Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 aprile 2018, n. 8146

Pubblico impiego - Dipendenti in quiescenza - Ricalcolo dell'indennità di buonuscita - Inclusione dell'indennità di ente mensile - Non sussiste - Principio di tassatività ex art. 38, D.P.R. n.1032/1973

 

Fatti di causa

 

La Corte d'Appello di Roma, a conferma della pronuncia di prime cure ha rigettato la domanda proposta da V.C. e altri, dipendenti in quiescenza dell'Istat, diretta ad ottenere l'accertamento del diritto al ricalcolo dell'indennità di buonuscita con l'inclusione dell'indennità di ente mensile prevista dall'art. 44, co. 4 c.c.n.I. per i dipendenti del comparto della ricerca 1994/1997 e dall'art. 71 del c.c.n.I. 1998/2001 e la condanna dell'Ente al pagamento delle differenze retributive.

La Corte territoriale, richiamando la giurisprudenza di questa Corte e considerando che gli appellanti erano stati assunti tutti anteriormente al 1/1/1996, ha statuito che, a norma della I. n. 335/1995 (art. 2, co. 5 e co. 6) ad essi dovesse applicarsi la disciplina pubblicistica dell'indennità di buonuscita contenuta nel d.P.R. n. 1032/1973, la quale rimanda alla contrattazione collettiva soltanto quanto alle modalità applicative, ma non si spinge fino a devolvere alla stessa l'individuazione delle componenti di base dell'indennità, così come prevede l'art. 2120 cod. civ. per il trattamento di fine rapporto di natura privatistica.

Tale disciplina pubblicistica dell'indennità di buonuscita fa sì che questa sia computata in base alla retribuzione annua tabellare, nonché alle altre indennità utili ai fini del trattamento previdenziale (art. 38, co. 1 e co. 2), fra le quali non è contemplata la cd. indennità di ente mensile, istituita dalla contrattazione collettiva nel 1996, in sostituzione dell'indennità di incentivazione e funzionalità di cui al d.P.R. n. 171/1991 (art. 16, co. 4).

La Corte territoriale, in definitiva, ha ritenuto che giusta l'inderogabilità della normativa previdenziale, in cui rientra anche l'indennità di buonuscita, deve escludersi che l'autonomia collettiva possa introdurre modifiche alla disciplina legale, contemplando nella base di computo dell'istituto ulteriori voci retributive.

Avverso tale decisione propongono ricorso V.C. e gli altri litisconsorti con un'unica censura illustrata da memoria, cui resiste con tempestivo controricorso l'Istat.

 

Motivi della decisione

 

Con l'unica censura, formulata ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., i ricorrenti deducono "Violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.P.R. n. 1032/1973". Sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, il diritto invocato relativo all'inserimento nel calcolo della buonuscita dell'indennità mensile di ente istituita con c.c.n.I. 1994/1997 (art. 44) non discende da una disposizione contrattuale (art. 71 c.c.n.l. 1998/2001), bensì da una norma di legge (art. 38 d.P.R. n. 1932/1973) (ndr art. 38 d.P.R. n. 1032/1973), non essendo in discussione il carattere fisso e continuativo dell'emolumento ai fini del trattamento di quiescenza.

La censura è infondata.

Questa Corte si è già pronunciata sulla materia, decidendo che "In tema di determinazione dell'indennità di buonuscita del personale dipendente dell'Istat, posto il principio di tassatività di cui all'art. 38 del d.P.R. n.1032 del 1973, applicabile al rapporto, va esclusa la computabilità dell'indennità di ente mensile prevista dall'art. 44, comma 4 del c.c.n.I. 1994-1997, in quanto l'art. 71 del successivo c.c.n.I. 1998 - 2001, nell'affermarne l'utilità ai fini dell'indennità di premio di fine servizio e del trattamento di fine rapporto, non richiama anche l'art. 7, comma 3, del c.c.n.I. 1994-1997, che ad essa fa riferimento, ma solo l'indennità di ente annuale maturata dopo il 31 dicembre 1999, come incrementata ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 71" (Cass. 18790/2015; Cass. n. 10431/2014).

La Corte d'Appello ha, dunque fatto corretta applicazione del principio sopra richiamato, cui in questa sede s'intende dare continuità.

In definitiva, essendo la censura infondata il ricorso è rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.