Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 maggio 2017, n. 11206

Tributi - Accertamento - Reddito d’impresa - Rettifica

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di C.A., quale ex socio accomandatario della cessata V. di C.A. sas ed anche in proprio, e L.L., quale ex socio accomandante della stessa società ed anche in proprio, (che non resistono), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 6540/06/2014, depositata in data 3/11/2014, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione di un avviso di accertamento emesso, a carico della V. di C.A. & C. sas, per ILOR ed IRPEF dovute in relazione all'anno d'imposta 1987, a seguito di rettifica del reddito d'impresa, - è stata riformata la decisione di primo grado, che, in sede di riassunzione, con atto del "27/06/2011", del giudizio (a seguito di cassazione delle decisioni di merito impugnate, con pronuncia di questa Corte Suprema n. 18113/2009, di declaratoria della nullità dell'intero giudizio per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci), ad opera di C.A., quale socio accomandatario e legale rappresentante della società, aveva accolto parzialmente il ricorso della società, rideterminando il reddito d'impresa (in misura inferiore all'originario accertamento).

In particolare, i giudici d'appello, essendosi costituiti in giudizio gli ex soci della società cessata, hanno dichiarato improcedibile il gravame proposto dall'Agenzia delle Entrate nei confronti della società, nel frattempo cancellata dal Registro delle Imprese (proseguendo invece il distinto giudizio instaurato nel confronti degli ex soci in proprio).

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione ed erronea applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2312, 2313, 2315, 2324, 2495 c.c., 110 c.p.c., deducendo di avere notificato l'atto di appello, il 16/04/2013, nei confronti della società, nel frattempo cancellata, "il 10/10/2010", dal Registro delle Imprese, e di ciascuno dei soci

2. La censura è fondata.

Le Sezioni Unite Cass. n. 6070/13; 6071/13 e 6072/13 hanno affermato che "la cancellazione - volontaria - della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della "fictio iuris" contemplata dall'art. 10 legge fall.); pertanto, qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ.: qualora l'evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza. pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l'evento estintivo è occorso".

Ancora, le S.U. hanno chiarito che "dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche la società di persone, sebbene non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti". In sostanza, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, ex art. 110 c.p.c., un' ipotesi di successione a titolo universale, sia pure sui generis, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non sì estinguono - il che sacrificherebbe ingiustamente il diritto dei creditori sociali - ma si trasferiscono ai soci, i quali, quanto ai debiti sociali, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate.

Le Sezioni Unite, in ultimo, quanto agli effetti processuali, hanno confermato il principio secondo il quale la cancellazione della società dal Registro delle Imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (ad eccezione della fictio iuris contemplata dall'art. 10 L.F.), non potendo la società né validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta. Ove l'estinzione si verifichi nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall'art. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società (fenomeno successorio "sui generis", stante il regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali, nelle differenti tipologie di società), ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (disposizione contemplante il subentro nel processo dei successore universale, idonea a ricomprendere qualsiasi causa - "per morte o per altra causa" - per la quale la parte venga meno), pur se estranei ai precedenti gradi di giudizio.

Nella successiva pronuncia sempre delle S.U. n. 15295/2014 si sono specificati gli effetti dell' ultrattività del mandato e della stabilizzazione della posizione giuridica della parte rappresentata dal difensore, oltre anche il grado del giudizio nel quale l'evento interruttivo è occorso.

Questa Corte (Cass. V° n. 15007/2015), in controversia (ricorso per cassazione proposto dall'Agenzia delle Entrate nei confronti dei soci di una cessata società semplice e della società stessa; oggetto impugnazione: silenzio-rifiuto su istanza rimborso IRAP) nella quale la società di capitali era stata cancellata, dal marzo 2005, dal Registro delle Imprese, prima dell'instaurazione del giudizio di secondo grado, ha respinto il motivo di ricorso, fondato sulla mancata declaratoria dell'inammissibilità dell'appello (non promosso dalia società, nel frattempo cessata, ma dai soci che non avevano preso parte al giudizio di primo grado), rilevando che i soci della società cancellata erano in ogni caso legittimati a proporre il gravame (alla luce delle S.U. n 6070/2013).

Ora, nella specie, risulta che il giudizio di rinvio era stato già riassunto, dinanzi alla C.T.P., nel 2011 (a seguito della cancellazione della società, avvenuta nel 2010) dall’ex socio accomandatario della società, anche in proprio, senza declaratoria dell'evento interruttivo, e l'atto di appello è stato quindi notificato correttamente dall'Agenzia delle Entrate alla società ed ai soci, successori della prima, cosicché la C.T.R. doveva vagliarne il merito e non dichiarare inammissibile il gravame.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione. Il giudice dei rinvio provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio, di legittimità.