Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 febbraio 2018, n. 3321

Pensione di anzianità - Riliquidazione - Principio del pro-rata ex art. 42, co. 3, L. n. 289/2002 - Dirigenti ancora iscritti all'Inpdai alla data della soppressione dell'Ente - Applicazione integrale delle regole dell'AGO - Non sussiste

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di accoglimento della domanda di G.P.F. di riliquidazione della pensione di anzianità con i criteri previsti dall'AGO ritenendo non applicabile il principio del cosiddetto pro rata, previsto dall'art. 42, 3° comma, L. n. 289/2002 e riservato ai dirigenti ancora iscritti all'Inpdai alla data della soppressione dell'ente.

La Corte ha precisato che il F. vantava contribuzione all'Inps dal 1967 al 1980, all'Inpdai dal 1981 al 2000 quale dirigente del settore industria, e infine di contribuzione Inps dal 2000 al 2006 quale dirigente del settore terziario; che l'Inps gli aveva liquidato la pensione applicando l'art. 42 L. n. 289/2002 ed il principio del pro rata calcolando una quota determinata sulla base dell'anzianità contributiva Inpdai ed una sulla base dell'anzianità contributiva Inps e che l'Istituto aveva fatto riferimento, relativamente alla quota Inpdai, alla retribuzione degli ultimi 5 e 10 anni di lavoro svolto in costanza di assicurazione Inpdai.

Secondo la Corte la pensione avrebbe dovuto essere calcolata in applicazione integrale delle regole dell'AGO, considerando i due periodi contributivi come fossero una unica provvista accreditata presso l'INPS poiché alla data del 31/12/2002 il F. non era più dirigente industriale iscritto all'Inpdai con conseguente inapplicabilità dell'art. 42 citato ai fini del calcolo della misura della pensione.

Contro la sentenza, l'INPS propone ricorso per cassazione basato su di un unico motivo.

Il F. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

2. L'Inps denuncia violazione dell'art. 42 L. n. 289/2002, dell'art. 3 L. n. 297/1982.

Osserva che quello del pro rata costituiva principio generale disciplinante l'integrazione fra i due regimi pensionistici e che non era fondata l'affermazione della Corte secondo cui le pensioni liquidate a coloro che non erano in costanza di assicurazioni presso l'Inpdai al 31/12/2002 non avrebbero dovuto essere determinate secondo il criterio del pro rata.

Censura, altresì, la sentenza impugnata nella parte relativa alla determinazione della retribuzione pensionabile sulla base della quale calcolare la quota di pensione imputabile al periodo di iscrizione all'Inpdai. Secondo la Corte la retribuzione di riferimento sarebbe quella maturata negli ultimi 5 e 10 anni prima della decorrenza della pensione dall'aprile 2006 e non già, come preteso dall'Inps, la retribuzione percepita in costanza di assicurazioni Inpdai.

Infine, il ricorrente censura la sentenza secondo cui l'art. 42 citato deve essere letto come volto a salvaguardare la posizione dei dirigenti industriale che a seguito della soppressione dell'ente avrebbero potuto soffrire di un pregiudizio nella liquidazione del trattamento pensionistico. Osserva, infatti, che la clausola della salvaguardia aveva rilevanza solo a fronte di comparazione fra due pensioni liquidate sulla base di parametri identici quanto ad anzianità e retribuzione pensionabile: una integralmente con le regole proprie dell'Inpdai e l'altra con le regole proprie dell'AGO.

3. Le censure sono fondate e deve darsi continuità ai principi già espressi da questa Corte in precedenti sentenze (cfr Cass. n. 4897/2017, n. 19036/2017 e n. 18841/2017).

4. La questione sottoposta al vaglio di questa Corte è incentrata sull'esatta interpretazione dell'art. 42 L. n. 289/2002, in particolare del comma 3, assumendosi da parte del F. che il principio del pro-rata opererebbe solo nel caso in cui il lavoratore fosse ancora iscritto all’Inpdai al momento della soppressione dell'Istituto, laddove nel diverso caso in cui il lavoratore fosse già iscritto all'AGO (come nel caso di specie, in cui è pacifico che il F. era già iscritto all'Inps), la pensione deve essere liquidata secondo le regole generali e non anche secondo il criterio del pro rata, previa automatica unificazione presso il regime AGO della pregressa contribuzione esistente presso l'Inpdai.

