Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 maggio 2017, n. 11203

Imposte indirette - IVA - Accertamento - Fatture fittizie - Cessione azienda

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della G.I. spa (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 1974/24/2015, depositata in data 13/05/2015, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione di un avviso di accertamento emesso per IVA dovuta in relazione ad alcune operazioni commerciali (tre fatture di acquisto di beni strumentali ed alcune note di credito per reso merce, ritenute fittizie e volte a celare una cessione di azienda) ed all'anno d'imposta 2005 - è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d'appello, nell'accogliere il gravame della contribuente, hanno sostenuto che la tesi dell'Ufficio (secondo la quale le cessioni delle merci e dei cespiti costituivano "il frutto di un deliberato frazionamento dell'unica operazione di cessione d'azienda", come dimostrato dalla brevità della frazione temporale in cui erano state realizzate e dalla immediata successiva apertura di tre punti vendita) non aveva trovato "sufficiente riscontro probatorio", difettando un trasferimento d'azienda, di "mezzi di entità non trascurabile ... non solo occasionalmente aggregati", ma costituenti "un complesso aziendale organizzato", nonché il trasferimento di rapporti di lavoro e sussistendo uno specifico accordo contrattuale tra la G. e la società R., concessionaria, nell'ambito di un contratto di affiliazione in franchising, in adempimento del quale era state emesse le note di accredito per prodotti eccedenti "resi".

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 4 c.p.c., degli artt. 36 d.lgs. 546/1992 e 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e 112 c.p.c., dovendo ritenersi la decisione impugnata viziata da difetto assoluto di motivazione.

2. La censura è infondata.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007).

Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di dovere riformare quanto statuito dai giudici di primo grado in ordine alla legittimità dell'accertamento ed alla ritenuta cessione di azienda.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione. I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand'anche sussistenti (e nella specie la motivazione risulta invece pienamente esaustiva), non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l'idoneità ad assolvere alla funzione cui all'art. 36 d.lgs. 546/1992 (cfr. Cass. 5315/2015).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n, 4 c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., non avendo i giudici della C.T.R. tenuto conto del corredo probatorio addotto dall'Ufficio e, per contro, della carenza probatoria ascrivibile alla contribuente.

4. Tale censura è inammissibile. Invero, come chiarito da questa Corte (Cass. 21603/2013), "la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge".

La censura si risolve in una doglianza circa la scelta degli elementi probatori cui la CTR ha conferito determinante rilievo. Questa Corte ha chiarito come siano riservate a! giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il peso probatorio di alcune risultanze, documentali, rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 13054/2014; Cass. 21412/2006; Cass. 25454/2016).

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Essendo l'amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1 - quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel caso di prenotazione a debito il contributo non è versato ma prenotato al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore dei ricorrente, il recupero dello stesso in danno della parte soccombente).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.