Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TREVISO - Ordinanza 23 febbraio 2016

Reati tributari - Causa di non punibilità per pagamento del debito tributario - Termini di sospensione del processo, prima dell'apertura del dibattimento, nel caso di rateizzazione, per il pagamento del residuo - Preclusione per il giudice della facoltà di concedere un termine coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione - Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), art. 13, comma 3, come sostituito dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23)

 

Il Giudice nel procedimento penale n. 108/16 r.g. Trib. a carico di D.D. pronuncia la seguente ordinanza a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, D.D. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000, per avere omesso di versare, nel termine previsto, ritenute operate e risultanti dalle certificazioni rilasciate dai sostituiti relative agli esercizi 2010 e 2011, per un ammontare complessivo di € 633,901,38 (precisamente € 229.177,38 per l'anno d'imposta 2010 ed € 404.724 per l'anno d'imposta 2011). All'udienza del 23 febbraio 2016, prima dell'apertura del dibattimento, la difesa dell'imputato, riportandosi alla memoria già depositata in data 18 febbraio 2016, allegava: che in data 5 febbraio 2013 la «R. & D. Group S.p.a.» aveva depositato ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo e, nell'ambito del relativo piano, aveva proposto anche una transizione fiscale, ex art. 182-ter del regio decreto n. 267/1942, che prevedeva il pagamento integrale in linea capitale di quanto dovuto all'erario, anche per gli anni d'imposta 2010 e 2011, il pagamento delle sanzioni nella misura del 10% e il conteggio degli interessi nella misura del 3,5%, con pagamento in 12 rate trimestrali fino al 31 dicembre 2017 (cfr. la proposta di transazione fiscale prodotta della difesa come allegato 2 alla memoria depositata in data 18 febbraio 2016);

 che il concordato preventivo, comprensivo della transazione fiscale, era stato omologato dal Tribunale di Treviso con provvedimento del 17 aprile 2014 (cfr, il provvedimento prodotto dalla difesa come allegato 3 alla suddetta memoria);   che in adempimento della transazione fiscale la «R. & D. Group S.p.a.» aveva regolarmente già pagato quattro rate.

 Tutto ciò premesso, la difesa chiedeva che il Tribunale, in applicazione dell'art. 13 del decreto legislativo n. 74/2000 (così come novellato dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158), rinviasse il processo ad una data successiva al 31 dicembre 2017, senza aprire il dibattimento e con sospensione del termine di prescrizione, così da consentire all'imputato di completare il pagamento rateale del debito tributario e conseguentemente avvalersi della causa di non punibilità introdotta dalla novella legislativa.

 Al riguardo, la difesa aggiungeva che la previsione del comma 3 dell'art. 13 - per la quale nel caso in cui il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo con facoltà del Giudice di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi - non era coordinata con la normativa riguardante il concordato fallimentare e la transazione fiscale, la quale non consente di effettuare pagamenti per debiti anteriori che si discostino dal piano omologato; che tale difetto di coordinamento si traduceva in un irragionevole trattamento deteriore per coloro che avevano avuto accesso a tali istituti, sostanzialmente impedendo loro di fruire della causa di non punibilità, con violazione degli articoli 24 e 3 della Carta Costituzionale.

Alla luce di quanto allegato dalla difesa, il Tribunale ritiene che vada sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 - così come sostituito dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 - perché tale norma viola gli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice di «prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi» e non consente, invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione.

 In merito alla rilevanza nel presente procedimento della prefigurata questione di legittimità costituzionale, la stessa emerge da quanto sopra esposto e allegato dalla difesa dell'imputato.

In particolare, la difesa chiede il rinvio del processo ad un'udienza successiva al 31 dicembre 2017 al fine di consentire all'imputato di completare il pagamento rateale del debito tributario e, quindi, di avvalersi della causa di non punibilità prevista dall'art. 13.

 Sennonché tale istanza non può essere accolta perché vi osta la lettera del comma 3 dell'art. 13, il quale sancisce che, per il fine indicato dalla difesa, può essere concesso solo un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice «di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario». 

La circostanza che il legislatore abbia indicato espressamente un primo termine di tre mesi e, soprattutto, abbia sentito la necessità di precisare che lo stesso è prorogabile una sola volta per non oltre tre mesi, rende evidente che non è consentito al Giudice di concedere termini più lunghi, o di prorogare più volte il termine, allo specifico fine di completare il pagamento rateale del debito tributario.

 Ragionando diversamente il dettato legislativo sul punto non avrebbe alcun valore. 

Ciò significa che, così come avanzata, la richiesta della difesa andrebbe respinta.

