Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ABRUZZO - Sentenza 22 gennaio 2018, n. 355

Tributi locali - ICI - Fabbricati - Istanza di rimborso - Immobile iscritto ad una diversa categoria catastale - Classamento catastale - Accertamento della ruralità

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso inviato l'11 gennaio 2016 la Società A.P. s.r.l., con sede in Mosciano Sant'Angelo, impugnò il tacito rigetto, da parte del Comune di Atri, di una istanza di rimborso dell'ICI da essa pagata negli anni 2009, 2010 e 2011, per un ammontare di € 13.995,06, in relazione ad un fabbricato di sua proprietà (in catasto al f. 59, part. 387, Cat. D/7) situato in tale Comune.

A sostegno del ricorso dedusse che:

- il fabbricato, condotto in affitto dall'Azienda Agricola C.Z. di D.L.G. & C. s.a.s., era stato destinato dall'affittuario alle attività di cui all'art. 2135 c.c., ed in particolare all'allevamento di animali;

- il fabbricato possedeva indiscutibilmente il requisito di ruralità di cui all'art. 9 del D.L. n. 557 del 1993 (convertito nella legge n. 133 del 1994), come era comprovato dal fatto che la ricorrente, in ossequio a quanto previsto dall'art. 7, comma 2 bis, del D.L. n. 70 del 2011, aveva presentato nel 2011 domanda di variazione catastale con richiesta di attribuzione della categoria D/10, corredata dalla prescritta autocertificazione, all'Agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Teramo, che aveva provveduto alla relativa annotazione;

- l'art. 2, comma 5 ter, del D.L. n. 102 del 2013 aveva stabilito che "le domande di variazione catastale ... e l'inserimento dell'annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità ... a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda", cristallizzando il principio secondo cui le domande e l'annotazione di cui si tratta attribuiscono al fabbricato la qualifica della ruralità con effetto retroattivo;

- il fabbricato aveva quindi diritto, sin dall'anno 2006, all'esenzione dall'ICI ai sensi dell'art. 23, comma 1-bis, del D.L. n. 207 del 2008.

Nella contumacia del Comune di Atri, con sentenza n. 259 depositata il 28 settembre 2016 la Commissione Tributaria Provinciale di Teramo rigettò il ricorso, sul rilievo che:

- dalla visura catastale prodotta il fabbricato della contribuente risultava censito in categoria D/7 con annotazione di dichiarata sussistenza di ruralità;

- la richiesta di annotazione della sussistenza dei requisiti di ruralità, sebbene annotata, di fatto non aveva modificato la categoria D/7 dell'immobile;

- secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, il classamento catastale costituirà elemento determinante per escludere o affermare l'assoggettabilità ad ICI di un fabbricato, per cui, per andare esente dall'imposta, occorreva che l'unità immobiliare fosse iscritta in catasto alla categoria A/6 (abitazione di tipo rurale) o D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole);

- la normativa sopravvenuta, costituita dall'art. 23, comma 1 bis, del D.L. n. 207 del 2008 (convertito nella legge n. 14 del 2009), aveva confermato la decisività della classificazione catastale quale elemento determinante per escludere o affermare l'assoggettabilità ad ICI di un fabbricato, con la conseguenza che, qualora il fabbricato non sia stato catastalmente classificato come rurale, il proprietario che ritenga sussistenti i requisiti per il riconoscimento come tale non avrà altra strada che impugnare la classificazione operata al fine di ottenere l’attribuzione all'immobile di una diversa categoria (Cass. S.U. n. 18565 del 2009; n. 13740 del 2015).

Avverso tale sentenza la A.P. s.r.l., ha proposto appello con ricorso depositato il 21 aprile 2017, con il quale ha addebitato alla Commissione Tributaria Provinciale di non aver considerato che:

- l'art. 7, commi 2 bis, 2 ter e 2 quater, del D.L. n. 70 del 2011 aveva previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità, il contribuente potesse presentare all'Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale con allegata autocertificazione attestante il possesso da parte dell'immobile, in via continuativa, a decorrere dal quinto anno anteriore a quello di presentazione della domanda, dei requisiti di cui all'art. 9 del D.L. n. 557 del 1993;

- l'art. 2, comma 5 ter, del D.L. n. 102 del 2013, aveva chiarito, con norma di interpretazione autentica, che "le domande di variazione catastale ... e l’inserimento dell'annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità ... a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda", cristallizzando il principio secondo cui le domande e l'annotazione di cui si tratta attribuiscono al fabbricato la qualifica della ruralità con effetto retroattivo;

- la ricorrente, in ossequio a quanto previsto dall'art. 7, comma 2 bis, del D.L. n. 70 del 2011, aveva presentato, nel 2011, domanda di variazione catastale con richiesta di attribuzione della categoria D/10, corredata dalla prescritta autocertificazione, all'Agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Teramo, la quale aveva inserito nelle risultanze catastali la relativa annotazione, così riconoscendo all'immobile la qualifica di fabbricato rurale con effetto retroattivo.

