilita in coincidenza con la scadenza del mandato del Sindaco, non appare supportata da una interpretazione logica, né sistematica l'opzione interpretativa che, a fronte della eliminazione di tale clausola (secondo comma dell'art. 6) ad opera del secondo contratto (stipulato nel 2008), ha ricondotto sic et simpliciter la fattispecie concreta all'ipotesi di cui al quarto comma dell'art. 6, che già in precedenza prevedeva l'erogazione della speciale "indennità di buonuscita" al completamento dell'incarico, giunto alla sua naturale scadenza, ossia la correlava "alla data di cessazione del rapporto alla scadenza prevista dall'art. 1" del contratto.

8. L'interpretazione offerta lascia altresì priva di giustificazione causale un'erogazione aggiuntiva rispetto al trattamento economico omnicomprensivo regolato dai primi tre commi dell'art. 3 del contratto individuale, non chiarendo neppure se, nell'intenzione delle parti, l'erogazione di cui si discute abbia natura premiale in ragione della permanenza nel tempo del vincolo fiduciario, oppure carattere risarcitorio in ragione della cessazione anticipata dell'incarico.

9. Alla luce del principio enunciato dall'art. 1363 c.c., il giudice non può, nella interpretazione dei contratti arrestarsi ad una considerazione "atomistica" delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del "senso letterale delle parole", poiché anche questo va necessariamente riferito all'intero testo della dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza (Cass. n. 8876 del 2006); la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell'ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare "ex post" le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili (Cass. n. 9755 del 2011). Per contro, il ricorso al criterio del comportamento "complessivo" delle parti, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, c.c.., è possibile solo quando quelli letterale e del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino inadeguati all'accertamento della comune volontà delle parti (Cass. n. 16022 del 2002, n. 17879 del 2003, n. 12477 del 2004).

10. In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma, designato quale giudice di rinvio, per riesame delle disposizioni contenute nei due contratti stipulati inter partes. Il Giudice del rinvio dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio di Cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, anche per le spese.