Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 novembre 2016, n. 23348

Licenziamento - Giornalista - Partecipazioni a trasmissioni emittente televisiva concorrente

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata il 23 aprile 2015 la Corte d'appello di Roma, decidendo a seguito di reclamo ex art. 1, c. 58 della I. n. 92 del 2012 proposto da entrambe le parti, confermò la decisione del giudice di primo grado che, previa conversione da licenziamento per giusta causa in licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, aveva dichiarato legittimo il recesso intimato da Società R.A.I. Radio Televisione Italiana s.p.a. al dott. A. Di N. a seguito di contestazioni disciplinari inerenti ad alcune partecipazioni del predetto a trasmissioni dell'emittente televisiva concorrente Video Mediterraneo, una delle quali svoltasi in concomitanza di assenza dal lavoro per malattia ed un'altra allorché risultava in servizio e in possesso di autovettura aziendale.

2. La Corte rilevò che la disciplina collettiva e il contratto di lavoro prevedevano l'obbligo di esclusiva del giornalista con rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, con necessità che l'espletamento di altri incarichi fosse autorizzato dal direttore, d'accordo con l'editore, e che non fossero autorizzabili altri incarichi in contrasto con gli interessi aziendali, fatta salva la libertà di manifestazione delle proprie opinioni in pubblicazioni culturali, religiose, politiche o sindacali. Ritenne che la partecipazione del Di N. a tre trasmissioni (oggetto delle tre contestazioni disciplinari ritenute tempestive), concretizzatasi nel commento di notizie di attualità, comprese recenti elezioni regionali, in qualità e con la professionalità del giornalista, risultava diretto esercizio di attività giornalistica lesiva degli interessi dell'azienda, piuttosto che manifestazione di opinioni.

3. La stessa Corte respinse il reclamo incidentale proposto dalla Rai e volto a censurare le statuizioni in forza delle quali erano state ritenute tardive le altre contestazioni disciplinari nei confronti del Di N. ed era stata esclusa la sussistenza di una giusta causa di licenziamento.