5. Questa Corte ha affermato che:

- La tesi sostenuta dal pensionato, secondo cui il criterio del pro-rata è applicabile solo a coloro che sono in costanza di rapporto di lavoro in qualità di dirigenti con le aziende del settore industria, e quindi assicurati presso l'Inpdai alla data del 31/12/2002, non è sostenuta da alcuna ragione letterale o teleologica.

- Sotto l'aspetto letterale, il riferimento ai «lavoratori assicurati presso il soppresso Inpdai» non esclude, ma piuttosto include tutti i titolari di una posizione assicurativa presso il suddetto Istituto: tale posizione non viene meno per il sol fatto che il soggetto abbia perso la qualifica di dirigente presso un'azienda industriale e non sia più in costanza di rapporto di lavoro, ma permane anche se l'attività lavorativa è cessata ed in assenza di ulteriore contribuzione, fino all'eventuale trasferimento dei contributi in altra gestione attraverso la domanda di ricongiunzione o fino al conseguimento della prestazione assicurata, ove ne sussistano i presupposti. L'espressione «lavoratori assicurati presso il soppresso Inpdai» non può pertanto essere intesa come limitata ai soggetti che alla data del 31/12/2002 erano ancora in attività di servizio come dirigenti presso aziende industriali, ma deve intendersi riferita a tutti i dirigenti per i quali alla data del 31/12/2002 sussisteva una posizione assicurativa non ancora definita.

-Sotto l'aspetto teleologico, deve rilevarsi che, in assenza di una domanda di ricongiunzione, espressamente prevista per i dirigenti iscritti all'Inpdai dall'art. 22 del d.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58, - a norma del quale il dirigente, dimissionario o licenziato o che comunque abbia perduto la qualifica senza aver maturato il diritto a pensione, può richiedere all'Inpdai di provvedere, per i corrispondenti periodi di contribuzione comunque riconosciuti presso l'istituto medesimo, «alla costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione - l'interessato non può vedersi riconoscere gli effetti tipici della ricongiunzione medesima, la quale suppone, oltre alla domanda dell'interessato, l'effettivo trasferimento dei contributi dalla gestione previdenziale sostitutiva (nel caso, l'Inpdai), con le maggiorazioni previste per legge, nella gestione generale AGO. È solo infatti per effetto della detta ricongiunzione che i periodi di contribuzione esistenti presso le altre gestioni, esclusive, speciali o sostitutive, dei lavoratori dipendenti possono essere utilizzati nel fondo dei lavoratori dipendenti gestito dall'Inps, come se i contributi fossero stati sempre versati in quest'ultima gestione e con il diritto ad un'unica pensione liquidata in base ai requisiti previsti dal regime generale. Ora, è pacifico che nel caso in esame il F. non ha presentato domanda di ricongiunzione dei contributi versati all'Inpdai con quelli esistenti presso la gestione generale AGO prima della soppressione dell'Inpdai; sotto tale profilo, la sua posizione in nulla differisce da quella degli altri dirigenti Inpdai in attualità di servizio alla data del 31/12/2002, sicché non vi è ragione di applicargli un sistema di liquidazione della pensione diverso da quello previsto dal legislatore in linea generale secondo il criterio del pro-rata.

- Il trasferimento dei contributi presso l'Inps è avvenuto solo per effetto della legge n. 289 del 2002, attraverso l'iscrizione all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, dei titolari di posizioni assicurative e pensionistiche presso il soppresso Istituto, e l'iscrizione è avvenuta «con evidenza contabile separata», a dimostrazione dell'assenza di una unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal d.P.R. n. 58 del 1976.

- La tesi prospettata dal F. finirebbe per considerare l'ex dirigente Inpdai come se non avesse mai lavorato in qualità di dirigente di aziende industriali, annullando tutti pregressi periodi di assicurazione presso l'Inpdai, con conseguenze palesemente irragionevoli ove, ad esempio, l'iscrizione presso l'Inps fosse avvenuta qualche giorno prima della soppressione dell'ente e per un periodo di tempo breve rispetto al periodo di iscrizione presso la gestione Inpdai.

- Deve invece affermarsi che la prima parte del comma 3, nella parte in cui dispone che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del principio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003, introduce un principio di carattere generale senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza dì assicurazione Inpdai alla data del 31/12/2002.

5. Risulta, altresì, fondata la censura formulata dall'Inps circa la determinazione della retribuzione da utilizzare ai fini del calcolo della pensione imputabile al periodo di iscrizione presso l'Inpdai.