Il Comune di Atri non si è costituito in giudizio.

 

Motivi della decisione

 

L'appello è fondato.

1. Deve essere senz'altro condivisa l'affermazione, fatta dalla Commissione Tributaria Provinciale nella sentenza impugnata, secondo cui per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo dall'ICI, non è sufficiente il solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all'attività agricola, ma è necessaria l'oggettiva loro classificazione catastale come tali, con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative; D/10 per gli immobili strumentali).

Secondo il prevalente orientamento della Corte di Cassazione, infatti, solo l'immobile che sia stato iscritto in catasto come rurale, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall'art. 9 del D.L. n. 557 del 1993 (convertito nella legge n. 133 del 1994), non è soggetto all'imposta, ai sensi dell'art. 23, comma 1-bis, del D.L. n. 207 del 2008 (convertito nella legge n. 14 del 2009) e dell'art. 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 504 del 1992, così che, qualora l'immobile sia iscritto in una categoria catastale diversa, è onere del contribuente, che invochi l'esenzione dall'imposta, impugnare l'atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest'ultimo assoggettato (cfr. Cass. SSUU n. 18565 del 2009, cui hanno fatto seguito numerose altre pronunce: Cass. n. 7102 del 2010; n. 8845 del 2010; n. 19872 del 2012; n. 5167 del 2014, nonché, più recentemente, n. 16737 del 2015, n. 7930 del 2016 e n. 2115 del 2017).

Il principio della necessaria rilevanza, ai fini ICI, della classificazione catastale non è stato smentito, ma è anzi stato confermato, dalle sopravvenute disposizioni (entrambe aventi efficacia retroattiva) contenute nel:

- comma 3 bis dell'art.9 del D.L. n. 557 del 1993, convertito nella legge n. 222 del 2007, secondo cui "ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola di cui all'articolo 2135 del codice civile" ;

- comma 1 bis dell'art. 23 del D.L. n. 207 del 2008, convertito nella legge n. 14 del 2009, secondo cui "ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1, comma 2, della legge 21 luglio 2000 n. 212, l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto legge 30 dicembre 1993 n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni".

Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti, la disciplina sopravvenuta, lungi dallo smentire la necessaria rilevanza, ai fini ICI, della classificazione catastale, l'ha ulteriormente confortata e resa imprescindibile, al punto che l'obiettivo di sottrarre i fabbricati strumentali all'imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt. 1 e 2 del D.L.vo n. 504 del 1992) è stato perseguito dal legislatore attraverso l'espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla stessa nozione legislativa di "fabbricato".

Con la conseguenza, hanno precisato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che (salvo il caso di fabbricato non iscritto in catasto) al giudice tributario non è dato di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l'esenzione dall'ICI.

Il principio sopra enunciato non è stato smentito nemmeno dall'ulteriore jus superveniens costituito da:

- D.L. n. 70 del 2011, convertito nella legge n. 106 del 2011, il quale, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, aveva previsto all'art. 7 comma 2 bis che i contribuenti avessero la facoltà, esercitabile entro la data del 30 settembre 2011 (poi prorogata al 30 settembre 2012 dall'art. 29, comma 8, del decreto legge n. 216 del 2011, convertito nella legge n. 14 del 2012, come modificato dall'art. 3, comma 19, del D.L. n. 95 del 2012), di presentare all'Agenzia del Territorio una domanda di variazione catastale per l'attribuzione delle categoria A/6 o D/10 sulla base di un'autocertificazione attestante che l'immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui all'art. 9 del D.L. n. 557 del 1993 "in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda", ed all'art. 7 comma 2 bis aveva stabilito che entro il 20 novembre 2011 l'Agenzia del Territorio, previa verifica dell'esistenza dei requisiti di ruralità, convalidasse la certificazione di cui al comma 2 bis e provvedesse all'attribuzione della categoria catastale richiesta;

- D.L. n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, il quale da un lato ha disposto, con l'art. 13, comma 14, lett. d-bis, l'abrogazione dei commi 2 bis, 2 ter e 2 quater dell'art. 7 del D.L. n. 70 del 2011, e dall'altro ha stabilito, all'art. 13 comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011 producessero "gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo";

- decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 26 luglio 2012, il quale, nel fissare le modalità di inserimento, negli atti catastali, della sussistenza del requisito di ruralità, ha stabilito, all'art. 1, che "ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all'esercizio dell'attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell'iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all'art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133";

- D.L. n. 102 del 2013, convertito nella legge n. 124 del 2013, il quale, all'art. 2 comma 5 ter, ha stabilito che "ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 212, l'articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell'articolo 7, comma 2 bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l'inserimento dell'annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda".