4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Di N. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la Rai, proponendo ricorso incidentale sulla base di tre motivi, a sua volta resistito con controricorso. La Rai ha prodotto memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1 e 3 I. 15 luglio 1966 n. 604 ex art. 360 n. 3 per licenziamento disposto in assenza di una giusta causa e di un giustificato motivo soggettivo; violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 dell'art. 21 della Costituzione per limitazione del diritto alla libertà di opinione; violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del CNLG ex art. 360 n. 3 per insussistenza della contestata violazione del vincolo di esclusiva del rapporto giornalistico; violazione e falsa applicazione degli artt. 1262, 1363, 1365, 1366 ex art. 360 n. 3 per erronea interpretazione del patto di esclusiva ex art. 8 del CCNLC e del regolamento di disciplina; violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della l. 15 luglio 1966 n. 604 e dell'art. 2697 c.c. ex art. 360 n. 3 per mancato assolvimento dell'onere probatorio in merito a tutti gli elementi costitutivi della fattispecie posta alla base della contestazione disciplinare e del recesso; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 c. 42 lett. b I. 92/2012 ex art. 360 n. 3 e pertanto del principio della tipizzazione contrattuale in tema disciplinare; violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. ex art. 360 n. 3; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 Osserva che la Corte d'appello ha ritenuto la violazione dell'art. 8 del CNLG partendo da un'errata interpretazione dell'attività giornalistica, confondendo la partecipazione estemporanea a trasmissioni televisive con gli incarichi professionali caratterizzati da ruolo e impegno professionale continuo e con inserimento in seno all'organizzazione di una impresa editoriale. Rileva che l'autorizzazione non era necessaria, pena la violazione dell'art. 21 della Costituzione, poiché l'art. 8 CCNL citato consente al giornalista di manifestare le proprie opinioni attraverso pubblicazioni di carattere culturale, religioso, politico e sindacale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce insussistenza di condotte inadempienti esercizio del diritto costituzionale di manifestare la propria opinione; violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della I. 15 luglio 1966 n. 604 ex art. 360 n. 3 per non aver applicato le condizioni di miglior favore ai prestatori di lavoro; violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della costituzione ex art. 360 n. 3 per violazione del diritto di manifestare liberamente la propria opinione; violazione e falsa applicazione del regolamento aziendale adottato con accordo decentrato RAI-USUGRAI del 29/6/2009 ex art. 360 n. 3 perché in parte più favorevole nel caso di violazione dell'obbligo di esclusiva ex art. 8 cnl e in parte più sfavorevole per ciò che concerne i presupposti e i limiti contrattuali al diritto di manifestare la propria opinione; violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del CNLG ex art. 360 n. 3 perché, seppure più favorevole, non è stato applicato rispetto alle circolari Rai e al contratto integrativo in pejus; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. Rileva che la Corte d'appello ha ritenuto applicabile il regolamento di disciplina RAI in luogo dell'art. 50 CNLG in quanto contenente disposizioni di maggior favore relativamente alla modulazione delle sanzioni. Osserva, inoltre, che la violazione del dovere di esclusiva, quale causa di licenziamento prevista dal CNLG, secondo il regolamento di disciplina Rai rientra tra le infrazioni sanzionabili in via conservativa. Evidenzia che alla ricorrente è stata contestata la mancata autorizzazione per le partecipazioni a trasmissioni televisive di emittenti diverse, ai sensi della circolare 24/1/2003, la quale introduce condizioni peggiorative rispetto all'art. 8 CNLG ed è priva di effetto giuridico rispetto al disposto contrattuale in tema di libertà di espressione della propria opinione. Osserva che, in ogni caso, la circolare distingue tra collaborazioni e incarichi, da una parte, e partecipazioni a trasmissioni di emittenti diverse, dall'altra. Rileva che al ricorrente è stata contestata la mera partecipazione alle suddette trasmissioni, nel corso delle quali egli si era limitato a esprimere la propria opinione senza mai ledere alcun vincolo di esclusiva; evidenzia, inoltre, che la partecipazione a una trasmissione non può essere considerata "stessa prestazione giornalistica".

3. Il ricorrente deduce, ancora, abnormità del licenziamento violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c. e ss ex art. 360 n. 3 - violazione e falsa applicazione ed erronea interpretazione del regolamento di disciplina e del disposto normativo ex art. 2106 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c.- violazione e falsa applicazione ed erronea interpretazione del contratto e del codice disciplinare e delle circolari esplicative ex art. 360 n. 3; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. Premesso che la disciplina collettiva prevede sanzioni conservative per il caso di collaborazione, incarico e contributo resi a qualsiasi titolo a imprese giornalistiche, qualora dette prestazioni siano in contrasto a quanto previsto dall'art. 8 ccnl, fatta salva l'applicazione di sanzioni più gravi in relazione all'entità dell'inosservanza e delle sue conseguenze, osserva che le condotte contestate, sia valutate individualmente che complessivamente, non avrebbero mai potuto determinare la sanzione del licenziamento.

4. Con l'ultimo motivo il ricorrente deduce, infine, violazione e falsa applicazione dell'art. 6 ex art. 360 n. 3 per mancata proposizione del recesso da parte del direttore di testata e conseguente illegittimità, nullità e annullabilità inesistenza e inefficacia del recesso per carenza di legittimazione e violazione della procedura; violazione e falsa applicazione dell'art. 50 CNLG ex art. 360 n. 3 qualora ritenuto applicabile per non aver sentito il direttore di testata prima del recesso e conseguente illegittimità nullità e annullabilità, inesistenza e inefficacia del recesso per carenza di legittimità e violazione della procedura; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 ex art. 360 n. 3 per non avere la Rai provato di aver sentito il direttore di testata prima di irrogare il licenziamento; omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione ex art. 360 n. 5. Osserva che il licenziamento è stato irrogato dal direttore Risorse Umane in violazione dell'art. 6 del CNLG, in assenza di proposta del direttore di testata, il quale non è stato neppure sentito ex art. 50 del CNLG. Rileva che il direttore per esercitare il suo ruolo di garante dell'autonomia del giornalista dei diritti di libertà e di cronaca e di pensiero deve essere messo nelle condizioni di poter esercitare il diritto di proporre o meno il licenziamento.