L'art. 3 comma 7, del d.lgs. 24 aprile 1997, n. 181, al quale rinvia l'art. 42, I. n. 289/2002, così dispone: "7. A decorrere dal 1 gennaio 1997, per i lavoratori di cui all'articolo 2, commi 1 e 2, che non esercitino il diritto di opzione di cui all'articolo 1, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il massimale annuo della base contributiva e pensionabile è stabilito nella misura di lire 250 milioni ed è rivalutato annualmente sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, così come calcolato dall'ISTAT». La quota di pensione da liquidare secondo il calcolo previsto nella lettera a) dell'art. 42, comma 3, sulla base dell'anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 2002 presso l'Inpdai, deve tener conto delle retribuzioni percepite dal dirigente in costanza di rapporto assicurativo con l'Inpdai, e non invece, seguendo l'impostazione difensiva del F., sulla base delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 e 10 anni andando a ritroso, anche per il calcolo della quota afferente alla contribuzione Inpdai, dalla data di decorrenza della pensione, e computando sia le retribuzioni inerenti al vecchio rapporto assicurativo Inpdai, nei limiti del massimale di legge previsti per tale ente, sia le retribuzioni assoggettate alla contribuzione Inps negli importi su cui sono stati effettivamente versati contributi.

Ed invero, la quota a) corrisponde alle anzianità contributiva maturata nel Inpdai entro il 31 dicembre 2002. Tale quota è data, a sua volta, dalla somma di due distinte quote (A + B): la prima (A) corrispondente all'importo relativo all'anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 1992; la seconda (B) corrispondente all'anzianità acquisita dal primo gennaio 1993. La base pensionabile della quota A è data dalla media degli stipendi degli ultimi 5 anni che precedono la decorrenza.

Mentre quella di riferimento della quota B (da utilizzare per l'anzianità acquisita dal primo gennaio 1993 in poi) si ricava dalla media annua delle retribuzioni degli ultimi 10 anni (sempre andando a ritroso dalla decorrenza). Ora le retribuzioni di riferimento non possono che essere quelle percepite dall'assicurato quando era dirigente di aziende industriali, ossia quelle che sarebbero state prese in considerazione nel caso di ipotetica liquidazione della pensione da parte dell'Inpdai, non anche le retribuzioni degli ultimi 5 e 10 anni, a decorrere a ritroso dalla data del pensionamento.

In tal senso depone il rinvio all’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 181 del 1997 citato, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato dal legislatore, quale espressione della volontà di tenere distinti i due regimi, attraverso la previsione che ognuno dei periodi assicurativi, proprio per la diversità dei sistemi di calcolo adottati, dia luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo specifici criteri.

Sulla base di tali considerazioni non può, pertanto, neppure trovare accoglimento la domanda che il ricorrente afferma di aver proposto in via subordinata in base alla quale ha chiesto che pur in applicazione del pro rata la retribuzione da prendere a base del calcolo fosse quella relativa agli ultimi 5 e 10 anni immediatamente antecedenti la decorrenza della pensione.

6. Quanto alla questione relativa alla cosiddetta clausola di salvaguardia il controricorrente ha affermato che il metodo del pro rata può essere solo più favorevole al pensionato per effetto di un miglior trattamento riservato dall'Inpdai in relazione al periodo di sua competenza e non certamente deteriore rispetto alla liquidazione effettuata con l'integrale applicazione dei criteri AGO. Secondo il F. al lavoratore è riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo a che i periodi di contribuzione Inpdai non generino un trattamento pensionistico inferiore a quello previsto nell'AGO con la conseguenza che l'Inps avrebbe dovuto effettuare un ulteriore ricalcolo della pensione in base alle regole AGO, porne l'importo a confronto con quello derivante dal pro rata e corrispondere l'importo più elevato, cosa che l'istituto non aveva fatto violando la clausola di salvaguardia.

Anche sotto tale profilo la domanda del F. non può trovare accoglimento.

A prescindere che parte controricorrente non ha offerto alcun elemento per effettuare codesto giudizio comparativo essendo del tutto inammissibile il calcolo prodotto solo con le note ex art. 378 cpc, va richiamato quanto affermato da questa Corte (cfr Cass 19036/2017) secondo cui "siffatta interpretazione - come del resto quella patrocinata dalla Corte territoriale - poggia sull’assunto, invero indimostrato, secondo cui il regime introdotto dall'art. 42, I. n. 289/2002, costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dei dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile".

6. In definitiva, il ricorso va accolto. Tenuto conto che il principio di diritto cui il Collegio ha inteso dare continuità è stato affermato in epoca successiva alla proposizione della domanda, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell'intero processo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'originaria domanda del F.; compensa le spese dell'intero processo.