Tuttavia, nel caso concreto, la reiezione dell'istanza comporterebbe l'impossibilità per l'imputato di usufruire della causa di non punibilità, atteso che lo stesso non potrebbe, in ogni caso, completare il pagamento del debito tributario nel termine di tre mesi o in quello eventualmente prorogato per ulteriori tre mesi, essendo vincolato a quanto stabilito nel piano omologato in sede di concordato preventivo che prevede, per i rapporti con il fisco, il pagamento a rate da completarsi il 31 dicembre 2017.

 Ebbene, è noto che una volta che il concordato preventivo sia stato omologato il debitore, nel caso di specie la società debitrice, deve attenervisi rispettando, in particolare, quanto stabilito in ordine alla distribuzione tra i creditori delle somme messe a disposizione o ricavate dalla procedura mediante l'attività di cessione dei beni (cfr. artt. 163 e seg. della legge fallimentare); se non la fa, va incontro alla risoluzione del concordato per inadempimento con tutte le conseguenze negative del caso; si è detto, in proposito, che il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno spossessamento attenuato, in quanto conserva l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni, ma con le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del concordato (cfr. Cass. Civ., 8 febbraio - 13 aprile 2012, n. 13996).

Nel caso di specie, una volta approvato il concordato preventivo, il D., quale legale rappresentate della società, deve rispettare l'obbligo di pagare i creditori secondo l'ordine di distribuzione, le modalità e i tempi stabiliti. Tutto ciò implica che se, dopo l'omologazione del concordato preventivo, il D. pagasse tutto l'importo dovuto all'erario entro il termine di tre mesi eventualmente concessogli dalla data dell'udienza, violerebbe quanto stabilito in sede di concordato preventivo.

 In definitiva, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 comma 3 del decreto legislativo 74/2000 è rilevante perché, nel caso concreto, tale norma, così come modellata, impedisce all'imputato di avvalersi della causa di non punibilità rappresentata dal pagamento del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento.

Ciò posto in merito alla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale non è manifestamente infondata con riferimento ai parametri di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Come già rilevato, il comma 3 dell'art. 13 sancisce che, quando il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione - al fine di consentire all'imputato di pagare il debito tributario residuo e, quindi, di usufruire della causa di non punibilità prevista dal comma 1 - può essere concesso solo un termine di tre mesi, con facoltà per il Giudice «di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario».

Ora, come evidenziato dai primi commenti dottrinali, la disciplina appare di per sé irragionevole se si tiene conto del fatto che, al ricorrere di determinate condizioni, le procedure di adesione consentono una rateizzazione anche quadriennale del debito tributario, ma che, non di rado, i termini di dilazione possono raggiungere anche i dieci anni nei confronti dei concessionari della riscossione; ed è allora chiaro come il termine semestrale non rappresenti una grande agevolazione per il contribuente, sostanzialmente obbligato a rinunciare a quei termini dilatati di pagamento che la disciplina tributaria gli avrebbe altrimenti assicurato.

Ciò, d'altro canto, è pure in parziale contrasto con la ratio della causa di non punibilità - limitata alle fattispecie di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater comma l - che, come si legge nella relazione illustrativa, trova «la sua giustificazione politico criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell'erario prima del processo penale: in questi casi, infatti, il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito risultando in seguito inadempiente; il successivo adempimento, per non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative».

 Ma oltre che logicamente irragionevole, la suddetta disciplina è anche giuridicamente irragionevole - con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione - perché, in primo luogo, fa dipendere la concreta possibilità di accedere alla causa di non punibilità da variabili che non dipendono dall'imputato.  così, per esempio, dalla «velocità» con la quale è esercitata l'azione penale: se l'azione penale è esercitata «con ritardo» il reo avrà più tempo per pagare le rate del piano di rateizzazione e, quindi, ben può essere che all'udienza fissata per l'apertura del dibattimento il termine massimo di sei mesi gli sia bastevole per completare il pagamento rateale, senza essere costretto a rinunciare alla dilazione per usufruire della causa di non punibilità; se invece l'azione penale fosse esercitata con particolare rapidità il reo - senza ragione - avrebbe un sostanziale trattamento deteriore, dal momento che avrebbe avuto minor tempo per «sfruttare la rateizzazione» e il termine di sei mesi potrebbe non essergli sufficiente per completare i ratei, con la conseguenza che per avvantaggiarsi della causa di non punibilità dovrebbe forzatamente rinunciare alla dilazione tributaria e pagare entro sei mesi, e in un sol colpo, tutto il residuo debito fiscale.