5. Vanno esaminati preliminarmente i rilievi d'inammissibilità formulati con il ricorso incidentale. Lasciando alla successiva trattazione dei singoli motivi le questioni sub A.1. (improcedibilità del ricorso ex art. 369 secondo comma n. 4 c.p.c.), sub A.2. (inammissibilità del ricorso perché afferente a questioni di merito non proponibili in sede di legittimità) e sub A.4. (inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza ai sensi dell'art. 366, primo comma n. 6 c.p.c.), vengono in esame, preliminarmente, i rilievi formulati sub A.3. (inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 366, primo comma n. 4 c.p.c.) e sub A.5. (inammissibilità del ricorso per cassazione per l'operatività del filtro selettivo della doppia conforme ex artt. 348 bis e ter c.p.c.). Quanto a tale ultimo profilo, il rilievo è privo di fondamento. Va osservato, infatti, che la norma invocata riguarda i vizi di motivazione, mentre nel caso in disamina le censure investono prevalentemente vizi di violazione di legge, al più commisti con vizi di motivazione. E' fondato, invece, il rilievo attinente alla violazione dell'art. 366, primo comma n. 4 c.p.c., ove si consideri la formulazione stessa delle censure da 1 a 3, effettuata mediante affastellamento commisto e confuso di plurime violazioni di legge e vizi motivazionali, e la circostanza che "Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall'art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito" (così Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 19959 del 22/09/2014, Rv. 632466).

6. Venendo all'esame degli aspetti salienti relativi i punti che possono essere ricavati dalla pur carente formulazione dei primi tre motivi di ricorso, gli stessi attengono alla violazione della clausola di esclusiva di cui all'art. 8 CCNL e, in genere, della disciplina collettiva, oltre che alla presunta insussistenza del giustificato motivo di licenziamento. Al riguardo va tenuto presente, in primo luogo, il principio enunciato da Cass. Sez. L, Sentenza n. 6848 del 22/03/2010, Rv. 612262: "In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso - rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l'inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 cod. civ., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto" (conforme Cass. N. 25743 del 2007, Rv. 601361).

In tale prospettiva si evidenzia che le critiche svolte con i motivi di ricorso concernono non già la verifica in ordine ai criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all'art. 1455 c.c., ma, piuttosto, l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito idonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento. E' da ricordare che la Corte territoriale ha fondato il suo giudizio su "la pluralità delle partecipazioni in periodo di tempo breve (meno di un mese), la partecipazione a trasmissioni di impresa giornalistica concorrente nell'ambito regionale, il contesto non pluralista di dette trasmissioni, la partecipazione alla trasmissione del 21/2/2013 in giornata nella quale il lavoratore era assente dal servizio per malattia, la partecipazione alla trasmissione del 25/2/2013 in giornata ed orario nel quale il lavoratore era di turno in redazione, la presenza di precedenti disciplinari, la consapevolezza della violazione della clausola evincibile dalla richiesta di autorizzazione formulata in occasione di altri eventi", da ciò traendo la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento secondo i parametri indicati dalla contrattazione collettiva. Allo stesso modo la Corte territoriale ha dato conto dei fattori, quali l'elemento intenzionale, che qualificano la condotta contestata anche in termini di gravità del comportamento e proporzionalità della sanzione. La critica svolta dal ricorrente, pertanto, trascurando gli indicati elementi presi in considerazione dalla sentenza, appare rivolta non già verso i criteri di applicazione della clausola generale, ma piuttosto verso la sussunzione, effettuata dai giudici del merito sulla base delle risultanze istruttorie, della situazione di fatto nei parametri indicati dalla clausola medesima. Di conseguenza, al di là della formulazione delle censure quali violazioni di legge, le stesse finiscono con l'investire la valutazione delle risultanze istruttorie sulla cui base è stato formulato il predetto giudizio di sussunzione, proponendo a questa Corte questioni di mero fatto non esaminabili in sede di legittimità (v. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 : "la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti"). Alle svolte argomentazioni si aggiunga che tutte le censure fanno riferimento alla norma contrattuale collettiva, sicché sono sanzionate da improcedibilità per difetto di autosufficienza, non risultando prodotto per intero il contratto collettivo di riferimento. Va richiamato in proposito il principio più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale "L’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda - imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella nuova formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 - non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell'ordinamento e con i criteri di fondo dell'intervento legislativo di cui al citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e, in ¡specie, con la regola prevista dall'art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l'interpretazione esaustiva della questione che interessa" (Sez. L, Sentenza n. 15495 del 02/07/2009. Rv. 609037).

