Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 marzo 2018, n. 7734

Licenziamento disciplinare - Tempestività della contestazione - Indagini da parte dell'Autorità giudiziaria - Tacita rinuncia all'esercizio del potere di contestare gli addebiti - Violazione del principio di autosufficienza del ricorso

 

Svolgimento del processo

 

1) Con sentenza dell'8.6.2015 la corte d'appello di Salerno ha confermato la sentenza del tribunale di Salerno che aveva respinto la domanda di G.S., dirigente dipendente della Banca di Credito Cooperativo di Altavilla Silentina e Calabritto, a cui succedeva come cessionaria la Banca di Credito Cooperativa odierna contro ricorrente, diretta a far accertare la illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 1° febbraio 2012, con conseguente condanna della Banca al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso e dell'indennità supplementare.

2) La corte territoriale ha ritenuto non sussistere alcuna violazione della procedura ex art. 7 legge n. 300/70 per avere il Commissario Straordinario della Banca la legittimazione ad adottare il provvedimento espulsivo e per essere stata tempestiva la contestazione in quanto effettuata solo allorché i fatti addebitati erano venuti a conoscenza di tale organo estraneo alla gestione della banca, atteso il coinvolgimento nelle irregolarità gestionali oggetto di causa proprio degli organi di direzione dell'istituto bancario, che avrebbero dovuto controllare l'operato del S..

3) La corte ha ritenuto: che, in aggiunta a numerosissime irregolarità che denotavano una gestione creditizia a dir poco inappropriata, nella lettera di contestazione del 29.12.2011 era stata addebitata la tardiva segnalazione di operazioni sospette relative a persone oggetto di indagini da parte dell'Autorità giudiziaria, oltre che l'esistenza, a fine novembre 2011, di ben 17.122 verifiche ancora da eseguire sulla regolarità della clientela; che i fatti contestati si evincevano chiaramente dalla documentazione prodotta in causa dalla banca, in particolare con riferimento alle risultanze ispettive dell'AREA Vigilanza della Banca d'Italia, con riguardo anche agli obblighi di antiriciclaggio in materia di segnalazione delle operazioni sospette , cui era tenuto il ricorrente.

4) Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il S. affidato ad un unico motivo. Ha resistito la banca con controricorso, cui ha fatto seguire il deposito di memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

5) Con l'unico motivo di gravame il S. deduce l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c. 1 n. 5. Lamenta poi anche la violazione dell'art. 7 legge n. 300/70 con riferimento all'art. 360 c. 1, n. 3 c.p.c.. Il ricorrente sostiene di aver eccepito in appello l'avvenuta consumazione del potere disciplinare datoriale, consistita nella ratifica da parte del consiglio di amministrazione della banca dell'attività da lui svolta ed oggetto di contestazione e comunque in una tacita rinuncia all'esercizio del potere di contestare gli addebiti; che la corte di merito si sarebbe limitata a motivare che, essendo i fatti posti a base del licenziamento conosciuti dagli organi direttivi della banca, anche loro coinvolti nei medesimi illeciti contestati al S., tale circostanza rendeva irrilevante la conoscenza degli addebiti ai fini della loro tardiva contestazione. Ancora lamenta il ricorrente che la corte avrebbe comunque violato l'art. 7 legge n. 300/70 anche per aver ritenuto legittimo che il potere disciplinare fosse esercitato dall'organo straordinario di amministrazione, privo di tale potere.

6) Il ricorso è inammissibile per più ordini di ragioni. Già in relazione alla parte espositiva dei fatti il ricorso non è conforme a quanto richiesto dall'art. 366 c. 1 n. 3 c.p.c., perché contiene la trascrizione integrale del testo dell' ampia lettera di contestazione della banca e della lettera di giustificazioni scritte del S., ma non contiene allo stesso tempo una sintesi di tali fatti, tale da rispettare la previsione della sommarietà dell’esposizione richiesta dalla citata norma. Ma soprattutto nessuna specifica censura, con violazione dell'art. 366 comma 1 n. 4 c.p.c., viene fatta alla sentenza impugnata sia in termini di vizio motivazionale dell'omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, che la ricorrente individua nella "avvenuta consumazione del potere disciplinare", sia con riferimento alla lamentata violazione dell'art. 7 legge n. 300/70, in cui la corte di merito sarebbe incorsa, per avere ritenuto legittimo l'esercizio del potere disciplinare da parte di un soggetto, l'organo straordinario di amministrazione, che ne sarebbe privo.

7) Il ricorrente trascrive per esteso il proprio atto di appello, che dichiara essere "parte integrante del ricorso di cassazione", così di fatto limitandosi a ribadire nel giudizio di legittimità quelle che erano le censure svolte nei confronti della sentenza di primo grado, senza invece effettuare una specifica critica alla motivazione della sentenza di appello, della quale si limita a riportare soltanto una frase di poche righe, rispetto all'ampia ed articolata motivazione contenuta nel provvedimento, in cui la corte di merito ha esplicitato le ragioni per cui la contestazione disciplinare non difetta di tempestività essendo stata adottata dall'organo straordinario di amministrazione della banca, che ha sostituito gli organi direttivi, coinvolti anch' essi negli illeciti contestati al S. e per tale ragione omissivi nel contestare al S. qualsiasi addebito.

Non specifica il ricorrente in cosa consista la decisività del vizio motivazionale censurato, tenuto conto che invece la corte salernitana,rispettando il disposto di cui all'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. nella versione applicabile ratione temporis, ha sufficientemente esaminato tale circostanza. Egualmente inammissibile perché egualmente non articolata e priva di specificità è la censura, appena abbozzata, sulla mancanza di potere disciplinare del commissario straordinario.

8) All'accertata inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l'inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.