 In secondo luogo, ed è ciò che più conta nel giudizio a quo, la norma è irragionevole perché tratta, senza giustificazione, in modo uguale chi, ammesso al pagamento rateizzato del debito tributario, ha la possibilità di scegliere di rinunciare alla rateizzazione e di adempiere il residuo debito entro il termine di tre mesi fissato dal Giudice (eventualmente prorogato di altri tre mesi), così andando esente dalla sanzione penale, e chi non ha tale facoltà perché il piano di rateizzazione rientra nell'alveo di un concordato preventivo con conseguente necessità di rispettare quanto in esso previsto. 

Si è già anticipato, al riguardo, che dopo l'ammissione alla procedura del concordato preventivo non sono consentiti pagamenti lesivi della «par condicio creditorum» nel senso che i debiti devono essere pagati nell'ordine, nella misura, nei tempi e con le modalità previste nel piano concordato.

 Ciò si desume dall'art. 167 della legge fallimentare che, con la sua disciplina degli atti di straordinaria amministrazione, comporta che il patrimonio dell'imprenditore in pendenza del concordato sia oggetto di un'oculata e «giurisdizionalizzata» amministrazione, perché destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori; dall'art. 168 che, nel porre il divieto di azioni esecutive da parte dei creditori, comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori, perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento; dall'art. 184, che nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dal sistema e, in particolare, non sia ammissibile - per venire al caso concreto - che l'imprenditore paghi «anticipatamente» e per l'intero il debito tributario eventualmente scavalcando eventuali crediti di grado anteriore.

 Se non rispetta i suddetti vincoli l'imprenditore andrebbe incontro alla possibile risoluzione del concordato che ciascuno dei creditori può chiedere in caso di inadempimento (art. 186 della legge fallimentare). 

In definitiva, quindi, chi - come l'imputato - ha in corso il pagamento rateizzato del debito tributario secondo un piano che rientra nell'ambito di un concordato preventivo e che prevede delle scadenze di pagamento che, al momento dell'istanza di rinvio proposta al Giudice penale, vanno oltre il termine massimo di sei mesi che il Giudice è autorizzato a concedergli ex art. 13, comma 3, del decreto legislativo 70/2000, è privato della facoltà di scegliere di rinunciare ai termini dilatati di pagamento e di pagare il residuo debito tributario ed è privato, quindi, anche della possibilità di usufruire della causa di non punibilità, perché è vincolato dal concordato preventivo.

 Va osservato, a scanso di equivoci, che non potrebbe giustificarsi tale privazione motivando nel senso che all'origine della procedura di concordato preventivo vi è un atto di autonomia privata, espressione della volontà del debitore, che è la domanda di concordato ex art. 161 della legge fallimentare. 

Come giustamente è stato osservato, sul perseguimento di un accordo transattivo debitore-creditori si viene ad innestare una struttura chiaramente pubblicistica, essendo l'istituto del concordato preventivo una sorta di uscita di sicurezza rispetto alla prospettiva del fallimento e dunque uno di quegli strumenti di tutela non solo dei ereditari, ma altresi degli interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d'impresa, con la conseguenza, tra l'altro, che se nell'ambito del concordato è prevista una dilazione di pagamento del debito tributario, di ciò si deve tenere conto al fine di escludere la responsabilità penale nel caso in cui la rateizzazione implichi il mancato rispetto dei termini di versamento non ancora scaduti e stabiliti da norme incriminatrici (cfr. Cass. Pen., 12 marzo - 16 aprile 2015, n. 15853).

 Ora, se la dilazione di pagamento inserita in un concordato preventivo consente di superare il termine di pagamento del debito tributario fissato da norme incriminatrici - neutralizzando la rilevanza penale dell'inosservanza dei termini di versamento - non si vede come la stessa dilazione possa rappresentare un ostacolo alla possibilità di giovarsi di una causa di esclusione della punibilità. 

Ne consegue che la disciplina legislativa in questione - oltre che violare l'art. 3 della Costituzione perché, come già esposto, tratta in modo uguale chi è in situazioni differenti - viola anche l'art. 24 della Costituzione perché impedisce, senza ragione plausibile, all'imputato di avvalersi di un'opzione difensiva che gli consentirebbe di andare esente da responsabilità penale attraverso quella causa di esclusione di punibilità costituita dal pagamento dell'intero debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 134 Cost., 23 e seg. legge 87/1953, per le ragioni esplicitate in motivazione dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale: dell'art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 - così come sostituito dall'art. 11 del decreto legislativo 24settembre 2015, n. 158 - nella parte in cui prevede che qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice di «prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi» e non consente, invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione.

 Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

 Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

 Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

 

---

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 19 ottobre 2016, n.42.