7. In ordine all'ultimo motivo di ricorso si evidenzia che la censura non investe utilmente la ratio sottesa alla decisione sul punto: la Corte territoriale, infatti, aveva evidenziato che il richiamo all'art. 6 CNLG non era pertinente, giacché la suddetta procedura era stabilita per i licenziamenti tecnico professionali, operando negli altri casi, in relazione ai casi di licenziamento disciplinare, la procedura ordinaria di cui all'art. 7 I. 300/1970. La critica del ricorrente non concerne l'evidenziato profilo.

8. Con ricorso incidentale la società deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp att c.c. in relazione all'art. 360 primo c n. 4 c.p.c. Osserva che la Corte d'appello si è limitata a motivare per relationem alla sentenza di primo grado mediante mera adesione ad essa, malgrado le specifiche censure dedotte nei motivi d'impugnazione. Rileva che mancano sia l'illustrazione delle critiche mosse, sia le considerazioni che hanno indotto a disattenderle.

9. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp att in relazione all'art. 360 primo c. n. 3 c.p.c. Osserva che la Corte d'appello ha offerto una motivazione inidonea a chiarire le ragioni giuridiche a base dell'adesione alla decisione del giudice di prime cure.

10. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c.e 118 disp att in relazione all'art. 360 primo c n. 5 c.p.c. Osserva che la decisione ha pretermesso l'indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento o li ha indicati senza compiere alcuna approfondita disamina logica e giuridica

11. I motivi di ricorso incidentale si appuntano tutti sulle statuizioni in forza delle quali sono state ritenute tardive le altre contestazioni disciplinari nei confronti del Di N. ed è stata esclusa la sussistenza di una giusta causa di licenziamento. Gli stessi, pertanto, possono essere trattati congiuntamente. Al riguardo osserva la Corte che non sono ravvisabili le dedotte violazioni di legge, giacché le argomentazioni svolte al riguardo contengono un nucleo motivazionale minimo idoneo a fornire spiegazione adeguata delle ragioni sottese alla decisione, seppure mediante adesione alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado riguardo alla distanza temporale tra i fatti del 2011 e 2012 e la relativa contestazione, all'applicabilità delle sanzioni di cui al regolamento di disciplina Rai quale normativa di maggior favore, alla possibilità di prosecuzione provvisoria del rapporto in relazione alle violazioni contestate. In ordine al vizio motivazionale, pure rilevato, si osserva che anche tale censura è infondata, poiché non risultano denunciati vizi sussumibili nell'ambito dei limiti della doglianza come enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione alla nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., risultante dall'intervento della I. n. 134/2012, vigente ratione temporis ("La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

12. In base alle svolte argomentazioni devono essere rigettati tanto il ricorso principale, quanto quello incidentale. Le spese del giudizio di legittimità sono compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.