Secondo quanto recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 2115 del 2017), si tratta di disposizioni che rafforzano l'orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire, anche retroattivamente, alla classificazione della ruralità dei fabbricati, onde beneficiare dell'esenzione ICI, sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d'essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all'attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.

2. Non può invece essere condivisa, perché errata, l'ulteriore affermazione (che ha determinato il rigetto del ricorso della contribuente) della Commissione Tributaria Provinciale secondo cui, poiché dalla visura catastale acquisita in atti risultava che il fabbricato della Società A.P. era censito "in categoria D/7 con annotazione di dichiarata sussistenza di ruralità", nella specie "la richiesta di annotazione della sussistenza dei requisiti di ruralità per un immobile D/7, sebbene annotata in atti, di fatto non aveva modificato la categoria D/7 dell'immobile".

Come si visto, la normativa cui oggi occorre fare riferimento è costituita dal D.L. n. 201 del 2011, il quale ha abrogato la procedura (prima prevista dal comma 2 ter dell'art. 7 del D.L. n. 70 del 2011) di convalida della certificazione di ruralità e di attribuzione della categoria catastale richiesta ed ha direttamente collegato alle domande di variazione catastale gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità, e dal decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 26 luglio 2012, il quale ha fissato le modalità di iscrizione, negli atti catastali, della sussistenza del requisito di ruralità, stabilendo che ai fini di tale iscrizione "è apposta una specifica annotazione".

Le predette disposizioni hanno introdotto nel sistema - in funzione del riconoscimento, anche retroattivo, della natura rurale dì immobili già censiti nel Catasto Edilizio Urbano, ai fini della loro esenzione dall'ICI - una speciale procedura di variazione catastale, per effetto della quale l'annotazione negli atti del catasto della dichiarazione, resa dal soggetto interessato, della sussistenza del requisito di ruralità vale di per sé ad attribuire tale requisito ai predetti immobili (siano essi a destinazione abitativa o strumentale all'attività agricola), i quali mantengono invariati la categoria e gli altri dati di classamento loro precedentemente attribuiti.

Una tale affermazione non è smentita dal fatto che il decreto Ministeriale del 26 luglio 2012 preveda che le Agenzie del Territorio provvedano alla verifica, anche a campione, delle autocertificazioni allegate alle domande di riconoscimento del requisito della ruralità (art. 4), e dal fatto che l'eventuale esito negativo di tale verifica (da accertare con provvedimento motivato del Direttore dell'Ufficio, impugnabile dinanzi alla Commissione tributaria provinciale) sia registrato negli atti catastali mediante una apposita annotazione (art. 5), che aggiorna, nella "visura all'attualità", quella originariamente inserita a seguito dell'autocertificazione.

Ed infatti, nei casi in cui la verifica di ruralità abbia invece avuto esito positivo, l'annotazione inserita a seguito dell'autocertificazione rimane negli atti catastali nella sua formulazione originale, senza alcuna ulteriore specificazione (cfr., sul punto, la circolare dell'Agenzia del Territorio, Direzione Centrale Catasto e Cartografia, n. 2/2012, prot. n. 39096, del 7 agosto 2012).

Ne resta confermato, in definitiva, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione Tributaria Provinciale, nell'attuale sistema normativo per i fabbricati rurali già iscritti nel Catasto Edilizio Urbano non è più necessaria, ai fini fiscali, l'attribuzione della categoria A/6 o D/10, così come precedentemente previsto dai commi 2 ter e 2 quater dall'articolo 7 del decreto legge n. 70 del 2011 (che sono stati espressamente abrogati, come si è detto, dall'articolo 13, comma 14, lett. d bis, del D.L. n. 201 del 2011), atteso che l'apposizione dell'annotazione prevista dall'articolo 1, comma 2, del decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 26 luglio 2012 ha, se non seguita da ulteriori annotazioni di aggiornamento dì senso contrario, lo stesso effetto dell'assegnazione delle suddette categorie A/6 o A/10 disciplinate dalle norme abrogate.

