Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 settembre 2016, n. 17779

Rapporto di lavoro - Individuazione del CCNL applicabile - Attività prevalente - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 13 luglio 2011 la Corte di appello di Cagliari, Sezione civile, in parziale riforma della decisione de! Tribunale di Oristano, ha accertato che nell'ambito del rapporto di lavoro svolto tra M. C. e D. di I. S. dal 6.7.1987 al 12,1.2004 doveva applicarsi il CCNL Commercio e che al lavoratore spettava la qualifica corrispondente ai V° livello per i primi diciotto mesi, al IV° livello per il periodo successivo sino all'11.4.1995, al III° livello per il periodo finale, con conseguente condanna della Ditta al pagamento della complessiva somma di 52.307,10, oltre accessori di legge. Rilevava la Corte che l'assoggettabilità del rapporto alla disciplina del CCNL Commercio si evinceva, oltre che dalla mancata specifica contestazione dei relativi presupposti da parte del datore di lavoro, dall'accertata prevalenza dell'attività di vendita rispetto a quella di riparazione e manutenzione di macchinari, dall'adibizione del C. ad entrambe le attività, dalla mancata elencazione (nell'invocato CCNL Metalmeccanici Artigiani) di attività quali quella svolta dalla D.; il C. aveva progressivamente arricchito il suo bagaglio culturale e per tale ragione poteva riconoscersi l'attribuzione di qualifica via via crescenti nel tempo.

Per la cassazione della sentenza impugnata ricorre il titolare della Ditta proponendo tre motivi di ricorso. Il C. è rimasto intimato.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione "ai sensi dell'art. 360, n. 3 c.p.c." circa l'applicabilità del CCNL Commercio avendo, la Corte territoriale, confermato - sul punto - la decisione del giudice di primo grado sulla base di ragionamenti logico-deduttivi anziché su dati e/o valutazioni empiriche" avendo definito l'attività artigianale "complementare" a quella commerciale ed avendo ritenuto il C. adibito sia all'attività commerciale sia a quella di manutenzione di macchinari.

2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost. e della normativa dei contratti collettivi nazionali di lavoro avendo, la Corte, omesso ogni motivazione circa il terzo motivo di gravame concernente l'applicazione di tutti gli istituti retributivi disciplinati dal CCNL Commercio anziché, come ritenuto più corretto dalla ditta, della sola paga base presa quale parametro di riferimento.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell'art. 194 c.p.c. essendosi limitato, il CTU contabile nominato dalla Corte territoriale, di utilizzare i dati delle somme percepite dal C. come risultanti dalla relazione peritale svolta in primo grado (sulla base dei prospetti paga acquisiti) anziché chiedere chiarimenti alle parti, assumere informazioni, far intervenire le parti alle operazioni peritali.

4. I motivi presentano molteplici profili di inammissibilità e, in ogni caso, non meritano accoglimento.

5. Il ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte vizi della sentenza rilevanti sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 nella parte in cui il giudice del merito ha accertato, alla luce delle risultanze probatorie, l'applicazione del CCNL settore Commercio, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertata e ricostruita dalla Corte territoriale, muovendo così all'impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto i! profilo logicoformale e della correttezza giuridica - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (cfr. S. U., Sentenza n. 26242 del 2014).

Deve anche rilevarsi che - ove il ricorrente lamenta l'insufficiente valutazione delle deposizioni dei testimoni in relazione alla loro qualità di clienti (e, quindi, di sporadici frequentatori del negozio-laboratorio) - non è trascritta alcuna deposizione, né vengono indicati i nomi dei testimoni, in violazione del principio di autosufficienza che impone che nel ricorso per cassazione, allorquando viene denunciata l'omessa valutazione di un elemento di prova, come di alcune deposizioni testimoniali, è necessario, a pena d'inammissibilità del ricorso, che il motivo di impugnazione specifichi i nomi dei testi e le relative deposizioni pretermesse ed indichi le ragioni del carattere decisivo di esse, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso, il controllo deve essere consentito alla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (cfr., tra le altre, Cass. 18.10.2004 n. 20397; Cass. 5.3.2003, n. 3284).

La Corte territoriale ha rilevato che la ditta svolgeva due attività, di vendita e di manutenzione; che il rapporto di lavoro di una dipendente, M. C., era disciplinato dal CCNL settore Commercio, mentre quello degli altri colleghi (compreso il C.) era regolato dal CCNL settore Metalmeccanici Artigiani; che le risultanze istruttorie dimostravano che l'attività di vendita di macchine, attrezzature, mobili per uffici era prioritaria , mentre era complementare, e meramente eventuale, quella assistenza tecnica di manutenzione e riparazione dei macchinari venduti (fotocopiatrici, fax, stampanti, persona! computers); l'istruttoria aveva altresì dimostrato che il C. si occupava di entrambe le attività; che l'attività svolta dalla ditta non risultava inclusa nell'elenco delle imprese soggette all'applicazione del CCNL settore Metalmeccanici Artigiani, così come delineato dalle stesse parti sociali nella parte dedicata alla "Sfera di applicazione" della contrattazione. La Corte ha, quindi, con processo logico-giuridico esauriente, confermato la statuizione del giudice di primo grado circa l'applicazione del CCNL settore Commercio.

E' stato già affermato che nel caso in cui il datore di lavoro svolga due diverse (ma non autonome) attività, l’individuazione della disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro deve essere effettuata, ai sensi dell'art. 2070 c.c., con riguardo all'attività prevalente (Cass. n. 4572/1987, che ha statuito che, nel caso in cui l'attività di vendita di articoli ottici, svolta dal datore di lavoro, prevalga su quella di montaggio e riparazione di lenti, è applicabile la disciplina collettiva per il settore commerciale, anziché quella per il settore degli artigiani metalmeccanici, restando in contrario irrilevanti sia l'iscrizione di tale soggetto all'albo delle imprese artigiane come fotografo-ottico sia la circostanza che l'ispettorato del lavoro abbia autorizzato l'assunzione del lavoratore come apprendista aggiustatore e montatore di lenti; cfr. altresì Cass. n. 3229/1993).

L'accertata volontà delle parti del rapporto di lavoro di sottoporsi alla disciplina collettiva comporta l'applicazione di tutte le clausole contenute nel CCNL (nel caso di specie, settore Commercio), compresa la regolamentazione dettata con riguardo al trattamento economico. Diversamente, nel caso in cui si accerti che il CCNL invocato dal lavoratore non era recepito dal datore di lavoro, il giudice di merito deve verificare l'adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., e in tal caso, non può fare riferimento a tutti gli elementi e gli istituti retributivi che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma deve prendere in considerazione solo quelli che costituiscono il cosiddetto minimo costituzionale, con esclusione degli istituti retributivi legati all'autonomia contrattuale, come la quattordicesima mensilità, la cui eventuale considerazione nel caso concreto da parte del giudice di merito richiede una specifica e adeguata motivazione (cfr. Cass. n. 15148/2008).

Non risulta, pertanto, omessa, da parte della Corte territoriale, la trattazione del terzo motivo di gravame concernente la contestata applicazione di tutti gli istituti retributivi previsti dal CCNL settore Commercio, trattandosi di conseguenza funzionale all'accertamento (compiutamente svolto dal giudice di merito) dell'applicazione, in azienda, della contrattazione collettiva invocata dal C.

La censura relativa alle operazioni peritali svolte dal CTU è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle relazioni peritali (di primo e secondo grado), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'Individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese, in considerazione della mancata costituzione del lavoratore.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.