3. Per quanto attiene al caso di specie, nella "visura" catastale prodotta dalla contribuente, riferita a.1 fabbricato di cui si controverte e relativa alla situazione esistente al 4 settembre 2017, sì legge l'annotazione "immobile: dichiarata sussistenza dei requisiti di ruralità con domanda prot. n. te0226616 del 12/10/2011 - convalida classamento proposto d.m. 701/94", non seguita da altre annotazioni correttive o dì aggiornamento.

Alla stregua dei principi prima esposti, pertanto, deve riconoscersi che, nonostante il diverso convincimento manifestato dalla Commissione Tributaria Provinciale, il fabbricato di cui si discute aveva conseguito - al di là del riferimento, ancora presente negli atti del catasto, alla categoria D/7 - quel riscontro catastale della sua ruralità che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto necessario ai fini dell'ammissione all'esenzione dall'ICI.

E poiché, come si è visto, il riconoscimento del possesso del requisito di ruralità riflette i suoi effetti sull'intero quinquennio antecedente alla presentazione della relativa domanda da parte dell'interessato (domanda che nella specie era stata presentata il 12 ottobre 2011), deve anche riconoscersi che, con riguardo alle annualità oggi in contestazione (2009, 2010 e 2011), la A.P. s.r.l. non poteva essere considerata soggetto passivo dell'ICI.

Ne consegue, evidentemente, che, con riferimento alle annualità di cui si tratta, la A.P. s.r.l. ha il diritto di ottenere, dal Comune di Atri, il rimborso delle somme indebitamente versate a titolo di imposta.

Il provvedimento di diniego implicitamente adottato al riguardo dal Comune di Atri (che non ha dato alcun riscontro alla domanda di rimborso proposta dalla A.P. s.r.l.) si rivela dunque illegittimo e deve pertanto essere annullato.

La sentenza di primo grado, che ha invece ritenuto infondato il ricorso della contribuente, deve, dì conseguenza, essere riformata.

Quanto agli importi che il Comune di Atri dovrà rimborsare alla A.P. s.r.l., dalle dichiarazioni ICI e dalle quietanze dei versamenti modelli F24 da quest'ultima prodotte in copia si evince che le somme che la contribuente aveva corrisposto al predetto Comune ammontavano ad € 5.791,06 (due versamenti, di € 2.895,53 ciascuno, eseguiti, rispettivamente, il 16 giugno ed il 16 dicembre 2009) quanto all'anno 2009; ad € 5.791,06 (due versamenti, di € 2.895,53 ciascuno, eseguiti, rispettivamente, il 16 giugno ed il 16 dicembre 2010) quanto all'anno 2010; e ad € 2.412,94 (unico versamento, eseguito il 16 giugno 2011) quanto all'anno 2011, per un totale di € 13.995,06.

E al rimborso di tali somme che il Comune di Atri deve dunque essere condannato in favore della contribuente. Sulle medesime somme il predetto Comune dovrà anche corrispondere gli interessi, da calcolare nella misura e con le decorrenze (data di ciascun versamento) stabilite dall'art. 1, comma 165, ultima parte, della legge n. 296 del 2006.

4. Le spese del doppio grado del giudizio seguono la soccombenza (la, anche parziale, riforma della sentenza di primo grado comporta che, in base al principio stabilito dall'art. 336, primo comma, c.p.c., il giudice dell'appello debba comunque procedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento delle spese, alla stregua dell'esito finale della lite, sulla base di una valutazione globale ed unitaria, senza che possa rilevare il risultato di una particolare fase del processo: cfr. Cass. n. 1775 del 2017; n. 26985 del 2009; n. 4959 del 2004; n. 5497 del 2002), e vengono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. 20 marzo 2014 n. 55, con riferimento alla voce n. 24, in relazione a causa del valore di € 13.995,06.

 

P.Q.M.

 

In accoglimento dell'appello proposto dalla Società A.P. s.r.l. con sede in Mosciano Sant'Angelo, ed in riforma della sentenza di primo grado:

- annulla il provvedimento implicito di diniego impugnato dalla Società A.P. s.r.l. e condanna il Comune di Atri a rimborsare a quest'ultima le somme di € 5.791,06 quanto all'anno 2009, di € 5.791,06 quanto all'anno 2010, e di € 2.412,94 quanto all'anno 2011, oltre agli interessi da calcolare nella misura e con le decorrenze stabilite dall'art. 1, comma 165, ultima parte, della legge n. 296 del 2006;

- condanna il Comune di Atri a rimborsare alla Società A.P. s.r.l. le spese del doppio grado del giudizio, che liquida in € 2.500,00, oltre a rimborso forfetario in misura del 15%, quanto al primo grado, nonché in € 3.000,00, oltre a rimborso forfetario in misura del 15%, quanto al secondo grado.